Gaudenzio Claretta on Kristina's abdication, departure from Sweden, subsequent travels, conversion to Catholicism and nearing Rome (New Style dates used)

Source:

La regina Cristina di Svezia in Italia (1655-1689): Memorie storiche ed aneddotiche con documenti, pages 7 to 11, published by Gaudenzio Claretta, 1892

https://books.google.com/books?id=FVw5CkhVMLMC&newbks=1&newbks_redir=0&source=gbs_navlinks_s

The account:

III. — Abdicato adunque ch'ebbe Cristina il regno, senza rammarico abbandonò le belle spiagge del Maelar; e, come fu presso ai confini della Danimarca, la cui regina, travestita, ebbe mezzo di vederla in un albergo, non avendo creduto farlo prima per riguardo degli Svedesi che non favorivano le sue idee, tolto il motto: Fata viam invenient (essa si tronca la chioma), indossa abito maschile, si munisce d'armi militari e prende dimora presso il ricco ebreo Texeira suo agente e spedizioniere. Poi passa a Munster dove visita, col suo abito da amazzone, il collegio di quei gesuiti al quale dona 200 ducati. Muove quindi ad Anversa dove si trattenne con Gerardo Salian ricco mercante israelita. Ivi riprese la sottana muliebre. Fu pure quivi che recossi il conte Tott, deputato dal Senato di Svezia per iscongiurarla a mantenersi nella religione avita, e, compiuti i viaggi disegnati da lei, far di nuovo ritorno in patria. Ella naturalmente rispose con parole cortesi, ma si poteva ben supporre che da quel momento essa era irremovibile. Tant'è che già nuove a Bruxelles, ove la notte del 25 dicembre, con tutto segreto, nella cappella dell'arciduca Guglielmo fa l'abiura in mani del suo confidentissimo Giambattista Gomez [sic], domenicano, alla presenza di quel principe, del conte generale Montecuccoli, di Pimentel, del conte di Fuensaldagna, e del segretario del duca Augusto Navarra.

Quel grande avvenimento fu naturalmente sentito e commentato con singolare discrepanza di giudizi dai protestanti, dai luterani irritatissimi, e dai cattolici ricolmi di gioia.

La Corte di Roma ne trasse motivo a celebrare il trionfo della fede sull'eresia, e si dispose tosto a stendere il mantello di Noè sulle grandi debolezze della regina, e credere alla sincerità della sua conversione.

In mezzo a simile stato di cose, altro non rimaneva alla regina che di rivolgere unicamente i suoi sguardi e i suoi pensieri, a quella Roma, dove da lungo tempo erasi maneggiato quell'atto; dove già aveva spedite le sue preziose collezioni: e ben preziose, poichè si predicava che la sola biblioteca non temeva in Europa altre che l'emulassero; che i manoscritti raggiungessero il numero di 8000; che le pietre preziose e la quadreria, contenente opere del Coreggio e del Raffaello, avessero un valore straordinario. Si disse ancora che il suo successore non rinvenisse nel palazzo che pochi e meschini arnesi. Ed oltre all'indole di quella famosa città, che è la rappresentanza di tutto l'orbe cattolico, si prestava, a favorirne la risoluzione ormai presa, la persona stessa del sommo pontefice, ch'era Alessandro VII succeduto agli 8 d'aprile 1655 ad Innocenzo X, morto il 2 gennaio di quell'anno. Egli è noto come il Chigi, diplomatico consumato, siccome colui che era stato nunzio a Colonia, ed aveva collaborato alla compilazione della pace de' Pirenei, era fornito di modi dolci ed insinuanti. La sua elezione aveva destato grande entusiasmo in Roma, ove si spararono colpi di cannone continuamente e mortaletti più che secondo l'uso, e si erano accesi persino fuochi di fascine per dimostrare l'universale esultanza.

Le città e lo Stato pontificio erano stanchi del nepotismo del defunto pontefice, Giambattista Panfili, presso cui, come è noto, cotanto avevano potuto la famosa Olimpia Maidalchini, cognata d'Innocenzo X, consorte di Panfilo Panfili, fratello suo, e altra Olimpia, unica figlia di Giorgio Aldobrandini principe di Medola e Sarsina, principessa di Rossano, che in prime nozze sposava don Paolo Borghese principe di Sulmona ed in seconde il già cardinale Camillo Panfili, figlio dell'accennato fratello d'Innocenzo X.

Sotto il favoritismo dell'Olimpia tutto aveva potuto Camillo Castelli, giovine prelato di buona casa di Roma, divenuto cardinale padrone, e per adozione quindi aggregato ai Panfili, dei quali prese il cognome. Egli cadeva bensì presto dai favori, ma nel suo regno procurò la porpora a Decio Azzolino da Fermo, che doveva poi godere l'intima amicizia della nostra Cristina di Svezia, finchè fu a Roma.

A lui poi conveniva iniziare il suo pontificato con qualche innovazione, e sembrava volesse allontanarsi i parenti, promuovere istituzioni ecclesiastiche e favorevoli al progresso della religione. Ancora in Conclave, egli aveva divulgato che sarebbe stata buona l'elezione di pontefice tale, che non avesse una genealogia, o quanto meno non fosse inclinevole al nepotismo.

Egli è però vero che un anno dopo già cominciava a fare innovazioni al suo programma, provocando di tal guisa Pasquino a ciaramellare col dire: «Et homo factus est». E, fatto papa, accorgendosi di certe difficoltà di cui non aveva prima conosciuto la portata, si trovò impegnato fra l'affetto e il dovere, e cangiò, come vedremo. Ma nel primo anno del suo pontificato, l'avvenimento della regina di Svezia gli giovò assai per dar corso alle sue idee, e d'altronde compiere un atto generoso col dare splendida ospitalità nel suo Stato all'augusta neofita.

Già nell'agosto del 1655 i nostri agenti diplomatici facevano sapere alla Corte che Alessandro aveva fatto intagliare in una pietra preziosissima la sua effigie per farne dono alla regina; già si dava per certo che quanto prima Cristina avrebbe fatta comparsa in Roma. Il 20 settembre il segretario della Legazione savoina in quella metropoli, abate Gian Antonio Costa, scriveva ai nostri ministri che già si stavano costruendo i cocchi, le lettighe e le sedie ad uso di lei, e già erasi eletto a servirla di maggiordomo il padre del cardinale di Santa Croce. Vi fu taluno che aveva suggerito ad Alessandro d'inviare un prelato in abito clericale sino ai confini dello Stato pontificio, per ricevere dalla regina la professione della fede cattolica. Si voleva che, dopo tale atto, quel prelato dovesse accompagnarla in qualità di nunzio, e che in appresso si dovesse, a cagione di minor dispendio, affidare ad uno dei legati delle provincie la cura d'incontrarla e farla alloggiare per lo Stato ecclesiastico.

English translation (my own):

III. — So when Kristina had abdicated the kingdom, without regret she abandoned the beautiful shores of Lake Mälaren; and, when she was near the borders of Denmark, whose queen, disguised, had the opportunity to see her in an inn, having not believed to do so before out of respect for the Swedes, who did not favour her ideas, having removed the motto: Fata viam invenient (she cuts off her hair), she puts on male dress, provides herself with military weapons and takes up residence with the rich Hebrew Texeira, her agent and forwarder.

Then she goes to Münster where she visits, in her Amazon's habit, the college of those Jesuits to whom she donates 200 ducats. She then moves to Antwerp, where she stays with Gerard Saljan, a rich Israelite merchant. There she resumes the woman's cassock. It was also here that Count Tott, a representative of the Senate of Sweden, went to implore her to remain in her ancestral religion and, having completed the journeys she had planned, to return to her fatherland. She naturally responded with courteous words, but it could be assumed that from that moment on she was adamant.

So much so that she was already in Brussels, where on the night of December 25, in complete secrecy, in the chapel of Archduke Wilhelm, she abjured in the hands of her most confidant Juan Bautista Güemes, a Dominican, in the presence of that prince, of the general Count Montecuccoli, of Pimentel, of the Count of Fuensaldaña, and of the secretary of Duke Agosto Navarra.

This great event was naturally felt and commented on with singular discrepancy of judgment by the Protestants, by the very irritated Lutherans, and by the Catholics filled with joy.

The court of Rome took this as a reason to celebrate the triumph of faith over heresy, and was soon ready to spread the cloak of Noah over the Queen's great weaknesses and to believe in the sincerity of her conversion.

In the midst of such a state of affairs, the Queen had no choice but to turn her eyes and her thoughts solely to that Rome, where the act had long been in progress, where she had already sent her precious collections — and very precious indeed, for it was preached that her library alone did not fear any other in Europe to emulate it; that the manuscripts reached the number of 8000; that the precious stones and the picture gallery, containing works by Coreggio and Raphael, were of extraordinary value. It was also said that her successor would find in the palace only a few and miserable tools.

And in addition to the nature of that famous city, which is the representation of the entire Catholic world, the person of the Supreme Pontiff himself, Alexander VII, who, on April 8, 1655, succeeded Innocent X, who had died on January 2 of that year, lent himself to favouring the resolution now taken. He is known as Chigi, a consummate diplomat, as he who had been nuncio in Cologne, and had collaborated in the compilation of the Peace of the Pyrenees, was endowed with sweet and insinuating ways. His election had aroused great enthusiasm in Rome, where cannon shots were fired continuously and mortars more than usual, and even bonfires had been lit to demonstrate the universal exultation.

The cities and the Papal State were tired of the nepotism of the late pontiff, Giambattista Pamphilj, with whom, as is known, the famous Olimpia Maidalchini, the sister-in-law of Innocent X, wife of Panfilio Pamphilj, his brother, and another Olimpia, only daughter of Giorgio Aldobrandini, prince of Medola and Sarsina, princess of Rossano, had been able to do so much. Her first marriage was to Don Paolo Borghese, prince of Sulmona, and her second marriage to the former cardinal Camillo Pamphilj, son of the aforementioned brother of Innocent X.

It was then appropriate for him to begin his pontificate with some innovation, and he seemed to want to distance himself from his relatives, promote ecclesiastical institutions favourable to the progress of religion. Still in the conclave, he had divulged that it would be good to elect a pontiff who did not have a genealogy, or at least was not inclined to nepotism.

It is true, however, that a year later he was already beginning to make innovations to his program, thus provoking Pasquino to prattle by saying: "Et homo factus est". And, having become pope, realising certain difficulties whose extent he had not previously recognised, he found himself torn between affection and duty, and changed, as we shall see. But in the first year of his pontificate, the coming of the Queen of Sweden helped him greatly to give course to his ideas, and moreover to accomplish a generous act by giving splendid hospitality in his State to the august neophyte.

As early as August 1655, our diplomatic agents informed the Court that Alexander had had his effigy carved in a very precious stone to give as a gift to the Queen; it was already taken for granted that Kristina would soon appear in Rome. On September 20, the secretary of the Savoyard legation in that metropolis, Abbot Gian Antonio Costa, wrote to our ministers that the carriages, litters and chairs for her use were already being built, and that the father of the Cardinal di Santa Croce had already been elected to serve her as majordomo.

There was someone who had suggested to Alexander that he send a prelate in clerical dress to the borders of the Papal State to receive the profession of the Catholic faith from the Queen. It was intended that, after this act, that prelate should accompany her as nuncio, and that subsequently, for the sake of less expense, one of the legates of the provinces should be entrusted with the task of meeting her and having her lodged for the Ecclesiastical State.

Above: Kristina.

Above: Pope Alexander VII.