Sources:
Sulla psicologia de Cristina, regina di Svezia, pages 3 to 14, by Dr. Francesco de Sarlo, 1892
Psychology of Queen Christina of Sweden, translation made by Susanna P. Boyle, M. D., C. M., for Alienist and Neurologist: A Quarterly Journal of Scientific, Clinical and Forensic Psychiatry and Neurology, volume 14, pages 448 to 461, published by Charles Hamilton Hughes, M. D., 1893
The essay:
SULLA PSICOLOGIA
DI
CRISTINA REGINA DI SVEZIA
DEL
Dott. FRANCESCO DE SARLO...
—
La caratteristica della cultura di questa seconda metà del nostro secolo è in gran parte data dal grande sviluppo che hanno avuto le scienze biologiche e storiche. In altri tempi la storia era, è vero, une ricostruzione forse più grandiosa di un determinato periodo percorso dall'umanità, ma v'era troppo aggruppamento e fusione di avvenimenti, per modo che il lettore molte volte non riusciva nemmeno ad intravedere tutti i nessi dei fatti che gli erano messi sott'occhio, mancando molti anelli intermedi giudicati superflui e di poca importanza. La storia così si presentava come une successione, a varia distanza di tempo e di luogo, di avvenimenti (per lo più guerre), dei quali spesso non si riusciva a comprenderne il valore ed il significato. Gli immensi progressi compiuti nelle scienze sperimentali avendo esercitato una grande azione sull'educazione dello spirito moderno, hanno indotto un mutamento anche nel metodo seguito dalle scienze storicale: donde in queste una maggior cura dei particolari, une ricerca più diligente dei piccoli fatti e un ricorrere incessante al sussidio di altre scienze per comprendere talune figure storiche altrimenti inesplicabili. Si comprende facilmente como le scienze psicologiche dovevano esser quelle a preferenza chiamate in aiuto alla storia: e difatti tanto la psicologia normale quanto quella patologica hanno dato dei frutti eccellenti coll'aver fornito la chiave per risolvere molti enigmi. Io non starò ad enumerare tutti i lavori che si son compiuti in questo ramo, nè toccherò delle illusioni in cui si può cadere qualche volta a tal riguardo, riservandomi di dirne qualche cosa nelle osservazioni conclusionali (Non si deve credere che la psicologia e la critica storia siano un prodotto esclusivo di questo secolo: basta leggere la biografia dell'individuo Alessandro o il falso profeta scritta da Luciano nel II secolo della nostra êra per convincersi che anche i nostri antichi se ne intendevano: vi è però una differenza, che mentre essi cercavano di spiegar tutto per mezzo dell'impostura e della ciurmeria, oggi si tende a dar ragione di fatti consimili ricorrendo alla patologia.).
Vi sono nella storia delle figure, le quali hanno il potere di fermare in modo invincibile l'attenzione, giacchè in tutti gli atti della loro vita presentarono il più alto interesse e si allontanarono dal comune, e quanto più si approfondisce il loro studio tanto più si fa viva la curiosità di penetrare nel fondo delle loro anime. Nè vale a scemarne l'attrattiva l'esser esse vissute in un tempo da noi lontanissimo. Una di queste figure è certamente Cristina di Svezia, che ebbe tanta parte nella storia italiana del seicento, Cristina figlia di Gustavo Adolfo, dell'«Eroe del Nord» come lo chiamò Schiller o del «Leone del Nord» come fu detto dai contemporanei. Molti per lo passato si sono occupati della regina dal punto di vista storico ed a noi non resta che portare in base ai numerosi studi fatti il nostro giudizio sullo stato mentale di lei (Intorno a Cristina esiste tutta una letteratura, ha scritto recentissimamente (Nuova Antologia 1.° Settembre 1892) Corrado Ricci in un notevole articolo, il quale riesce d'appoggio alle nostre vedute.). Già Ugo Foscolo notava in lei al disopra di tutte le qualità (amore vivo alle arti ed ingegno acuto) una ferocia, per cui ella appare simigliante a quache trista eroina dell'Edda e dei Nibelunghi, accompagnata poi da una stranezza del vivere e nel pensare, che a volte s'avvicina alla pazzia. Il D'Alambert si accordava con Foscolo, mentre il Muratori (Cretella. Cristina di Svezia in Italia. Gazz. letter. di Torino. Giugno, 1892.) mite per indole e per rispetto ad una memoria cara al cattolicesimo, si era accontentato di scrivere che Cristina fu per animo, per ingegno e per letteratura superiore al suo sesso. Recentemente il Claretta (Claretta. La Regina di Svezia in Italia. Torino, 1892.) ebbe l'intento di «pennelleggiare al vivo l'ingegno, la bizzarria, le incoerenze e le buone e lodevoli applicazioni di quella strana e cervellottica principessa», accompagnando la sua esposizione con interessanti documenti. In ultimo, senza far menzione di tutti gli altri che in un tempo più o meno recente si occuparono di Cristina, citeremo il saggio pubblicato dallo Stearn (*Stearn. Hristina Korolewa Szweczkaia tr Kowalewski. Archiw Psichiatrii Nevrologii i Cudenoi Psichopatologii.*) allo scopo di definire dal punto di vista psichiatrico il temperamento della medesima, giungendo alla conclusione che il suo spirito si trovava in quella zona indecisa che divide la ragione dalla follia.
È tale carattere complesso quello di Cristina che a prima vista pare fatto apposta per sfidare tutte le definizioni e gli schematismi dell'analisi psicologica odierna. Noi non c'intratterremo ad esporre nei suoi più minuti particolari la vita di lei, ma ci fermeremo solamente su quei fatti culminanti che possono aver un peso nel giudizio finale che ci proponiamo di emettere. E per procedere con ordine cominciamo col fermare per un momento l'attenzione sul carattere dei suoi genitori. Suo padre, l'ultimo della dinastia dei Vasa, era «quel gigante di neve» (come lo chiamava l'imperatore Ferdinando, alludendo alla sua barba d'oro e alla sua carnagione bianchissima), che di vittoria in vittoria giunse fin nel centro della Germania dove da parecchi secoli nessuno conquistatore straniero aveva osato penetrare e che poi nel 1632 mori da eroe nella battaglia di Lutzen.
Egli è stato giudicato dalla storia come uno dei più grandi geni del suo tempo: spirito altero, ma non superbo, fiero e generoso verso i suoi nemici, equanime e sincero verso gli alleati, col tempo assunse quell'aria di condiscendenza propria degli uomini superiori che si sentono al disopra di tutto ciò che li circonda. La sua pietà istintiva dava al suo coraggio una tinta di esaltazione religiosa, che gli fece spesso confondere la causa sua con quella del Cielo e lo spinse a considerarsi come istrumento della vendetta divina (Schiller. La guerra dei trent'anni.). Le numerose sue vittorie non giunsero però mai ad inebbriarlo in modo da togliergli la visione netta delle cose: per quanto si ricerchi nessun segno di disquilibrio si nota nel suo carattere, nessuna turpitudine e nessun atto barbaro annebbia in alcun modo lo splendore della sua gloria, comunque egli vivesse continuamente nei campi di battaglia, e avesse dinanzi a sè esempi di ferocie inaudite da Tilly e da Wallenstein. Ond'è che Cristina da suo padre non potè ereditare che le migliori qualità, quali l'ingegno, il corragio, l'energia e la tendenza al magnifico. Sua madre fu Maria Eleonora figlia di Giovanni Sigismondo elettore di Brandeburgo; bella, ma di carattere balzano come quest'ultimo, vanitosa all'eccesso, debole di volontà e, pare anche, poco istruita, o almeno di un livello intellettuale di molto inferiore al marito. Prima di determinare in che modo in Cristina si fondessero i caratteri tanto diversi fra loro dei suoi genitori, diremo dell'educazione da lei avuta, specie nei primi anni, giacchè le due influenze, l'ereditaria e l'educativa si compenetrarono a vicenda.
La nascita di Cristina non fu accolta con molto entusiasmo, perchè i genitori avrebbero desiderato un maschio e tanto più se l'aspettavano in quanto gli astrologi lo avevano vaticinato. Del resto, come dice il Claretta, questi si sbagliarono solo a metà, poichè la creatura nata era pelosa, nera ed aveva voce maschia. La povera madre ne rimase addoloratissima e ne diè prova fin che ella visse. Il padre però ben presto divenne affezionatissimo alla bambina; si racconta anzi che per lui era un vero strazio viverne lontano, ed una volta, essendo essa inferma mentre egli trovavasi lungi, non curò strapazzi e, viaggiando notte e giorno, volò subito da lei per vederla almeno per un momento. Cristina prese sempre più l'ascendente sul padre (Ricordiamo qui che il padre partendo per la guerra dei trent'anni mentre essa aveva solamente quattro anni, la portò sulle braccia in Senato per farla riconoscere come futura regina di Svezia.) tanto che questi, sebbene essa fosse bambina, la conduceva con sè alla caccia e ai campi di esercitazione militare facendole indossare, forse per comodità, abito maschile e facendola anche cavalcare al suo fianco. Dal che si deduce da una parte che Cristina nei primi anni della sua vita ricevette educazione prevalentemente maschile e dall'altra che presto divenne l'enfant gâtée di suo padre. Che cosa sarebbe divenuta Cristina se Gustavo Adolfo non fosse stato costretto ad abbandonarla all'età di quattro anni per la guerra dei trent'anni? È un problema codesto che non tenteremo di risolvere, ma certo giudicando da ciò che avvenne dipoi, causa la lontananza e poscia la morte del padre, si può arguire che l'età di Cristina sarebbe trascorsa molto diversamente. Per contrario, morto Gustavo Adolfo, Maria Eleonora teneva sempre parato a lutto e nella fitta oscurità rotta soltanto da melanconici ceri, il suo quartiere, e appesa al capezzale del suo letto una teca d'oro contenente il cuore del defunto: schiamazzando e piangendo per ore intere essa voleva far assistere a quello spettacolo la giovinetta Cristina, che obbligava a dormir seco per rinnovare insieme con lei quelle scene. Inoltre, ai cinque grandi ufficiali della corona assegnatile dal padre come tutori si univano altri, i quali contribuirono, come dice il Claretta, a darle falsi indirizzi in ogni cosa.
È indubitato però che Cristina sortisse da natura un ingegno molto precoce, giacchè l'essersi disgustata ben presto dell'ambiente in cui la madre e i tutori volevano constringerla a vivere prova che essa fosse già ad un grado di sviluppo superiore alla sua età (Che ella non ne potesse più e che quindi, stante la sua età, andasse ad un eccesso opposto, mostrandosi indipendente e noncurante di tutto, vien provato dal seguente aneddoto: la madre avendola un giorno rimproverata col dirle che ove suo padre fosse ancora vivo non le avrebbe consentito molti divertimenti e passatempi eccessivi, essa non esitò a rispondere che in tal caso aveva fatto bene a morire. Non dissimuliamo però che una tale risposta comunque in una bambina, rivela già un carattere poco affettuoso.). Essa mostrò di ribellarsi e si rifiutò di seguitare a condurre il medesimo tenore di vita, e ottenne di dedicarsi tutta agli studi. Lo Stearn giudica quello studio assolutamente frenetico: a dieci anni dedicava dodici ore al giorno alle matematiche ed alle lingue; a sedici anni sapeva già sei lingue e s'intendeva di letteratura, di musica, di archeologica: a diciott'anni presiedeva il senato. Tutto ella voleva apprendere, perchè nessuna cosa le riusciva difficile; il suo ingegno era tanto versatile, quanto profondo. Allo stesso modo che il padre non aveva limiti nelle conquiste e nelle vittorie, così ella non intendeva di aver confini nel sapere; e forse non è un'esagerazione affermare che Cristina per sapere e per ingegno andasse avanti a tutte le donne celebri nella storia. Se non che dedicare a dieci anni dodici ore del giorno allo studio delle matematiche e delle lingue non era cosa da trascorrere senza lasciare alcun effetto, comunque essa fosse di fibra forte e robusta: ond'è che a noi sembra vada tenuto conto di ciò come di una causa esauriente.
Ognuno comprende quanto sia grande l'azione che possono esercitare sugli spiriti giovani le persone che li circondano: ebbene, è notevole che Cristina fu attorniata nei primi anni da individui che per nessuna condizione le si addicevano. Piuttosto che essere in relazione con persone della sua età e del suo sesso, essa era sempre con adulti e con uomini, i quali non ebbero di mira che favorire la sua tendenza allo studio smodato ed al lavoro diuturno. Così l'educazione impartita a Cristina, che è quanto di più falso e di più errato si possa commettere in cose educative, ci dà in parte da chiave per intendere la sua vita futura. Una ragazza che gran parte del giorno avrebbe dovuto dedicare agli svaghi e ai sollazzi propri della sua età e del suo sesso, era invece posta in un ambiente assolutamente inadatto. Si può immaginare qualche cosa di più sbagliato che porre una ragazza d'ingegno svegliato come Cristina da una parte in rapporto con dotti quali Grozio, Cartesio, Vossio, Iresheim [sic] ecc. e dall'altra con un medico francese Michon detto Bourdelot, figlio di un barbiere, il quale colle sue arguzie e coi suoi principî balzani giunse a cattivarsi la stima della giovinetta regina? A chi ascriver la colpa di tale educazione? A noi pare che non ne andasse immune lo stesso Oxenstiern.
Dopo ciò, non riesce più incomprensibile il fatto che Cristina per tutta la sua vita abborisse dalla compagnia delle donne, quantunque odiasse poi sempre il legame matrimoniale. Taluno volle vedere in quest'ultima cosa l'effetto della disillusione avuta nel non esser stata corrisposta dal conte Magnus de la Gardie, a quanto pare amato da lei appassionatamente.
Finita la Guerra dei trent'anni, al che pare ella cooperasse, e chiuso il campo delle glorie militari in cui il suo animo romanzesco trovava un gran pascolo, sarebbe stato necessario applicarsi all'avviamento dell'amministrazione del governo. E qui occorre notare che le enormi spese a cui la Svezia era soggiaciuta per le sue numerose guerre sostenute prima colla Polonia e poscia coll'Austria, e lo scialacquo fatto da Cristina col suo genere di vita avevano reso le finanze dello stato in condizione tale, che i creditori per poco che avessero preteso l'assestamento dei loro conti avrebbero potuto cagionarle gravi fastidi. E non si può negare che Cristina da principio avesse in animo di accomodare i dissesti finanziari, sperando di porre il suo paese in condizioni da compiere ancora delle imprese gloriose. A tale scopo essa non risparmiò fatica, nè studio, e già era al corrente del modo come si conduceva l'amministrazione in tutte le corti d'Europa. Sgraziatamente però i suoi sforzi rimasero senza risultato e non si può dire se per la gravezza degli ostacoli, ovvero per la debolezza sopravvenuta in lei nel sostenere la lotta. Il fatto è che all'età di 22 anni essa presentò un notevole mutamento nel suo carattere e mentre dapprima si era mostrata tutta intenta alle faccende del governo, divenne stanca, infastidita e desiderosa di condurre la vita a suo agio; mentre prima aveva mostrato energia e fermezza di volontà nel ricercare il benessere dei sudditi, si palesò dipoi leggera e immorale, sicchè in lei si poteva ravvisare una seconda personalità sovrapposta alla prima. Come dar ragione di un tale cambiamento? È da attribuirlo all'influenza ereditaria? Si sa, infatti, che i figli non solo ereditano contemporeanamente in modo misto i caratteri di entrambi i genitori, ma possono anche ereditare per un periodo della loro vita i caratteri di uno e per un altro quelli dell'altro genitore; in tal caso Cristina nella fanciullezza e nell'adolescenza avrebbe presentato in prevalenza i caratteri del padre e nella maturità avrebbe offerto massimamente i caratteri della madre, divenendo vanitosa, leggera, prodiga, intrigante e capricciosa. È certo in ogni modo che i caratteri fondamentali del padre (sapienza ed energia) non andarono mai perduti, ma furono come a dire coperti e sopraffatti dalle tendenze della madre. Ovvero il cambiamento di carattere suaccennato è da attribuirsi alle difficoltà incontrate nel suo governo e ai disinganni in conseguenza provati? Un suo biografo disse che essa ebbe animo grande, non fiaccato dalla lotta, tendenza al magnifico ed al grande, ma alla fine «rimase vinta». Noi veramente non sapremmo dare la prevalenza assoluta ad una causa piuttosto che all'altra; per noi entrambe, comunque spetti maggior peso all'influenza ereditaria, contribuirono a disporre il terreno per lo svolgimento dei due avvenimenti più importanti della vita di Cristina, che furono l'abdicazione e l'abbandono della religione luterana.
A prima vista cercare di spiegare tali avvenimenti sembra impresa oltremodo difficile; ma se noi teniamo conto da una parte del mutamento avvenuto nel carattere di Cristina all'età di 22 anni e dall'altra dell'ambiente in cui quegli avvenimenti si svolsero, tutto diverrà chiaro ed evidente. Cristina era una di quelle nature entusiastiche, appassionate per i loro ideali, per raggiungere i quali son disposte a compiere qualunque sacrificio. Essa aveva ereditato dal padre la tendenza a porre ogni ardore nel compiere le imprese più difficili; e fu in conseguenza di ciò che nell'adolescenza si dedicò tutta all'amministrazione del governo del suo paese, dove diede prova di forza e saggezza non comuni. Sperava che i suoi sforzi fossero coronati da lieto successo e che potesse riuscire a dare realmente alla Svezia quell'importanza in Europa che ella aveva vagheggiato sin da bambina: ma presto dovette accorgersi che il suo sogno non si sarebbe mai attuato; ed a disingannarla contribuì in massima parte la finezza del suo intelletto, che non le fece mai perdere la visione netta delle cose. Una natura meno ardente, meno colta si sarebbe probabilmente rassegnata al corso degli eventi, avrebbe fatto correr l'acqua per la sua china e avrebbe soltanto richiesto l'aiuto di personaggi influenti, ma Cristina che, come si è già detto, nell'entrare nella maturità cominciava già a presentare i caratteri della madre (leggerezza, vanità), nè si senti la forza di seguitare a lottare, nè ebbe l'animo di rassegnarsi alla sua sorte: donde la sua risoluzione in apparenza strana di abbandonare il trono, la quale figura quindi come la reazione del suo spirito agli ostacoli frappostisi all'attuazione del suo ideale. Interrogata sulle cagioni che la spingevano all'abdicazione, essa sapeva rispondere solamente che intendeva di dedicarsi a tutti i piaceri che la vita privata poteva consentire. Nè valsero a trattenerla dal suo proposito le varie rimostranze, le opposizioni e le preghiere che le furono mosse; essa fu irremovibile; e nel 1654, nel gran portico della città di Upsala, con grande spigliatezza, depose lo scettro, la corona e gli altri ornamenti regali.
Ormai la trasformazione era presso che completa in lei; il sentimento della libertà, dell'indipendenza vivissimo in lei trovava finalmente modo di esplicarsi e di manifestarsi senza essere trattenuto nella camicia di Nesso del cerimoniale di corte. La sua mente ormai aveva scosso il grave peso dei pensieri riflettenti l'amministrazione del governo e si sentiva per la prima volta veramente padrona di sè. E quanto più i suoi gusti, le sue tendenze per lo passato erano state compresse e trattenute, tanto più ora per reazione facevano ressa per esser tutte appagate: ed ogni giorno si può dire che s'imponessero a lei nuovi bisogni, nuovi esigenze che per lo passato forse non le erano sorte nemmeno in mente. Tutto ciò che era metodico, misurato e compassato doveva stancarla: tutto ciò che era formalità, convenzionalità doveva infastidirla: tutta la «serietà nordica» doveva riuscire di grande impaccio al suo spirito, che ormai desiderava di vagar libero nei campi dell'arte come nella vita. Da ciò il pensiero in Cristina di abbandonare la sua terra natale e venire qui in Italia, nel paese in cui l'arte e la natura si son date la mano per farne la più dolce dimora.
Cristina in tale periodo sentiva il bisogno come a dire di rinnegare tutto ciò che si potesse collegare colla sua vita passata: essa che voleva disfarsi di tutta la serietà nordica naturalmente dovette pensare, che a tal uopo era necessario abbandonare quei principî che ne erano fondamento e la sancivano. Tali principî, come ognuno comprende, erano forniti dalla religione luterana, ond'è che Cristina non esitò un momento a prendere la deliberazione di compiere l'atto che doveva renderla addirittura straniera alla sua terra natale e che doveva procacciarle amici ed adoratori da una parte e accaniti nemici dall'altra. E dopo l'abdicazione abbandona le spiaggie del Malear [sic] e giunta ai confini della Danimarca si accorcia i capelli, indossa abito maschile, si munisce d'armi militari e passa a Münster, dove visita col suo abito da amazzone il collegio dei gesuiti, al quale dona 200 ducati; muove quindi ad Anversa e dipoi a Bruxelles, ove la notte del 25 dicembre nella cappella dell'arciduca Guglielmo fa in segreto l'abiura nelle mani del suo confidentissimo Gian Battista Gomez [sic] domenicano. L'abiura pubblica poi ebbe luogo a Innsbruck ai piedi dell'Olstenio. Un'abiura fatta da una donna come Cristina, intelligente e colta, è cosa degna di fermare l'attenzione, giacchè è un fenomeno psicologico complesso, tanto più se si pensa che chi si spingeva ad un simile passo era figlia di Gustavo Adolfo che fu detto il «Paladino del protestantesimo». Molti hanno detto, forse per cavarsi d'impaccio, che l'abiura di Cristina non esce dal novero delle solite stranezze; altri che essa compì quell'atto per semplice interesse, sperando così di poter venire in Italia ed essere accolta e festeggiata dal Papa; altri (Stearn) che essa s'innamorò del cattolicismo con anima d'artista, ma che in fondo in fondo era atea. Dove sta la verità? Certo Cristina non era fornita di un sentimento religioso molto vivo, al che contribui in parte la sua sterminata cultura e più di tutto la sua dimestichezza col medico ateo Bourdelot, suo confidente; ma che Cristina fosse miscredente addirittura e che quindi fosse stato un atto d'ipocrisia quello di abbracciare solennemente il cattolicesimo non ci pare esatto, tenuto conto delle doti del suo animo, quali la sincerità e la lealtà di cui diede prove in ogni tempo. Per noi adunque l'anima di Cristina aveva un fondo di religiosità, il quale non era giunto a determinarsi e ad assumere una forma stabile, in modo che essa trovandosi in lotta cogli usi, colle abitudini e colle tradizioni nordiche, invece di dar la preferenza alla forma religiosa protestante si sentì attratta al cattolicismo, tanto più che quest'ultimo presentava il vantaggio di parlare al suo cuore d'artista. Essa che effettivamente amava tanto gli spassi, i divertimenti, gli svaghi dovette rimaner presa di tutte le esteriorità e di tutto il lusso che circondava il cattolicismo e non potè fare a meno di divenire amica dei papi. Ma certo nè i papi ebbero l'illusione di fare di lei una fervente devota, nè essa ebbe mai degli scrupoli a mettere in chiaro le macchie dei papi, cardinali, vescovi e preti. «Mes occupations», scriveva ella ai suoi intimi, «sont de bien manger et de bien dormir, étudier un peu, causer, rire et voir les comédies françaises, italiennes et espagnoles, et passer le temps agréablement; enfin je n'écoute plus de sermons.» A Madamigella di Sparre scriveva: «Enfin je n'écoute plus de sermons; je méprise tous les orateurs après ce que dit Salomon; tout le reste n'est que sottise, car chacun doit vivre content en mangeant, buvant et chantant».
Troppo lungo sarebbe esporre per filo e per segno gli avvenimenti svoltisi qui in Italia durante la dimora della regina di Svezia: un tal lavoro è stato fatto egregriamente dal Claretta. A noi tocca accennare fuggevolmente alle deduzioni che si possono trarre da quel racconto circa la psicologia di Cristina. Il carattere che massimamente colpisce in tal caso è la grande volubilità e contradittorietà di lei: oggi essa vuole ciò che non volle ieri e domani certamente non vorrà più quello che voleva oggi: a momenti si disgusta col vari papi e la vediamo mostrarsi energica, noncurante, poco rispettosa e forse anche ingrata, ma passano solo dei giorni ed ecco che diviene umile, pronta e genuflettersi e ad implorare perdono. Decorso qualche altro giorno ancora, Cristina si rivela di nuovo di malumore, adirata, sconfortata e disposta a rinfacciare ogni cosa al papa. Nè si creda che le ragioni di tali cambiamenti di umore fossero di alcun peso; giacchè per lo più si trattava di futilità a cui i papi finivano sempre per cedere. Le contraddizioni in cui s'avvolgeva sono assolutamente innumerevoli ed anzi si può dire che la sua mente vivesse di contraddizioni; amava la semplicità e la libertà, ma guai a venir meno dinanzi a lei al più piccolo particolare del cerimoniale, tanto che la più parte de' suoi attriti cogli ambasciatori delle varie potenze europee e coi membri del Collegio romano provenivano da mancanze di questo genere. Abbandonava il regno per viver libera e piena di fede e di entusiasmo si recava a Roma, ma dopo poco ne diveniva stanca e voleva tornare a regnare nel suo paese e, non potendo ciò conseguire, pensava financo di concorrere al trono della Polonia. Fu in questa occasione però che mostrò una serietà e una avvedutezza che forse non si sarebbero sospettate in lei: giacchè essa non solo non si fece delle grandi illusioni sulla probabilità di riuscita, ma fu ferma nel non voler venire a patti col promettere che appena salita al trono si sarebbe sposata ed avrebbe mutato di religione. Aveva a sdegno tutto ciò che sapesse di ciarlataneria e d'impostura, ma si dilettava di astrologia e di chiromanzia, dava ascolto agli indovini, perdeva tempo e danaro in cerca della pietra filosofale e nutriva l'illusione di possedere un segreto che prolungasse la vita oltre un secolo. Abborriva dalle formalità e convenzionalità di corte, ma si reputava sempre monarca assoluta e voleva comandare e disporre dappertutto a suo modo. Mostrava tanta alterigia innanzi ai papi ed ai cardinali, ma non disdegnava di proteggere delinquenti e di venire in dimestichezza con staffieri e peggio. Incostante sempre nell'affetto come nell'odio, faceva uccidere Monaldeschi in modo spietato, perchè costui aveva poco favorevolmente parlato di lei. Piena di contraddizioni si mantenne fino agli ultimi giorni della sua vita, quando essa pronunciò le parole famose: «Io voglio vivere quanto più allegramente e lungamente potrò: la morte, l'avvicinarsi della quale io presento, non mi spaventa: io l'aspetto senza dolore e senza timore».
Un altro carattere posto in luce dal racconto dei fatti compiuti da Cristina durante la sua dimora in Italia è lo sforzo che ella faceva perchè delle sue azioni tutti parlassero. Sentiva il bisogno imperioso di far tutte le cose in modo diverso dagli altri, di apparire singolare in tutti i suoi atti, come nei gusti e nelle opinioni. Il maggior dispetto che a lei si potesse fare era quello di imitarla: allora sì che o andava in tutte le furie, ovvero subito ricorreva ad un altro stratagemma affine di essere sempre la sola ad operare in un certo modo. Si spiega così la smania che essa aveva di proteggere la schiuma dei ribaldi e tutti quegli elementi che costituivano i rifiuti della società del seicento.
Non occorre fermarsi molto sulla tendenza della regina agli svaghi, ai divertimenti ed alle feste, giacchè ne abbiamo toccato di sopra: è bene invece richiamare l'attenzione sul suo egoismo, il quale si può dire che riassuma tutti gli altri caratteri. Nessuna affezione duratura e profonda si riscontra in lei al di fuori del culto della propria personalità; se mai qualche tratto di generosità si notò fu sempre per una veduta utilitaria, sperando che il bene che faceva agli altri si riflettesse su sè stessa. Più di una volta si mostrò feroce, spietata e fu sempre quando «l'augusta Sua Maestà» era stata in alcun modo offesa. E pur riconoscendo che le finanze della Corte pontificia fossero in quel tempo tutt'altro che prospere e che questa per sopperire alle ingenti spese dovesse sovraccaricare di balzelli, più o meno mascherati, i poveri romani, ovvero dovesse trascurare le opere di beneficenza, essa non indietreggiava mai a domandare del danaro ai vari papi, i quali per vedute politiche erano costretti a cedere sempre. La dimora di Cristina in Italia fu una vera piaga per le finanze pontificie.
Sicchè, riassumendo, noi possiamo dire che i caratteri che contraddistinsero Cristina durante la sua dimora in Italia fino alla sua morte avvenuta all'età di 63 anni (nel 1689) furono l'immoralità, la leggerezza, la vanità, la smania di rendersi «interessante», le numerose contraddittorietà e l'egoismo: quanto basta perchè noi ora possiamo avviarci a formulare brevemente il nostro giudizio sul suo stato mentale.
English translation (by Dr. Boyle):
Psychology of Queen Christina of Sweden.
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By DR. F. DESARLO.
The characteristic culture of this second half of our century is largely due to the great development of biological and historical science. In other times, it is true, history was perhaps a more grandiose reconstruction of a certain period traversed by humanity, but there was too much grouping and fusion of events, in such a way that the reader very often could not succeed in tracing the connection between the facts brought before him in consequence of the absence of many intermediate links, which had been deemed superfluous and unimportant. History thus presented itself as a succession of events (for the most part, wars) of which one frequently failed to comprehend the significance. The immense progress made in the experimental sciences having exerted a great influence over the education of modern judgment, has also induced a change in the methods followed in historical sciences; hence, we now have greater care of particulars, more diligent investigation into minutiæ, and a constant recourse for aid to other sciences in order to comprehend some historical figures otherwise inexplicable. It is easily understood how psychological science would be frequently called into requisition in history, and in fact, normal as well as pathological psychology has given excellent results in furnishing keys for the solution of many enigmas. I shall not stop to enumerate all the works which have been done in this line, nor shall I touch on the errors into which one is, in this respect, sometimes liable to fall, reserving to myself the privilege of saying something on this in my concluding remarks (Let it not be imagined that psychology and critical history are an exclusive product of this century. One requires only to read the biography of "Alexander, or the False Prophet", written by Luciano, in the second century of our era, to be convinced that our ancestors also understood these. There was, however, this difference, that while they sought to explain everything by means of imposture and trickery, to-day there is a tendency to have recourse to pathology for the explanation of similar facts.).
There are in history some figures which have the power of irresistibly attracting and fixing our attention; inasmuch as throughout their lives their actions are so full of interest and so far removed from the commonplace, that the more deeply one studies them the more active curiosity becomes to penetrate still further into the depths of their minds. Nor is this attraction diminished by the fact of their having lived at a time far distant from our own. One of this figures is certainly Christina, of Sweden, who played so important a part in Italian history of the Seventeenth Century. Christina, daughter of Gustavus Adolphus — "Hero of the North", as Schiller calls him, or "Lion of the North" as he was known by his contemporaries. Many in the past have occupied themselves with the Queen from an historical point of view, and it only remains for us to base on these historical studies our judgment on her mental state (Corrado Ricci has recently written a noteworthy article on Christina ("Nuova Antologia"), which supports our views.).
Hugo Foscolo observed in her above all other characteristics (sincere love of art and great talent) a ferocity which caused her to resemble the sad heroine of the Edda and of the Nibelunghen Lied, accompanied by so peculiar a mode of life and thought, that it at times approached insanity. D'Alambert agrees with Foscolo, while Muratori (Cretella. "Cristina di Svezia in Italia." Gazz. letter di Torino. June, 1892.), always mild in his judgments and out of respect to a memory dear to Catholicism, contents himself with saying that Christina was in mind, talent and literature superior to her sex. Recently, Claretta (Claretta. "La Regina di Svezia in Italia. Torino, 1892.) undertook to "pennelleggiare al vivo l'ingegno, la bizzarria, le incoerenze e le buone e lodevoli applicazioni di quella strana e cervellottica principessa" ["To vividly depict the genius, the oddity, the incoherence and the good works of that strange and brainy princess."], accompanying his exposition with interesting documents. Lastly, without mentioning all the others who more or less recently have written of Christina, we shall note here the essay published by Stearn (*Stearn. "Hristina Korolewa Szweczkaia tr Kowalewski." Archiv. Psichiatrii Neurologii i Cudenoi Psichopathologii."), with a view to determining her temperament from a psychiatric stand-point, in which he arrives at the conclusion that her mind must be relegated to that indeterminate zone which divides reason from insanity.
Christina's character is of so complex a kind that at first view it seems to have been formed in order to defy all the definitions and schemes of modern psychological analysis. We do not intend to enter into all the details of her life, but merely to note such important events in it which have weighed with us in arriving at our judgment of her character. To proceed in order then, we begin by fixing our attention for a moment on the characters of her parents. Her father, the last of the Vasa dynasty was "that snow giant" (as he was called by the Emperor Ferdinand, alluding to his golden beard and white complexion), who, by victory after victory, reached the center of Germany, into which, for several centuries, no foreign conqueror had dared to penetrate, and afterwards died heroically at the battle of Lutzen.
He is judged by history to have been one of the greatest men of his time; of a high, but not haughty, spirit; proud, but generous to his enemies; just and sincere to his allies; he assumed in time that air of condescension of superior men, who feel themselves above those by whom they are surrounded. His instinctive piety gave a tint of religious exaltation to his courage and made him confound his cause with that of Heaven and to consider himself as an instrument of divine vengeance (Schiller. "Thirty Years' War."). His numerous victories never, however, succeeded in intoxicating him to such an extent as to deprive him of his clear views of things, for in no researches can we find any notice of a lack of equilibrium in his character and no baseness nor barbarous acts, cloud in any way the splendor of his glory, though he lived continually in the field of battle, and had before him as examples the unheard-of atrocities of Tilly and Wallenstein.
Hence, from her father, Christina could inherit only good qualities, such as genius, courage, energy and a tendency toward the magnificent. Her mother was Mary Eleanor, daughter of John Sigismund, Elector of Brandenburg. She was beautiful, but of a vacillating temperament like her father, excessively vain, weak-willed, and it appears, but little educated, or at least she occupied a much lower intellectual plane than did her husband. Before deciding how the different characteristics of her parents were fused in Christina, we will speak of the education she had, especially in her early years, for the two influenced, hereditary and educative, go hand-in-hand.
Christina's birth was not received with much enthusiasm, for her parents had desired a son, and had expected this the more as it had been prophesied by astrologers. Indeed, as Claretta remarks, the latter, seemed to have made only half a mistake, for the creature born was heavy, dark and had a masculine voice. The poor mother was exceedingly disappointed and continued so as long as she lived. The father, however, soon became very much attached to the child, and it is said that it was a hardship for him to live away from her. Once when she was ill while he was absent, he took no note of obstacles, but traveled day and night to see her, if only for a moment. Christina had always great power over her father (It is said that her father before setting out for the Thirty Years' War, when she was only four years old, carried her into the Senate to make them acknowledge her as the future Queen of Sweden.), so much so that even when she was quite a child he took her with him on hunting expeditions and into the field of military maneuvers, making her assume, probably for convenience, masculine dress, and having her ride at his side. From this it may be deduced on the one hand that Christina in her early years received a masculine education, and on the other that she soon became l'enfant gâtèe [sic] of her father. What would Christina have become had her father not been compelled to leave her when she was four years old, in order to go to the Thirty Years' War? We shall not attempt to solve this problem, but certainly judging from what she afterwards became on account of the absence and death of her father, it may be argued that her life would have been a very different one. However, Gustavus Adolphus died and Maria Eleanor kept her apartments always in mourning, their darkness being broken only by melancholy ceremonies. At the head of her bed she had suspended a golden casket containing the heart of the deceased. She would lament and weep for hours and wished the young Christina to assist at these functions, making her sleep with her in order to have her always present at these scenes.
Besides the five great crown officials, assigned by her father as tutors, there were others who contributed, as Claretta observes, to give her false conceptions of things.
There is no doubt, however, that Christina was by nature very precocious, for the fact that she became very soon disgusted with the atmosphere in which her mother and tutors wished to compel her to live, proved that she had already reached a degree of development beyond that proper to her years (How independent and indifferent she was is shown by the following anecdote: Her mother having one day reproved her by saying that had her father lived he would not have consented to so many pastimes and amusements, she did not hesitate to answer that in that case it was better he was dead. We cannot deny that such a reply from a child betokens a character far from affectionate.). She rebelled and refused to follow the same kind of life, and gave herself up to her studies. Stearn considers that these studies were absolutely phrenetic. At ten years she gave twelve hours a day to mathematics and languages; at sixteen she had already mastered six languages, and understood literature, music and archæology; at eighteen she presided over the Senate. She wished to understand everything, for nothing was difficult to her, so versatile and highly gifted was she. Just as her father's conquests and victories had been unlimited, so she seemed to think there were no bounds to knowledge; and it is probably no exaggeration to affirm, that Christina surpassed in talent and knowledge, all the noted women of history. Although she was strong and robust, the dedication at ten years of age twelve hours a day to mathematics and languages, was not a thing which could be done without leaving some effect, and it seems to us this must be given a place as one cause of subsequent exhaustion.
Everyone knows what a great influence is exercised over the minds of the young by the people surrounding them, and it is noteworthy that Christina was surrounded by individuals who were in every way unsuited to her. Instead of being with people of her own age and sex, she was always with adults and men, who could only admire her and thus favored her inclination to immoderate studies, and prolonged labors. Thus the education imparted to Christina, which was of the most foolish and erroneous kind, gives us in part, the key to her future life. A child who should have devoted the greater part of the day to pastimes and recreations, was placed instead in totally unsuitable surroundings. It may be imagined what a mistake was made, when a child of such precocity as Christina was placed in relation with scientists, such as Grozio, Cartesio, Vossio, Ireisheim [sic], etc., and also with a French doctor Michon, alias Bourdelot, the son of a barber who, with his arguments and vacillating principles, succeeding [sic] in gaining the esteem of the young queen. To whom must the fault of this education be ascribed? It seems to us that Oxenstiern should not go free of blame.
After this, the fact is no longer incomprehensible that Christina during her whole life abhorred the company of women as much as she always hated the matrimonial bond. Some authorities attributed the latter characteristic to the effect of the dis-illusionizing consequent on her being unable to marry Count Magnus de la Gardie, whom she seems to have loved passionately.
The Thirty Years' War, in which she appears to have co-operated, being at an end, and the field of military glories in which her romantic mind found great scope, being closed, it became necessary for her to apply herself to the administration of the Government. It may be noted here that the enormous expense to which Sweden had been subjected by her numerous wars; first with Poland and then with Austria, and the extravagance of Christina's mode of life, had left the finances in such a condition that the creditors, however little they might have claimed the settlement of their accounts, would have been in a position to cause great annoyance. It cannot be denied that Christina from the first had fixed her mind on arranging the disordered finances, hoping to place the country in such a condition as to complete their glorious undertakings. To this end, she spared neither fatigue nor study, and was already au courant with the methods of conducting the government in all the courts of Europe. Unfortunately, however, her efforts were unavailing, whether on account of the magnitude of the obstacles, or from the weakness which she developed while carrying on the battle. The fact is that at the age of twenty-two years she presented a notable change in her character, and while at first she had been all intent on governing, she now became exhausted and tired and desired to lead her life according to her own fashion; while at first she had shown energy and strength of will in attending to the well-being of her subjects, she now showed herself frivolous and immoral, so that we seem to recognize in her a second personality superimposed on the first. What reason can be given for this change? Is it to be attributed to hereditary influences? It is known, in fact, that children not only inherit contemporaneously in a mixed fashion the characters of both their parents, but can also inherit for one part of their life the character of one; and for another, that of the other parent. In this case Christina in youth and adolescence presented principally the characteristics of her father, and in maturity those of her mother, becoming vain, frivolous, extravagant, intriguing and capricious. It is certain, however, that the fundamental qualities of her father (knowledge and energy) were never lost, but were[,] so to speak, covered and over-powered by those of the mother. Or is the above-mentioned change in character to be attributed to the difficulties met with in her government, and the dis-illusionizing consequent thereto? One of her biographers says that she had a great mind not weakened by struggling, a tendency to the great and magnificent, but at the end "rimace vinta." We, truly, cannot give preference to one cause more than another. To us it seems that both, though we attach greater weight to the hereditary influence, served to prepare the way for the development of the two most important events of Christina's life, viz., the abdication of the throne and her abandonment of the Lutheran religion.
At first sight to search, to explain such events, seems an exceedingly difficult undertaking; but if we take into account, on the one hand, the changes which Christina's character underwent when she was twenty-two years of age, and, on the other, the atmosphere in which these events developed, all becomes clear and evident. Christina had one of those enthusiastic natures, passionately devoted to their ideals, for the attainment of which they will make any sacrifice whatever. She had inherited from her father the faculty of bringing every energy to bear on the completion of the most difficult enterprises, and it was in consequence of this that in her youth she dedicated herself entirely, to the administration of the government of her country, in which she gave proof of uncommon strength and wisdom. She had hoped that her efforts would have been crowned with success, and that she would have been able to succeed in really giving to Sweden that importance in Europe which she had eyed longingly from childhood; but she soon perceived that her dream would never become a reality, and it was her bright intellect which never lost its clear vision of matters, which contributed in great measure to undeceiving her. A less ardent, less cultured nature, would probably have resigned itself to the course of events, would, so to speak, have allowed the stream to run its course, and would have called for aid from influential personages; but Christina[,] who, as we have already said, at her entrance into maturity began to present the characteristics of her mother (frivolity, vanity), neither had the strength to fight, nor could she resign herself to her fate; hence the resolution, which appears so strange, to abandon the throne; which resolution was merely the reaction of her spirit to the obstacles opposed to the realization of her ideal.
When asked the reasons which had led her to abdicate, she answered only that she intended to enjoy all the pleasures which private life can give. Nor did the numerous remonstrances, opposition, and prayers which were made serve to swerve her from her purpose; she was immovable; and in 1654, in the grand portico of the city of Upsala, with great tact, she resigned the scepter, the crown and other regal ornaments.
Now there was an almost complete transformation in her; her ideas of liberty and complete independence at last found ways to express themselves, without being first detained in the Nesso chamber of court ceremonial. Her mind had now shaken off the burden of thoughts of the administration of the government and she felt for the first time really mistress of herself. And just as much as her tastes and inclinations in the past had been repressed and kept in abeyance, just so much in the reaction, now they claimed to be gratified, and every day it may be said that she imposed on herself new duties; felt new needs of which in the past she had probably never even thought of. Everything that was methodical, measured or limited, fatigued her, everything that was formal or conventional bored her; all the "serietà nordica" (northern gravity) must give way before the great disturbance of her mind, which now desired to wander as freely in the field of art as in life. From this arose the thought of abandoning her native land and going to Italy, that country in which art and nature seem to have united to make the sweetest of dwelling-places.
Christina at this time felt the need of cutting herself loose, so to speak, from all that bound her to her past life; she, wishing to destroy all that northern gravity, naturally felt that in order to do this it was necessary to abandon the principles on which this was founded, and was the cause of it. Such a foundation was, as everyone knows, furnished by the Lutheran religion. Hence it was that Christina hesitated not an instant to form the resolution to complete the act which would make her an alien to her native land, and which must bring her on the one hand many friends and adorers, but on the other furious enemies. After her abdication she left the seaport of Malear [sic], and on reaching Denmark, cut her hair short, assumed masculine attire, armed herself and went to Münster, where she visited in her Amazonian garb, the Jesuit College, to which she gave 200 ducats; from there she went to Antwerp and thence to Brussels, where, on the night of December 25th, in the chapel of the Archduke William, she secretly placed her abjuration in the hands of her confidant, Gian Battista Gomez [sic], Dominican friar. The public abjuration took place at Innsbrück at the feet of Olstenio [sic]. An abjuration made by a woman like Christina, intelligent and cultured, is a matter worthy of our attention, for it is a complex psychological phenomenon, especially when we consider that she who was led to take such a step was the daughter of Gustavus Adolphus, who was known as the "Paladin of Protestantism." Many have said, perhaps in order to make trouble, that Christina's abjuration was only one of the numerous peculiar actions she was in the habit of doing; others, that it was merely an act of convenience, so that she could go to Italy and be received and fêted by the Pope; others (Stearn), that it was merely her artistic soul that caused her love of Catholicism, but that she was really an atheist. What is the truth? Certainly Christina was not possessed of a very religious nature, and to this her excessive culture had in part contributed, but above all her intimacy with the atheistic Dr. Bourdelot, her favorite, was to blame; but it does not seem to us that Christina was a thorough unbeliever, and that it was an act of hypocrisy on her part to solemnly embrace Catholicism, when we take into account her great mental gifts, amongst which were sincerity and loyality, of which she proved herself possessed always. To us therefore it seems that Christina had a fund of religiosity, which had assumed a determinate and stable form, and that she, finding herself in a struggle with use, custom and northern traditions, instead of giving the preference to the Protestant form of religion, felt herself attracted to Catholicism, which had the advantage of appealing to the artistic side of her nature. She who so loved all kinds of amusements and diversions allowed her fancy to be taken captive by the externals and all the luxuries which surrounded Catholicism. But certainly, neither had the Pope cherished the illusion of making an ardent devotee of her, nor had she any hesitation in exposing the machinations of the popes, cardinals, bishops, and priests.
"Mes occupations", she writes to her friends, "cout [sic] de bien manger et de bien dormir, étudier un peu, causer, rire et voir comédies Françaises, Italiennes et Espagnoles, et passer le temps agréablement; enfin je n'éconte [sic] plus de sermons." To Mademoiselle di Sparre she writes: "Enfin je n'éconte [sic] plus de sermons; je méprise tous les orateurs apres [sic] ce que dit Solomon [sic]; tout le reste n'est que sottise, car chæun [sic] doit vivre content en mangeant, buvant et chantant."
It would take too long to give in order and in detail all the events which took place in Italy during the sojourn there of the queen of Sweden; this has been admirably done by Claretta. It is of interest to us only to note in passing such deductions as may be drawn from his narrative, regarding the psychology of Christina. The characteristic which strikes us most forcibly is her great fickleness and contradictoriness; to-day she desires that which she did not wish yesterday, and to-morrow she will certainly not want what she desired to-day; at times she is disgusted with the different popes, and we see her showing herself as energetic, careless, disrespectful and sometimes also ungrateful, but only allows a few days to pass and behold she becomes humble, prompt to bow her knee and implore pardon. In the course of a few more days Christina again becomes bad-tempered, irritable, despondent and disposed to cast everything in the teeth of the pope. The contradictions in which she enveloped herself were absolutely innumerable, and indeed it may be said that her mind lived by contradiction; she loved simplicity but woe to him who came before her less the smallest particular of ceremonial, so much so that the greater part of her troubles with the ambassadors of the various European powers, and with the members of the Roman College, proceeded from faults of this kind. She abandoned her kingdom in order to live a free life, and full of faith and enthusiasm she went to Rome, but after a little she became tired of this and wished to return to rule in her own country, but not being able to do so, she even thought of laying claim to the throne of Poland. It was on this occasion, however, that she showed a gravity and forethought of which perhaps she would not have been suspected; for not only did she refuse to entertain great visions of the probability of her success, but she was firm in not wishing to come to an agreement in which she was required to promise that as soon as she ascended the throne she would marry and change her religion. She had a great contempt for what she knew to be charlatanry and imposture, but she delighted in astrology and chiromancy, gave ear to diviners, lost time and money in search of the philosopher's stone, and nursed the illusion that she possessed the secret of prolonging life beyond a century. She abhorred the formality and conventionality of courts, but she esteemed herself always an absolute monarch, and wished to command and dispose of things always, as such. She showed much haughtiness in the presence of the cardinals and popes, but she did not disdain to protect delinquents and to be intimate with grooms and even worse individuals. Inconstant always in love as in hate, she caused Monaldeschi to be put inhumanely to death, because she had spoken slightingly of her. Full of contradiction, she remained to the end of her life when she pronounced these famous words: "Io voglio vivere quanto più allegramente e lungamente potrò; la morte l'avvicinarsi della quale io presento, non mi spaventa; io l'aspetto senza dolore e senza timore."
Another characteristic brought to light by the account of Christina's actions during her sojourn in Italy, is the strength of which her actions all speak. She had a proud desire to do everything differently from other people, to appear singular in all her actions as in all her tastes and opinions. The greatest disrespect which could be shown to her was to imitate her; in such a case she either flew into a rage or suddenly had recourse to some other stratagem by means of which she would be the only person to do things in a particular way. It was for this that she showed such a mania for protecting the worst kind of wretches and all those elements which constituted the refuse of society.
It is not necessary to dwell long on the tendency of the Queen to pastimes, diversions and feasts, for we have touched on that above, but it would be well to call attention to her egoism which, it may be said, transcended all her other characteristics. No lasting or deep affections are met with in her, outside of her love of her own personality; if ever any trait of generosity is found[,] it is always done with a utilitarian view, hoping that the good she did to others would reflect on herself. More than once she showed herself ferocious and inhumane, and it was always when "Her Most Gracious Majesty" had been in some way offended. And, though recognizing that the finances of the Pontifical Court were at that time in anything but a prosperous condition and that in order to cover her heavy expenses they must burden the poor Romans with taxes in one disguise or another or neglect their looks of benevolence, she never hesitated to demand money from the various popes, and they for political reasons were compelled always to give it. The sojourn of Christina in Italy was indeed a calamity, as far as the pontifical finances were concerned.
So, to make a résumé, we may say that the leading characteristics which Christina showed during her stay in Italy until her death, at the age of 63 years (in 1689), were immorality, fickleness, vanity, a mania for making herself "interesting", numerous contradictions of character and egoism. This is sufficient to enable us now to begin to formulate briefly our judgment of her mental condition.
Above: Kristina.
Above: Dr. Francesco de Sarlo.
Note: The anecdote of Kristina telling Maria Eleonora that it was better that Gustav Adolf was dead did not happen during her childhood, but during her young adulthood in late May 1654, just days before her abdication and departure from Sweden.
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