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La regina Cristina in Roma, article written by Lorenzo Grottanelli for La rassegna nazionale, volume 50, pages 244 to 253, 1889; original at the University of California
The account:
III.
Come è stato uso costante nella corte di Roma, gl'intrighi per l'elezione del nuovo pontefice erano cominciati, vivente Innocenzo X. Naturalmente dopo la sua morte si manifestarono attivissimi, ed i membri del sacro collegio si divisero in vere e proprie fazioni. Un certo numero di cardinali però aveva creduto di mantenersi indipendente, attendendo i resultati delle votazioni, per far trionfare o l'una o l'altra delle parti col proprio suffragio. Questi si intitolavano la squadra volante.
Tutti subivano l'influenza dei loro particolari interessi, e quella delle sollecitazioni delle potenze cattoliche.
Il marchese Riccardi presentava alla presidenza del conclave in nome di Ferdinando de' Medici la seguente lettera:
«Mi ha comandato il granduca mio signore, che io porti li suoi ossequi a questo collegio ed all'eminentissimo principe (decano), ed insieme offerisca la sua persona, gli stati suoi e ciò che dipende dal suo potere e volontà, nell'occasione così grande di eleggere il vicario di Cristo. Spera Sua Altezza dalla somma prudenza di vostra eminenza che assistiti dallo Spirito Santo divino, dare alla Chiesa di Dio un pastore che abbia da rinuovare la memoria di quei santi papi antichi e portare alla cristianità la pace e l'edificazione, l'una e l'altra tanto necessaria. Piaccia a Dio di esaudire le preci del granduca mio signore, mentre io all'eminenza Vostra notifico la volontà e l'ambizione di sua altezza di servirla, et io sono pronto per ricevere et obbedire i loro comandamenti».
Settanta cardinali si trovavano riuniti in conclave il 18 di gennaio del 1655.
La fazione Pamfili guidata dal cardinale Baccio Aldobrandini per l'incertezza del principe Cammillo perdè qualunque influenza. Il cardinale Francesco Barberini non voleva sbilanciarsi attendendo istruzioni dalla corte di Spagna. Fierissimi pettegolezzi, accuse di venali accordi con la corte di Madrid, infiniti litigi dividevano gli elettori. Il cardinale Giulio Sacchetti, d'illustre famiglia fiorentina, raccolse i maggiori voti, nè per tutto il mese di marzo perdè terreno.
I Veneziani dichiararono non avere nè predilezioni nè antipatia per alcun candidato, ma volevano l'eletto promettesse di concorrere alla guerra contro il Turco con tremila fanti, e le necessarie navi da trasporto.
L'otto di aprile per accordi presi con la squadra volante, fu concluso di sostenere Fabio Chigi estraneo a tutte le combinazioni, e su questi si riunirono tutti a suffragi. La notizia destò viva sorpresa e gran movimento in conclave, che ben presto si divulgò per la città.
Furono prontamente chiamati rinforzi di soldati perchè occupassero il ponte S. Angelo e tutte le strade di Borgo. Solamente le carrozze degli ambasciatori e dei principi potevano portarsi al Vaticano, ove si riunirono aspettando terminasse lo squittinio, che diede per resultato settantaquattro voti per un solo nome, ossia tenuto conto degli assenti, la unanimità a favore del Chigi.
Si volle dare molto merito di questo risultato alle premure di casa Medici; fu vero? la loro vanità ne fu appagata. Il nuovo eletto prese nome di Alessandro VII in memoria del suo concittadino Alessandro III.
I ripetuti colpi di cannone di castel S. Angelo diedero il fausto annunzio alla città: il conclave fu aperto, tutti i ministri fecero a gara a prostrarsi ai piedi del pontefice, ma il Chigi non ammise secretamente nella sua cella che il residente toscano marchese Riccardi, il quale presentò le congratulazioni del granduca; finalmente nella gran sala furono ammessi il corpo diplomatico, i prelati, il baronaggio ed i cavalieri. Seguì l'adorazione nella cappella Paolina; quindi l'eletto in sedia gestatoria fu portato in S. Pietro, ove ricevè la terza adorazione, e data la benedizione al popolo, entrò in palazzo, accompagnato dal corteggio al completo.
Molto fu commentato il contegno serio, sostenuto e severo di Alessandro VII con tutti i cardinali, meno il Medici e l'Astalli. Fra il baronaggio volle con un saluto particolarmente distinguere il gottoso principe Marcantonio Borghese, per il quale aveva una particolare simpatia.
Tutta Roma era in moto, continuavano i colpi di cannone, ovunque si accendavano i fuochi di fascine, gli spari di mortaletti si succedavano, le campane tutte e lungamente suonarono a festa.
L'elezione di Fabio Chigi fu generalmente gradita, la sua famiglia era conosciuta in Roma fino dai tempi di Leone X. I Chigi, è tradizione ripetuta ed ormai accettata, discendono da una di quelle numerose diramazioni di nobili del contado della salica dinastia dei conti Ardengheschi, e più precisamente si crede da quei signorotti i quali tennero la loro feudale dimora nel turrito casolare di Macereto poco distante da Siena, consorti dei signori di Orgia e di Fornoli.
La storia ben conosciuta ed autentica dei Chigi comincia dall'epoca della loro residenza nel supremo magistrato della repubblica senese, al quale fu ascritta nel 1377, facendo parte di quella fazione popolare, che col nome di ordine del Riformatori, già da nove anni governava la repubblica. La posizione però, veramente superiore a tutti i suoi concittadini, la prese sul finire del secolo decimoquinto Agostino, figlio di Mariano di Agostino di Nanni, il quale frequentando Roma per i suoi interessi, finì con lo stabilirvisi, essendosi per le sue ricchezze acquistato il nome del più gran mercante d'Italia.
Le sue relazioni commerciali dovevano essere importantissime, sapendo che aveva diretto alla corte di Francia una protesta perchè gli erano state catturate alcuni navi durante le guerre di Luigi XII e papa Giulio II.
L'origine dei suoi tesori era stata in gran parte la coltivazione delle miniere del sale e dell'allume, che aveva preso in affitto dalla Camera Apostolica. Durante il pontificato di Giulio II, gli era stata affidata la soprintendenza delle finanze, ufficio che esercitò con tale onestà ed abilità di consigliare il pontefice di onorario con una specie di adozione nella propria famiglia, accordandogli il privilegio per sè e suoi discendenti all'infinito, di far uso dello stemma dei della Rovere, inquartato col proprio, dei cinque monti sormontato da una stella d'oro sullo scudo rosso.
Agostino Chigi invece di profondere i suoi molti danari in un lusso vano e stolto, difetto degli animi volgari, ebbe la lodevole ambizione di associare il suo nome nella memoria dei posteri con quello dei più celebri artisti del fioritissimo secolo nel quale visse.
Ordinò all'immortale Raffaelle Sanzio le pitture della sua cappella nella chiesa della Pace. In Santa Maria del Popolo fece costruire una bella cappella a cupola, opera dello stesso Raffaello; lo volle autore delle pitture, e che dirigesse le sculture che l'adornano.
Alcuni ritengono che di Raffaello fossero pure i cartoni delle pitture dell'attico dei quattro tondi e quei mosaici della cupola non chè del quadro dell'altare. Sebastiano del Piombo, Cecchino Salviati ed il cavaliere Vanni Senese eseguirono le varie pitture. In questa cappella doveva esservi il mausoleo di questo splendido Italiano.
Fu il Chigi che chiamò da Venezia Sebastiano di Luciano il quale dall'ufficio affidatogli dal papa di mettere i sigilli di piombo alle bolle e brevi, ne ritenne il nome. Scolaro dei Bellini e dopo del Giorgione, si era acquistata meritata celebrità.
Agostino Chigi meditava un'opera più grandiosa: acquistò un terreno vago nel rione di Trastevere allo scopo di inalzarvi una abitazione che, per eleganza di architettura, per ampiezza di mole, per ricchezza di capilavori di ornamentazione, divenisse uno splendido tempio delle arti. Scelse per architetto Baldassarre Peruzzi, il Raffaello senese. Aveva desiderato l'Urbinate dovesse essere l'artefice di tutte le opere interne di pittura ed ornato, nè qui posso trattenermi a descrivere l'opera insigne di tanti celebri artisti, bastì ricordare le lunette della favola di Psiche, la Galatea, i dipinti di Giulio romano.
Agostino Chigi, amico di Giovanni de' Medici, divenuto papa Leone X, lo ebbe ripetutamente ospite in questo magnifico palazzo, circondato dalla sua corte di cardinali, di prelati, di artisti, i quali rappresentavano per la loro celebrità tutto quello che di più eletto fioriva in quel secolo che dal pontefice prese nome.
I conviti furono per sfarzo di ricchezza tali, da sorprendere la stessa Roma, dei quali ancora non è perduta la memoria nella tradizione popolare.
Agostino sposò in prime nozze Margherita Saracini, in seconde Francesca Ordelaffi. Una figlia Margherita si maritò a Cammillo di Fabbrizio Colonna, dopo al cognato Sciarra, condottiere delle truppe imperiali; ed anche di questo secondo marita restata vedova, passò a terze nozze con Giulio Caraffa. Una seconda figlia sposò Giuliano Salviati.
Il figlio Lorenzo si accasò con Laura Capizzucchi. Da questi nacque un Agostino, che da Ortensia Gabbrielli ebbe Clarice ultima discendente del magnifico Agostino, la quale si maritò al cavalier Lelio Camaiani. Ma le grandi ricchezze lasciate dal celebre mecenate italiano nei suoi eredi generando trascuraggine, inettezza, costumi corrotti, in breve ora si ridussero in decadenza, ed in povero stato si estinsero. La splendida dimora di Agostino con tutto quanto di prezioso conteneva fu venduta all'asta con decreto di Papa Gregorio XIII del 24 aprile 1580 onde pagare i creditori. A vilissimo prezzo il cardinale Alessandro Farnese acquistò la villa. I Chigi protestarono, nè vollero ratificare il contratto se non dopo dieci anni.
Da quest'epoca il monumentale palazzo dal nome del fortunato possessore fu chiamato la Farnesina.
Sigismondo fratello del magnifico Agostino sposò nel 1508 Sulpizia, la figlia di Pandolfo Petrucci allora dittatore di Siena.
A questi si deve la costruzione di quella villa signorile delle Volte di architettura Peruzziana presso Siena nella quale furono ospitati successivamente i pontefici Giulio II e Paolo III. Questa residenza campestre aveva all'intorno una vasta e feracissima tenuta che da secoli apparteneva ai Chigi.
Mario figlio di questo Sigismondo ebbe successivamente tre mogli, Claudia Colonna, Ortensia Ghinucci, ed Agnese Bulgarini, della quale con altri fu figlio Flavio che per il lato materno di Agnese si trovò ad essere nipote cugino di papa Paolo V.
Laura di Alessandro Marsili signore del Collecchio in Maremma, sposò Antonio Mignanelli di famiglia magnatizia senese che la rese madre di diversi figli dei quali ultimo fu Antonio Benedetto nato il 22 marzo 1590 dopo la morte del padre. Appena Laura fu sortita sal puerperio, ossia il successivo 10 di maggio, si fidanzò con Fabio Chigi ed il primo di giugno fu celebrato il matrimonio.
Da questo secondo matrimonio nacquero due femmine che si monacarono; Mario nel 1594, Sigismondo morto celibe, Agnese terza monaca, e Fabio il sesto figlio, nato secondo i registri senesi il 16 febbraio 1596, secondo la numerazione romana il 12 dello stesso mese del 1599. Fu tenuto al sacro fonte da Francesco Vanni cavaliere e gentiluomo senese, celebre pittore. Questi è quel Fabio che doveva essere pontefice col nome di Alessandro VII. Dopo nasceva un'altra femmina nel 1601, e quattro anni dopo Augusto. Finalmente, con due altre femmine da monacarsi, si chiudeva la figliolanza di Fabio e di Laura Marsili.
Mario fratello maggiore di Alessandro VII nel 1626 sposò Berenice di Tiberio della Ciaia, la quale era vedova di Giotto Fantoni. Questi coniugi ebbero quattro figli, solo due vissero, Agnese, che nata nel 1629 sposò Ansano Zondadari nel 1645, e Flavio nato nel 1631, creato cardinale dallo zio Alessandro VII. Augusto il fratello minore del papa sposò nel 1631 Olimpia di Pompilio di Arrigo della Ciaia, matrimonio desiderato da un Agostino Chigi, del quale Olimpia essendo pronipote, chiamò eredi i loro figli di tutto il suo patrimonio di ben centocinquanta mila scudi, gravato di una pensione vitalizia a favore di Fabio, onde servisse di onorato appannaggio per potere percorrere con maggiore decoro la carriera ecclesiastica.
Da Augusto nascevano cinque femmine ed un maschio per nome Agostino, destinato a continuare la famiglia con rango principesco.
Olimpia morì, e nel 1641 Augusto passò a seconde nozze sposando Francesca di Bernardino Piccolomini del ramo della Triana, nipote di quel Francesco Piccolomini generale dei gesuiti. Augusto da questa moglie ebbe altri tre figli, dei quali unico le sopravvisse Sigismondo che, morendo ben presto, lasciò in fasce.
Augusto, perduta la seconda moglie, andò a fare un viaggio di devozione alla Madonna di Loreto, fu assalito dalle febbri autunnali e si infermò gravemente. Desiderò durante un breve miglioramento di ritornare a Siena, ma giunto a Casteldurante vi morì soli tre mesi dopo la consorte. Delle figlie di Augusto e di Olimpia della Ciaia, Virginia nata nel 1634 sposò nel 1648 Giovambattista di Mario Piccolomini, ed Olimpia nata nel 1637 sposò Giulio di Marcantonio Gori nel 1653.
Onorata Mignanelli, sorella uterina di Alessandro VII, aveva sposato Firmano di Rutilio Bichi dei quali furono figli quell'Antonio, prima vescovo di Montalcino che lo zio creò cardinale col titolo di S. Agostino nel 1659, primo conte di Scorgiano. Giovanni al quale fu conferito il priorato gerosolimitano di Capua, ed il generalato delle galere dell'ordine. Un terzo figlio fu monaco Olivetano; e Rutilio dal quale discese quel ramo dei Bichi estinto nel passato secolo nei Borghesi di Siena.
Questi cenni genealogici servono per far conoscere quali erano le parentele dei Chigi ed i loro rapporti con i diversi individui beneficati dalla generosità di Alessandro VII. Per quanto il cardinale Fabio quando si trovava in conclave avesse dichiarato di desiderare l'elezione a pontefice di un cardinale che non avesse nè genealogia nè parenti, e creato papa dicesse che i parenti di Fabio Chigi non sarebbero stati mai quelli di Alessandro VII, perchè i parenti di un papa non si sarebbero trovati nei libri battesimali di Siena, la forza delle circostanze gli imposero i costumi generali.
Fabio Chigi per carattere, nè avido di accumulare ricchezze, nè intrigante per ottenere influenza, nè desideroso di dominare, si era, durante i pochi anni che fu cardinale, veramente ribellato contro lo sfacciato favoritismo, che era stato portato al colmo nel pontificato del suo predecessore, e desiderava di cooperare ad una radicale riforma.
Inaspettatamente creato pontefice, si avvide tosto che gli si paravano innanzi delle gravi difficoltà, di cui come cardinale, non conosceva la portata.
Quei suoi parenti che teneva lontani dalla corte erano impazienti di essere chiamati, e si trovava combattuto fra il dovere e l'affetto: Ma finalmente, Fabio Chigi era veramente nemico del nipotismo, o voleva piuttosto favorire i parenti con prudenza e moderazione? I suoi atti successivi lo farebbero credere.
Fabio Chigi come prelato, come nunzio, e come cardinale, aveva sempre avuti presso di sè alcuni di questi parenti a lui carissimi, i quali divenuto pontefice subito promosse.
I balì fra Clemente di Francesco Accarigi coppiere e cameriere segreto, divenne generale delle artigliere dell'ordine di Malta, Bandino suo fratello nel 1656 fu eletto vescovo di Massa e Populonia, fra Giulio Cesare di Lodovico Accarigi fu promosso priore di Venezia, fra Bernardino di Tiberio della Ciaia fratello della cognata Berenice di primo coppiere divenne scalco, e dopo passò colonnello delle guardie del cardinale legato di Bologna. Nè dimenticò i fratelli di questo, Niccolò e Giacinto; Fra Angelo della Ciaia figlio di Pompilio e fratello di Olimpia, l'altra sua cognata, fece promuovere nel suo ordine gran priore di Iberia, un secondo fratello nominò capitano della sua guardia.
Il suo medico Mattia Naldi divenne lettore di sapienza, con seicento scudi di stipendio, molti monsignori furono promossi, altri confermati nelle loro cariche.
Solo la sua famiglia tratteneva a Siena, onde essere libero nell'attuazione di quelle riforme che credè necessarie allo svolgimento del suo programma.
Al celebre cavalier Bernino nella prima udienza che gli accordò, ordinò una cassa da morto da tenersi sotto il letto. Il cardinale Lodovisi penitenziere avendogli domandato il permesso che tutti coloro i quali avessero assistito al conclave fossero assoluti dal proprio confessore, rispose negativamente, imponendogli di obbligarli a presentarsi ai penitenzieri, ed a questi ordinò facessero delle gravi ammonizioni ai loro penitenti. Di questi aneddoti veri o no se ne raccontano molti, elogiando la rettitudine del nuovo pontefice. Ogni nuovo principe dice, e più gli si fanno dire cose che divertono la società; lo scopo è raggiunto preparandogli del favore.
Roma continuava ad occuparsi della famiglia Pamfili, per quanto fosse morto Innocenzo X. Alessandro VII aveva mandato una guardia palatina ad intimare a donna Olimpia che fra tre giorni partisse da Roma, ed andasse a Viterbo da dove non si muovesse senza il suo permesso. Si ritirò infatti nella sua tenuta di S. Martino ove si occupava a custodire le sue molte ricchezze per quanto non corrispondenti ai suoi smodati desideri, finché nel 1657 morì vittima della peste.
Suo nipote cardinale Maidalchini era stato allontanato da Roma, aveva ottenuta ospitalità nella regale residenza di Caprarola, ove viveva. Un recente breve gl'impediva di poter passare dall'ordine dei diaconi a quello dei preti. Don Cammillo principe di Valmontone passata la fase degli amori romantici per la bella Olimpia Aldobrandini, i quali erano degenerati in sempre crescente discordia, e, come succede, in liti domestiche, poco edificanti, facevano le spese del cicaleggio delle conversazioni di Roma.
Il principe Pamfili, per quanto molto ricco, era assai misurato nelle sue spese, mentre sua moglie, al contrario, aveva la mania spendereccia, che irritava il marito. Ora si aggiungeva che Don Cammillo si era ingelosito di un gentiluomo della corte della consorte, un tale conte Porta, il quale, incoraggito dalla principessa, pretendendo di sostenerne il decoro, si era sfacciatamente imposto, ricusando di lasciare il palazzo. Un giorno fra il Pamfili ed il Porta si venne ad un diverbio, perchè era stato chiuso un certo accesso segreto al quartiere della principessa d'ordine di don Cammillo; dalle parole si venne ai fatti, il Porta, fu brutalmente cacciato, dopo un baratto di percosse col marito, poco dignitose ma molto significanti. Gli amici, i parenti, i cortigiani, si divisero in due campi nei quali figurarono alcuni cardinali interessati come pacieri, anche il Papa se ne occupò, senza che i suoi consigli fossero ascoltati.
Come succede, appunto per opera di estranei peggiorarono i rapporti fra i coniugi al segno che la principessa dovè rifugiarsi nel convento di Tor di Specchi, ove sfogava il suo malumore mettendo la confusione fra le monache. Lasciamo nella quiete del chiostro la bizzarra principessa di Rossano per occuparci della regina di Svezia.
(Continua)
LORENZO GROTTANELLI.
English translation (my own):
III.
As was the constant custom in the court of Rome, the intrigues for the election of the new pontiff had begun during the lifetime of Innocent X. Naturally, after his death they became very active, and the members of the Sacred College divided themselves into real factions. A certain number of cardinals, however, believed they could remain independent, awaiting the results of the voting, in order to make one or the other of the parties triumph with their own suffrage. They called themselves the Flying Squad.
All were influenced by their own particular interests, and by the solicitations of the Catholic powers.
Marquis Riccardi presented the following letter to the presidency of the conclave in the name of Ferdinando de' Medici:
"My lord the Grand Duke has commanded me to pay my respects to this College and to the Most Eminent Prince (the Dean), and at the same time to offer his person, his states and all that depends on his power and will, on the great occasion of electing the vicar of Christ. His Highness hopes that, through Your Eminence's supreme prudence, assisted by the divine Holy Spirit, you will give to the Church of God a pastor who will be able to renew the memory of those ancient holy popes and bring to Christianity peace and edification, both so necessary. May it please God to grant the prayers of my lord the Grand Duke, while I notify Your Eminence of His Highness' will and ambition to serve you, and I am ready to receive and obey your commands."
Seventy cardinals met in conclave on January 18, 1655.
The Pamphilj, faction led by Cardinal Baccio Aldobrandini, lost all influence due to the uncertainty of Prince Camillo. Cardinal Francesco Barberini did not want to commit himself, waiting for instructions from the Spanish court. The most fierce gossip, accusations of venal agreements with the court of Madrid, and endless quarrels divided the electors. Cardinal Giulio Sacchetti, from an illustrious Florentine family, collected the most votes and did not lose ground throughout the month of March.
The Venetians declared that they had neither predilection nor antipathy for any candidate, but wanted the elected one to promise to participate in the war against the Turks with three thousand infantrymen, and the necessary transport ships.
On April 8, by agreement with the Flying Squad, it was decided to support Fabio Chigi, who was a stranger to all the combinations, and on this they all gathered to vote. The news caused great surprise and great movement in the conclave, which soon spread throughout the city.
Soldiers were promptly called in to occupy the Ponte Sant'Angelo and all the streets of Borgo. Only the carriages of the ambassadors and princes could go to the Vatican, where they gathered to wait for the squittinio to end, which resulted in seventy-four votes for one name only, or, taking into account the absentees, unanimity in favour of Chigi.
Much credit for this result was given to the efforts of the Medici family; was it true? Their vanity was satisfied. The new Pope-elect took the name of Alexander VII, in memory of his fellow citizen Alexander III.
The repeated cannon shots from Castel Sant'Angelo gave the city the happy news. The conclave was opened, all the ministers vied to prostrate themselves at the feet of the Pontiff, but Chigi secretly admitted into his cell only the Tuscan resident, Marquis Riccardi, who presented the congratulations of the Grand Duke. Finally, the diplomatic corps, the prelates, the baronage and the cavaliers were admitted into the great hall. The adoration followed in the Pauline Chapel; then the elected in the sedia gestatoria was carried to St. Peter's, where he received the third adoration; and, having given the blessing to the people, he entered the palace, accompanied by the entire cortège.
Much was commented on the serious, reserved and severe behaviour of Alexander VII with all the cardinals, except Medici and Astalli. Among the barons he wanted to distinguish with a greeting the gouty prince Marcantonio Borghese, for whom he had a particular sympathy.
All of Rome was in motion. The cannon shots continued, fires of fascines were lit everywhere, the shots of mortars followed one another, all the bells rang out in celebration for a long time.
The election of Fabio Chigi was generally welcomed. His family had been known in Rome since the time of Leo X. The Chigis, it is a repeated and now accepted tradition, descend from one of those numerous branches of nobles of the county of the Salian dynasty of the Ardengheschi counts, and more precisely it is believed from those lords who held their feudal residence in the turreted farmhouse of Macereto not far from Siena, consorts of the lords of Orgia and Fornoli.
The well-known and authentic history of the Chigi family begins from the time of their residence in the supreme magistrate of the Sienese Republic, to which they were ascribed in 1377, being part of that popular faction, which under the name of the Order of the Reformers, had already governed the Republic for nine years. However, the position, truly superior to all his fellow citizens, was taken at the end of the fifteenth century by Agostino, son of Mariano di Agostino di Nanni, who, frequenting Rome for his interests, ended up settling there, having acquired for himself through his wealth the name of the greatest merchant in Italy.
His trade relations must have been very important, knowing that he had addressed a protest to the court of France because some of his ships had been captured during the wars of Louis XII and Pope Julius II.
The origin of his treasures had been largely the cultivation of the salt and alum mines, which he had rented from the Apostolic Chamber. During the pontificate of Julius II, he had been entrusted with the superintendence of finances, an office which he exercised with such honesty and ability as to advise the honourary pontiff with a sort of adoption into his own family, granting him the privilege for himself and his descendants to infinity, of making use of the della Rovere coat of arms, quartered with his own, of the five mountains surmounted by a gold star on a red shield.
Agostino Chigi, instead of squandering his large sum of money in vain and foolish luxury, a defect of vulgar souls, had the laudable ambition of associating his name in the memory of posterity with that of the most celebrated artists of the flourishing century in which he lived.
He commissioned the immortal Raphael Sanzio to paint his chapel in the church of Pace. In Santa Maria del Popolo he built a beautiful domed chapel, the work of Raphael himself; he wanted him to be the author of the paintings and to direct the sculptures that adorn it.
Some believe that the cartoons for the paintings in the attic of the four tondi and those mosaics in the dome as well as the altarpiece were also by Raphael. Sebastiano del Piombo, Cecchino Salviati and the cavalier Vanni Senese executed the various paintings. This chapel was supposed to be the mausoleum of this splendid Italian.
It was Chigi who called from Venice Sebastiano di Luciano, who retained his name from the office entrusted to him by the Pope of putting lead seals on the bulls and briefs. A pupil of the Bellinis and later of Giorgione, he had acquired deserved fame.
Agostino Chigi was contemplating a grander work. He bought a vacant lot in the Trastevere district with the aim of erecting a house that, for its architectural elegance, its size, and its wealth of ornamental masterpieces, would become a splendid temple of the arts. He chose Baldassarre Peruzzi, the Sienese Raphael, as architect. He had wanted the Urbino native to be the creator of all the interior painting and ornamentation, and I cannot stop here to describe the illustrious work of so many celebrated artists; it is enough to recall the lunettes of the fable of Psyche, the Galatea, and the paintings of Giulio Romano.
Agostino Chigi, a friend of Giovanni de' Medici, who became Pope Leo X, repeatedly hosted him in this magnificent palace, surrounded by his court of cardinals, prelates and artists, who represented by their fame all that was most select in that century which took its name from the Pontiff.
The banquets were so lavish and rich that they surprised Rome itself, and the memory of them has not yet been lost in popular tradition.
Agostino married Margherita Saracini as his first wife, and Francesca Ordelaffi as his second wife. One daughter, Margherita, married Camillo di Fabrizio Colonna, then her brother-in-law Sciarra, leader of the imperial troops; and also after the widowing of this second husband, she married Giulio Carafa for the third time. A second daughter married Giuliano Salviati.
His son Lorenzo married Laura Capizzucchi. From them was born Agostino, who by Ortensia Gabrielli had Clarice, the last descendant of the magnificent Agostino, who married the cavalier Lelio Camaiani. But the great riches left by the famous Italian patron in his heirs, generating carelessness, ineptitude, corrupt customs, soon fell into decadence, and in a poor state became extinct. The splendid residence of Agostino with all the precious things it contained was sold at auction by decree of Pope Gregory XIII on April 24, 1580 in order to pay the creditors. At a very low price, Cardinal Alessandro Farnese purchased the villa. The Chigi family protested and did not want to ratify the contract until ten years later.
From this time onwards, the monumental palazzo named after its fortunate owner was called La Farnesina.
Sigismondo, brother of the magnificent Agostino, married in 1508 Sulpizia, the daughter of Pandolfo Petrucci, then dictator of Siena.
They are responsible for the construction of the noble villa of the Volte of Peruzzian architecture near Siena in which the Popes Julius II and Paul III were later hosted. This country residence was surrounded by a vast and fertile estate that had belonged to the Chigi family for centuries.
Mario, son of this Sigismondo, subsequently had three wives: Claudia Colonna, Ortensia Ghinucci, and Agnese Bulgarini, of whom, with others, was the son Flavio who, through Agnese's maternal side, found himself to be the nephew and cousin of Pope Paul V.
Laura of Alessandro Marsili, lord of Collecchio in Maremma, married Antonio Mignanelli, of a noble Sienese family, who gave her several children, the last of whom was Antonio Benedetto, born on March 22, 1590, after his father's death. As soon as Laura had given birth, that is, on the following May 10, she became engaged to Fabio Chigi, and the wedding was celebrated on June 1.
From this second marriage two females were born who became nuns; Mario in 1594, Sigismondo who died unmarried, Agnese the third nun, and Fabio the sixth child, born according to the Sienese registers on February 16, 1596, according to Roman numerals, on the 12th of the same month of 1599. He was held at the sacred font by Francesco Vanni, a Sienese cavaliere and gentleman, a famous painter. This is the Fabio who was to be pontiff with the name of Alexander VII. Afterwards another female was born in 1601, and four years later Augustus. Finally, with two more females to become nuns, the lineage of Fabio and Laura Marsili was closed.
Mario, the elder brother of Alexander VII, married Berenice di Tiberio della Ciaia in 1626, who was the widow of Giotto Fantoni. These spouses had four children, only two of whom lived, Agnese, born in 1629, married Ansano Zondadari in 1645, and Flavio, born in 1631, created cardinal by his uncle Alexander VII. Augustus, the younger brother of the pope, married Olimpia di Pompilio di Arrigo della Ciaia in 1631, a marriage desired by one Agostino Chigi, of whom Olimpia, being a great-niece, named their children heirs of his entire estate of a good one hundred and fifty thousand scudi, burdened by a life pension in favour of Fabio, so that it would serve as an honourable allowance to be able to pursue an ecclesiastical career with greater dignity.
Augusto had five daughters and one son, named Agostino, who was destined to continue the family with princely rank.
Olimpia died, and in 1641 Augusto married Francesca di Bernardino Piccolomini of the Triana branch, niece of Francesco Piccolomini, General of the Jesuits. Augusto had three more children with this wife, of whom only Sigismondo survived her, dying very soon after, he left in swaddling clothes.
Augusto, having lost his second wife, went on a devotional journey to the Madonna of Loreto, was attacked by autumnal fevers and became seriously ill. During a brief improvement he wished to return to Siena, but, having arrived in Casteldurante, he died there only three months after his wife. Of the daughters of Augusto and Olimpia della Ciaia, Virginia, born in 1634, married Giovambattista di Mario Piccolomini in 1648, and Olimpia, born in 1637, married Giulio di Marcantonio Gori in 1653.
Onorata Mignanelli, the uterine sister of Alexander VII, had married Firmano di Rutilio Bichi, whose children were that Antonio, first bishop of Montalcino, whom his uncle created cardinal with the title of Sant'Agostino in 1659, first count of Scorgiano. Giovanni who was conferred the Jerusalemite priory of Capua, and the generalship of the galleys of the order. A third son was an Olivetan monk; and Rutilio, from whom descended that branch of the Bichi family which became extinct in the Borghesi of Siena in the past century.
These genealogical notes serve to make known the relatives of the Chigis and their relationships with the various individuals who benefited from the generosity of Alexander VII. Although Cardinal Fabio, when he was in the conclave, had declared that he desired the election as pontiff of a cardinal who had neither genealogy nor relatives, and when created pope he said that the relatives of Fabio Chigi would never be those of Alexander VII, because the relatives of a pope would not be found in the baptismal books of Siena. The force of circumstances imposed general customs on him.
Fabio Chigi, by nature, neither greedy to accumulate wealth, nor intriguing to gain influence, nor desirous to dominate, had, during the few years he was a cardinal, truly rebelled against the blatant favouritism, which had been brought to its height during the pontificate of his predecessor, and desired to cooperate in a radical reform.
Unexpectedly created pontiff, he soon realised that serious difficulties arose before him, the extent of which, as a cardinal, he did not know.
Those relatives of his whom he kept away from court were impatient to be called, and he found himself torn between duty and affection. But, finally, was Fabio Chigi really an enemy of nepotism, or did he rather want to favour his relatives with prudence and moderation? His subsequent actions would make one believe so.
Fabio Chigi, as a prelate, as a nuncio, and as a cardinal, had always had with him some of these relatives who were very dear to him, and he immediately promoted them upon becoming pontiff.
The bailiff Friar Clemente di Francesco Accarigi, cupbearer and secret chamberlain, became general of the artillery of the Order of Malta. His brother Bandino was elected bishop of Massa and Populonia in 1656. Friar Giulio Cesare di Lodovico Accarigi was promoted prior of Venice; Friar Bernardino di Tiberio della Ciaia, brother of his sister-in-law Berenice, from first cupbearer became carver, and later became colonel of the guards of the cardinal legate of Bologna. Nor did he forget the brothers of the latter, Niccolò and Giacinto; Friar Angelo della Ciaia, son of Pompilio and brother of Olimpia, his other sister-in-law, promoted in his order to grand prior of Iberia, a second brother he appointed captain of his guard.
His doctor Mattia Naldi became a reader of wisdom, with a salary of six hundred scudi. Many monsignors were promoted, others confirmed in their positions.
Only his family remained in Siena, so that he could be free to implement those reforms that he believed necessary to carry out his program.
To the famous cavaliere Bernini, in the first audience he granted him, he ordered a coffin to be kept under the bed. Cardinal Lodovisi, the penitentiary, having asked him permission that all those who had attended the conclave should be absolved by their confessor, answered negatively, imposing that they should be forced to present themselves to the penitentiaries, and he ordered them to give serious warnings to their penitents. Many of these anecdotes, true or not, are told, praising the rectitude of the new pontiff. Every new prince says, and is made to say more, things that amuse society; the aim is achieved by preparing him a favour.
Rome continued to take care of the Pamphilj family, even though Innocent X was dead. Alexander VII had sent a palatine guard to order Donna Olimpia to leave Rome in three days and go to Viterbo, from where she was not to move without his permission. She, in fact, retired to her estate of San Martino where she took care of her many riches, even though they did not correspond to her immoderate desires, until she died in 1657, a victim of the plague.
His nephew Cardinal Maidalchini had been removed from Rome. He had obtained hospitality in the royal residence of Caprarola, where he lived. A recent brief prevented him from being able to pass from the order of deacons to that of priests. Don Camillo, Prince of Valmontone, past the phase of romantic love for the beautiful Olimpia Aldobrandini, which had degenerated into ever-increasing discord, and, as happens, into domestic quarrels, not very edifying, paid the price of the chatter of the conversations of Rome.
Prince Pamphilj, although very rich, was very moderate in his spending, while his wife, on the contrary, had a spendthrift mania, which irritated her husband. Now it was added that Don Camillo had become jealous of a gentleman of his wife's court, a certain Count Porta, who, encouraged by the Princess, claiming to uphold her decorum, had brazenly imposed himself, refusing to leave the palazzo.
One day there was an argument between Pamphilj and Porta, because a certain secret access to the Princess's quarters of Don Camillo's order had been closed; from words came action. Porta was brutally thrown out, after an exchange of beatings with her husband, not very dignified but very significant. The friends, relatives, courtiers, were divided into two camps in which some interested cardinals figured as peacemakers. Even the Pope took care of it, without his advice being listened to.
As it happens, it was precisely through the work of strangers that the relationship between the spouses worsened to the point that the Princess had to take refuge in the convent of Tor di Specchi, where she vented her bad humour by causing confusion among the nuns. We leave the bizarre Princess of Rossano in the quiet of the cloister to deal with the Queen of Sweden.
(Continued)
LORENZO GROTTANELLI.
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Above: Pope Alexander VII.
Above: Olimpia Maidalchini.
Above: Camillo Pamphilj.
Above: Olimpia Aldobrandini, Princess of Rossano.
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