Monday, July 4, 2022

Marco-Antonio Conti's account of the execution of Monaldeschi, November 1657

Source:

Journal d'un voyage à Paris en 1657-1658, page 323, by Philip Zoete van Laeke, published by A. P. Faugère, 1862


The account:

La Regina di Suecia, ammirabile in questo secolo e per le virtù dell'animo, delle quali dalla natura è stata con larga mano arrichita, e per le scienze con incessanti fatighe acquistate, delle quali sì è si ben servita ch'ha saputo cangiare un caduco regno terreno col celeste eterno, se ne passò già due anni sono da Fiandra, dove per qualche tempo era dimorata, in Italia per dover rinovare, si come fece, la professione della fede cattolica alli piedi del sommo Pontefice in Roma, con una numerosa corte composta quasi tutta de Spagnuoli, dei quali il principale che la reggeva, era il Duca della Cueva col titolo di Maggiordomo Maggiore, e la Duchessa sua moglie con quello di prima Dama, tralasciando il Conte Pimentelli che l'accompagnava in qualità d'ambasciatore del Re Cattolico, o più tosto per spiare i di lei andamenti. Avvedutasi la saggia Regina ch'i Spagnuoli esercitando la lor natura non men superba che avida, arrogandosi maggior autorità di quella che le conveniva, e nel comando, e nell'amministrazione degl'effetti reali di quali con ingordigia e rapacità, a lor voglia disponevano, per liberarsene cominciò ad introdurre al suo serviggio Italiani, de quali a poco a poco rinovò la sua corte: fra questi vi fu il Conte Santinelli e il Marchese Monaldeschi, l'uno e l'altro sudditi della Chiesa. Il primo della città di Pesaro, nel Stato d'Urbino, e l'altro di quella d'Orvieto, nella Provincia detta del Patrimonio; ambedue, e per antica nobiltà e per proprie qualità virtuose, degni di servire una tal Regina. Al Monaldeschi fu data l'incumbenza dell'amminstrazione della casa, e per le di lui mani passava tutt' il danaro; e al Santinelli quella di Mastro di Camera, con apparenza d'esser il più favorito.

Fra questi due Cavallieri nacque grandissima emulatione, e cominciarono a perseguitarsi entrambo; mà il Santinelli per molte parti che lo rendevano amabile, pervenne in qualche grado di gratia maggiore appresso la Regina; e era anche più amato nella di lei corte, e per il contrario odiato il Monaldeschi dalla maggior parte, mentre tutte le sfere inferiori regolano il lor moto dal primo mobile: il che accresceva maggiormente nel petto del Monaldeschi l'odio e l'emulatione verso il Santinelli, e deve ben credersi che se l'uno vegliava, l'altro non dormiva; ma molto più il Monaldeschi che scorgeva il suo emulo assai avanzato e sempre più avanzarsi nella gratia della Patrona; e però andava continuamente pensando al modo di scavalcarlo non tralasciando mezzi per arrivar a questo suo intento, che doveva al fine condurlo ad un infelice morte.

Haveva havuto notitia non si sa in che modo, d'alcune cose molto secrete e pregiuditiali o alla fama o all'interesse di Stato della Regina, che questa poteva pensare non esser note que al Conte, e che quando mai se fossero sapute altri, la Regina non havria potuto incolparne che il Conte e in tal modo pigliarlo in odio. Dell'opportunità di questo mezzo pensò servirsi il Monaldeschi per far cadere il suo competitore. Onde finse e fece scrivere alcune lettere, figurando che venissero da Roma e d'altri parti d'Italia alla Regina medesima, alla quale da persone supposte, e però incognite, con finto zelo verso di quella, era avvertita della notizia che si haveva delle cose secrete; e la Regina pensando, che solo il Conte l'haveva potuto rivelare, e che questo non fosse stato fedele e secreto, l'havesse disgratiato: come con effetto dubitò e per quanto dicono ne fece qualche passaggio sensato seco. Ma questo sapendo di certo non esser stato egli autore d'haverle publicate, ne accertò con caldissime e ferme attestationi la sdegnata Regina appresso la quale trovò credito, si come per avanti vi haveva ritrovata gratia, e fù giudicato che que sta potesse esser stata opera del Monaldeschi per far cadere il Conte, il fù applicato il modo di scoprirne il vero, tanto più che si sapeva non solo l'odio intestino che questo nudriva contro il Santinelli, ma che havendo quasi perso il dovuto rispetto verso la Patrona scioglieva ben spesso la lingua in non dovuti accenti; essendosi fatte l'altre diligenze con chi aveva havuto parte in far capitare le supposte lettere alla Regina, questo confessò non venir altrimenti d'Italia, ma esser opera del Monaldeschi.

Si era havuto di ciò qualche sentore da un suo confidente, e prese ad avertirlo, persuadendolo che se contenisse e che lasciasse libero d'arbitrio della Regina agradir chi più gl'andasse a genio, essendo il favor dei Principi momentaneo, chi non sta sempre collocato nell'istesso soggetto, il che poteva maggiormente credersi nel sesso femineo, che quantunque alle volte per sforzo di natura alcune habbia del maschile, ad ogni modo la medesima natura non le trasforma del tutto che non sian donne, come con la flemma e prudenza havria potuto sperare il Monaldeschi, o pure lasciar il servitio per liberarsi affatto da questa passione; persuadendoli anco che havendo penetrato che in camera havesse diverse scritture e lettere che l'havesse o abbrugiate, o levate, o consegnatele a lui perche l'havria portate in luogo dove non sariano state trovate. Ma l'infelice che non volse prestar fede a i saggi ricordi dell'amico fù forzato à suo malgrado credere ad un infelice nuntio dell'inimico ch'andò a denuntiarli l'inevitabil morte, che poco apresso andò a presentarli col ferro ignudo.

Dimora la Regina doppo il suo ritorno in Francia nel Real Palazzo di Fontanableo 12 leghe lungi da Pareggi. In questo medesimo sabbato, mattina dieci del corrente, si fece chiamar in camera Monaldeschi, quale intrato se lo chiuse, e con maestà regale, e con concetti pieni di sapere mostrandosi informata di tutti i suoi maneggi e artificii per giettar à terra il Santinelli, lo strinse si ch'il meschino o non seppe o non volse negarli, il tutto confessando; non si sà però se la Regina à ciò l'havesse indotto con promessa di perdono sotto la real parola.

Doppo di che e nel medesimo instante facendo, dalla stanza entrarlo nella galeria detta dei Cervi, dove di sua mano serratolo sen'andò incontinenti alle di lui stanze, dove si pigliò tutte le scritture e le lettere dalle quali non e dubiò, che trovasse verificato quanto dal Monaldeschi gl'era stato spontaneamente confessato, e davantaggio il che si crede da quello che immediatamente, mà con poca consideratione seguì: poichè nella medesima galeria nella quale poco di anzi haveva ferrato il Monaldeschi, fù mandato il Santinelli, col sua camerata, non in forma di cavalieri, per farlo mentire di quanto falsamente haveva detto, scritto, e operato; mà più tosto di sicarii: questi fattiseli avanti gli disse il Conte che pensasse all'anima sua, perche fra un'hora doveva morire. Ognun puo da se stesso considerare quanto li fosse duro tal nuntio, apportatoli dal suo inimico. Ad ogni modo facendo della necessità virtù, si ridusse in chiederlo in gratia, che gl'havesse dato tempo tutta la notte per potersi meglio rassignarsi à Dio: li fù replicato dal Santinelli non esservi altro tempo ch'un hora, e che si voleva confessarsi, li saria stato mandato il confessore. E perche il Monaldeschi si diffundeva in parole per prolongar vita, gl'altri impatienti non puotendo soffrir più lungo indugio cominciorno à ferirlo di colpi mortali, à quali il Monaldeschi non fece atto alcuno di resistenza e si ridusse à chiedersi il confessore; e introdottoli il capellano del Palazzo e fatta la confessione sacramentale ed apena finita, lo finirono d'occidere con stoccate, senza ch'il meschino facesse alcun segno di ressentimento. Non si sà se la Regina fosse à vista di si horrendo spettacolo o pure stasse dentro la stanza dove poco d'anzi l'haveva sentito, e da quella fatto l'entrar nella galeria.

Il giorn'appresso, chi fù la domenica, la Regina mando un suo cavaliere à darne parte alle Maestà del Rè e Regina e à Sua Eminenza acciò questa havesse la giusta causa ch'à ciò l'haveva mossa e resone capaci le Maestà loro, perche non havessero appresa sinistramente quest'attione attentata nel loro regno e palazzo reale.

Il Cardinale spedi un suo più intrinseco il lunedi alla Regina facendoli dire che non haveva ardito di dirio à Sua Maestà, non sapendo come fosse stato per apprenderlo. In che si nota molto la prudenza e destrezza del Cardinale, che se bene non e dubio ch'il Rè l'habbi saputo ad ogni modo vuol farlo professare di non havere havuto notitia per non obligarlo à sentirsene offeso, o pure di non curarsi del poco rispetto portatoli con essersi fatto assassinare dentro le stanze del suo palazzo reale un cavaliere quantunque fosse stato meritevole di cento morti, e con modo tanto imperioso; che come suo servitore li consigliava ch'addossasse tutta la colpa al Santinelli e sua camerata e che havessero commesso questo occesso senza sua participazione, e che la Regina per maggiormente testimoniarlo gl'havesse subito mandati via; perchè havria procurato d'oprare che Sua Maestà si fosse appagata di questa dechiarazione, altrimenti non havesse aspettato ch'il Rè fosse andato in Fontanableo à vederla come già haveva risoluto.

La persona mandata da Sua Eminenza giunse in Fontanableo il martedi e fatto l'imbasciata alla Regina. Questa disse haverlo ella ordinato e giustificò le cause molto urgenti ch'à ciò l'havevano mossa, ma ch'ad ogni modo perche cosi comandava il Rè, tenendo ch'il consiglio dato dal Cardinale fosse ordine reale, gl'havria mandati via: sicome d'indi à nol molto montanti sù le poste partirono.

Non si deve dare l'arbitrio in giudicare l'attione d'una Regina di tanto sapere, ne se si habbi fatto bene o male, o ecceduto nel modo, nel tempo, nel luogo, e se col chinder bocca con la meritata morte ad un mendace ch'ha falsamente parlato, posso haverla in pregiuditio della sua fama aperta al mondo tutto, anco per i futuri secoli; perche se fer giustificar l'attione vorra farli un processo estragiudiciale contro un defunto, chi non sà che simil sorte di processi fatti dopo morte d'un incolpato, quantunque ne diffamato di enormi delitti, non ritrovano fede appresso l'universalità. Ma chi il Santinelli per altro cavaliere, e per nascità, e par valore, e per virtù qualificato, e di molta stima, non habbi fatto in ciò attione degna della sua professione, è facile à giudicarlo perche quand'anche fosse stato, non solo sotto la Patronanza, ma sotto l'assoluto dominio e giurisdittione di questa Regina nel suo regno, e che dalla medesima li fosse stato espressamente commandato, egli doveva ben si obedirla, mà non in qualità di sicario e masnadiere, mà di cavaliere, con pigliarsi al Monaldeschi non inferiore à lui di antica nobiltà e d'altro per la mano e diratoselo in disparte fuor del palazzo, e mentirlo di quanto haveva falsamente detto, e con la spada in mano, e col valore confermarli la mentita giustificando in tal modo da verità senza nota d'infamia; e il mondo non havria che dire contro di lui, e molto meno contro la Regina, alla quale anche non sariano mancati modi più proportionati alla sua somma prudenza e sapere, quando da se stessa gl'havesse regolati, potendosi castigar l'infamia altrui senz'ombreggiar la propria reputazione. Accresce quella del Santinelli la codardia ch'in ciò ha mostrata perche ha manifestato non bastarli l'animo eseguir il commandamento della Regina con forma cavalieresca, mentre ha voluto associare la sua vita con quella di assassino con modo tanto biasmevole.

French translation (by Faugère):

La reine de Suède, admirable en ce siècle et par les qualités de l'âme dont la nature l'a enrichie à pleines mains, et par les sciences dont elle avait acquis la connaissance par des travaux incessants, vertus et sciences dont elle s'est si bien servie qu'elle a su changer la royauté fragile de la terre contre l'empire éternel du ciel, se rendit, il y a déjà deux ans, de Flandre où elle était restée quelque temps, en Italie pour renouveler, comme elle l'a fait, la profession de la foi catholique, aux pieds du Souverain-Pontife à Rome. Elle était accompagnée d'une cour nombreuse composée presque toute d'Espagnols, dont le premier et le directeur était le duc de la Cueva avec le titre de majordome; la duchesse sa femme avait celui de première dame. Le comte Pimentel l'accompagnait en qualité d'ambassadeur du roi catholique, ou plutôt pour surveiller ses démarches. La prudente reine ayant vu que les Espagnols, suivant leur caractère non moins superbe qu'avide, s'arrogeaient une autorité plus grande qu'il ne convenait, et dans le commandement et dans l'administration de ses biens royaux dont ils disposaient à leur volonté avec avidité et rapacité, commença pour s'en délivrer à faire entrer à son service des Italiens avec lesquels peu à peu elle renouvela sa cour. Parmi ceux-ci étaient le comte Santinelli et le marquis Monaldeschi, l'un et l'autre sujets de l'Église. Le premier, de la ville de Pesaro, dans l'Etat d'Urbino, et l'autre de celle d'Orvieto, dans la province dite du Patrimoine; tous deux, et par leur ancienne noblesse et par leurs belles qualités personnelles, dignes de servir une telle reine. La charge de l'administration de la maison fut donnée à Monaldeschi, et tout l'argent passait par ses mains; et à Santinelli celle de premier chambellan, étant en apparence le favori préféré.

Une très-grande jalousie naquit entre ces deux cavaliers, et ils ne tardèrent pas à se persécuter l'un l'autre. Mais Santinelli, par beaucoup de raisons qui le rendaient aimable, parvint à un degré de faveur plus grand auprès de la reine; il était aussi plus aimé à la cour, et au contraire Monaldeschi était détesté par le plus grand nombre, tous les inférieurs réglant leurs sentiments sur celui d'en haut, ce qui augmentait dans le cœur de Monaldeschi la haine et la jalousie envers Santinelli; et on doit bien penser que si l'un veillait, l'autre ne dormait pas: mais surtout Monaldeschi qui voyait son rival s'avancer de plus en plus dans le faveur de la souveraine; il songeait donc continuellement au moyen de le supplanter, ne perdant aucune occasion pour arriver à son but, qui devait le conduire à la fin à une mort malheureuse.....

Il avait eu connaissance, on ne sait comment, de plusieurs choses très-secrètes et préjudiciables ou à la réputation de la reine ou à l'intérêt d'Etat, et que S. M. pouvait penser n'être connues que du comte, en sorte que ai elles étaient jamais sues par d'autres, la reine n'aurait pu en accuser que le comte et ainsi le prendre en haine. Monaldeschi pensa à mettre à profit cette circonstance pour faire tomber son compétiteur. En consequence, il imagina et fit écrire plusieurs lettres qui étaient adressées de Rome et d'autres parties d'Italie à la reine elle-même par des personnes supposées et inconnues, où avec un zèle simulé envers elle, elle était avertie de la connaissance qu'on avait de ces choses secrètes; et la reine pensant que le comte seul avait pu les révéler, et qu'il n'avait été ni fidèle ni discret, l'aurait disgracié. Mais elle conçut des doutes, et lui communiqua, dit-on, quelques passages de cette correspondance; et celui-ci sachant bien ne pas être l'auteur de cette divulgation, en donna l'assurance à la reine indignée, dans les termes les plus chaleureux et les plus nets, et il retrouva son crédit après être rentré en grâce. On jugea que cette manœuvre pouvait avoir été ourdie par Monaldeschi, pour faire tomber le comte, et on chercha le moyen de découvrir la vérité, d'autant plus que l'on savait non-seulement la haine intérieure que celui-ci nourrissait contre Santinelli, mais qu'ayant presque perdu le respect dû à la souveraine, il se laissait aller à tenir des propos inconvenants. Ayant fait des démarches auprès de celui qui avait fait parvenir les prétendues lettres adressées à la reine, celui-ci confessa qu'elles ne venaient pas d'Italie, mais qu'elles étaient l'œuvre de Monaldeschi.

Un sien confident avait eu connaissance de ses projets et il tenta de lui persuader de se contenir, et de laisser toute liberté à la reine d'agréer celui qui lui conviendrait le mieux; la faveur des princes étant passagère et n'étant pas toujours fixée sur le même objet, ce qui pouvait surtout être vrai du sexe féminin, car bien que parfois il y en ait qui, par un effort de la nature, aient quelque chose du masculin, cette nature cependant ne les transforme pas si complétement qu'elles ne restent femmes; qu'ainsi avec de la modération et de la prudence Monaldeschi pouvait espérer, ou bien quitter le service de la reine pour s'affranchir de cette passion. Il essaya en outre de le persuader de pénétrer dans une chambre où il y avait divers papiers et lettres, de les brûler, ou de les enlever, ou les lui confier pour les placer en un lieu où ils ne seraient jamais trouvés. Mais le malheureux, qui ne pouvait pas prêter confiance aux sages avis de cet ami, fut forcé bien malgré lui à ajouter foi au messager funeste de son ennemi, venant lui annoncer la mort inévitable qui bientôt après se présenta à lui avec une épée nue.

La reine demeurait depuis son retour en France, au Palais-Royal de Fontainebleau, à douze lieues de Paris. Ce samedi même, au matin, 10 du courant, elle fit appeller dans sa chambre Monaldeschi. Quand il fut entré elle l'enferma, et avec une majesté royale et dans un discours plein d'habileté, se montrant informée de tous ses manéges et artifices pour renverser Santinelli, le pressa tellement, que le malheureux ou ne sout ou ne voulut pas nier, et confessa tout. On ne sait pas si la reine ne l'y avait pas engagé par une promesse de pardon sous la parole royale.

Après cela et dans le même instant, le faisant entrer de la chambre dans la galerie dite des Cerfs, où elle l'enferma de sa main, elle s'en alla incontinent dans les appartements de Monaldeschi, où elle prit tous les papiers et les lettres par lesquels se trouva vérifié ce que Monaldeschi avait confessé lui-même, et en outre ce que peut faire supposer ce qui suivit immédiatement, mais sans grand examen. En effet, dans la même galerie où peu de temps avant avait été enfermé Monaldeschi, Santinelli fut envoyé avec ses gens, mais non comme des gentilshommes pour lui donner un démenti de ce qu'il avait faussement dit, écrit et fait; mais plutôt comme des assassins. Il dit au comte de penser à son âme, parce que dans une heure il devait mourir. Chacun peut de soi-même comprendre combien lui fut cruelle une telle nouvelle apportée par son ennemi. Cependant faisant de la nécessité vertu, il s'abaissa à lui demander en grâce qu'il lui accordât toute la nuit, pour pouvoir se mieux résigner à la volonté de Dieu; Santinelli lui répondit qu'il n'aurait pas d'autre temps qu'une heure, et que s'il voulait se confesser, le confesseur lui serait envoyé; et comme Monaldeschi s'étendait en paroles pour prolonger sa vie, les autres impatients ne pouvant souffrir un plus long délai, commencérent à le frapper de coups mortels, auxquels Monaldeschi ne fit aucune résistance et se borna à demander le confesseur. On introduisit le chapelain du Palais, et il fit la confession sacramentelle; à peine était-elle terminée qu'ils achevèrent de le tuer avec les poignards, sans que l'infortune fit aucun signe de ressentiment. On ne sait pas si la reine fut témoin d'un si horrible spectacle, ou si elle resta dans la chambre où peu de temps avant elle l'avait interrogé, et d'où elle l'avait fait entrer dans sa galerie.

Le lendemain, qui était dimanche, la reine envoya un de ses gentilshommes pour donner connaissance de ce qui s'était passé à Leurs Majestés le roi et la reine, et au Cardinal afin que Son Eminence sût la juste cause qui l'y avait poussée, et pour empêcher que Leurs Majestés n'apprissent pas d'une manière fâcheuse cet acte accompli dans leur royaume et dans leur palais royal.

Le Cardinal envoya le lundi à la reine un de ses plus intimes, pour lui annoncer qu'il n'avait pas osé en informer Sa Majesté, ne sachant comment s'y prendre pour le faire. En quoi on remarque beaucoup la prudence et l'habileté du Cardinal qui, bien qu'il n'y a pas de doute que le roi avait tout su, voulut faire croire qu'il n'en avait pas eu connaissance, pour ne pas l'obliger à s'en trouver offensé et à ne pas se montrer blessé du peu de respect qu'on lui avait porté, faisant assassiner dans les appartements de son royal palais un gentilhomme, quand même il eût mérité cent fois la mort, et d'une façon si cavalière; que comme son serviteur, il lui conseillait de rejeter toute la faute sur Santinelli et son entourage, et de dire qu'ils avaient commis cet assassinat sans sa participation, et que la reine, pour le mieux prouver, les avait de suite renvoyés, et qu'ainsi il ferait en sorte que Sa Majesté fût satisfaite de cette déclaration; autrement elle ne pouvait pas espérer que le roi vint à Fontainebleau la voir, comme il l'avait résolu auparavant.

La personne envoyée par Son Eminence arriva à Fontainebleau le mardi, et s'acquitta de sa mission auprès de la reine. Celle-ci répondit qu'elle avait tout ordonné, et exposa les raisons très-urgentes qui l'y avaient poussée; mais que cependant puisque le roi l'ordonnait ainsi, considérant le conseil donné par le Cardinal comme un ordre royal, elle allait les renvoyer; et en effet, peu de temps après ils montèrent sur des chevaux de poste et partirent.

On ne doit pas se permettre de juger l'action d'une reine de tant de savoir, ni si elle a fait bien ou mal, ou manqué dans la manière, dans le temps, dans le lieu, et si d'avoir fermé la bouche par une mort méritée à un menteur qui a faussement parlé, peut causer un préjudice à sa réputation comme de tout le monde et même des siècles futurs; car si pour justifier cette action, elle voulait faire un procès extrajudiciaire contre un défunt, qui ne sait pas que des procès de cette espèce, faits après la mort d'un accusé, quelque coupable de crimes énormes, ne retrouvent plus de créance auprès de la généralité des hommes. Mais que Santinelli, d'ailleurs gentilhomme et distingué par la naissance et par la valeur et par un grand mérite, et très-estimé, n'ait pas fait en cela une action digne de sa position, c'est facile à juger, parce que quand même il eût été non-seulement sous la protection, mais sous l'autorité absolue de la jurisdiction de cette reine dans son royaume, et qu'elle-même lui eût expressément ordonné, il devait lui obéir, mais non en qualité d'assassin et de brigand; et comme un gentilhomme, prendre par la main Monaldeschi son égal par l'ancienneté de la noblesse et d'autres qualités, et l'entraîner hors du palais, lui démentir ce qu'il avait faussement dit, et avec l'épée en main et avec courage lui prouver son mensonge, établissent de cette façon la vérité, sans se couvrir d'infamie; et le monde n'aurait rien à dire contre lui, et contre bien moins contre la reine à laquelle, du reste, n'auraient pas manqué des moyens plus proportionnés à sa grande prudence et à son habileté, et qu'elle aurait réglés elle-même, pouvant ainsi châtier l'infamie d'autrui sans obscurcir sa propre réputation. Celle de Santinelli s'accroît de la lâcheté qu'il a montrée dans cet événement, parce qu'il a manifesté qu'il ne lui suffisait pas d'exécuter le commandement de la reine d'une manière chevaleresque, mais qu'il a voulu assimilier sa vie à celle d'un assassin, et d'une manière si blâmable.

Swedish translation (my own):

Drottningen av Sverige, beundransvärd i detta århundrade och genom de själsegenskaper, med vilka naturen har berikat henne med båda händer, och genom de vetenskaper, om vilka hon förvärvat kunskaper genom oupphörligt arbete, dygder och vetenskaper, med som hon tjänas så att hon visste hur man skulle byta ut jordens ömtåliga kungligheter mot det eviga himmelriket, gick redan för två år sedan från Flandern, där hon hade stannat en tid, till Italien för att, som hon gjorde, förnya yrket som den katolska tron ​​vid den suveräne Påvens fötter i Rom. Hon åtföljdes av ett talrikt hov, nästan helt sammansatt av spanjorer, vilkas chef och direktör var hertigen de la Cueva, med titeln hovmästare; hertiginnan, hans hustru, hade den som första dam. Greve Pimentel följde med henne som den katolske Konungens ambassadör, eller snarare, för att övervaka hennes steg. Efter att den förståndiga Drottningen sett att spanjorerna, efter sin karaktär som inte var mindre överlägsna än giriga, gav sig själva en större auktoritet än vad som var lämpligt, både i befälet och i förvaltningen av hennes kungliga egendom som de disponerade efter sin vilja med iver och rädsla, började bli av med den genom att i hennes tjänst ta italienare med vilka hon gradvis förnyade sitt hov. Bland dessa var greven Santinelli och markisen Monaldeschi, båda undersåtar av Kyrkan. Den första, från staden Pesaro, i delstaten Urbino, och den andra från den i Orvieto, i den så kallade provinsen Patrimonio; både och genom sin forna adel och genom sina fina personliga egenskaper, värdiga att tjäna en sådan Drottning. Ansvaret för förvaltningen av huset gavs till Monaldeschi, och alla pengar gick genom hans händer; och till Santinelli den av överkammarherre, som tydligen är den föredragne gunstlingen.

En mycket stor avundsjuka uppstod mellan dessa två kavaljerer, och de var inte långa på att förfölja varandra. Men Santinelli, av många skäl som gjorde honom älskvärd, uppnådde en högre grad av gunst hos Drottningen; han var också mer älskad vid hovet, och tvärtom hatades Monaldeschi av det största antalet, alla de ringa anpassade sina känslor till de höga, som i Monaldeschis hjärta ökade hatet och avundsjukan mot Santinelli; och man måste tro att om den ene var vaken, så sov den andre inte: utan särskilt Monaldeschi som såg sin rival avancera mer och mer till suveränens fördel; han tänkte därför ständigt på ett sätt att ersätta honom, utan att förlora någon möjlighet att nå sitt mål, som till slut skulle leda honom till en olycklig död.

Han hade lärt sig, ingen vet hur, om flera mycket hemliga saker som skadade vare sig Drottningens rykte eller Statens intressen och som Hennes Majestät kunde tro var kända endast för greven, så att, om de aldrig var kända av andra, kunde Drottningen bara ha anklagat greven för dem och därmed hatat honom. Monaldeschi tänkte dra fördel av denna omständighet för att få sin konkurrents undergång. Följaktligen utarbetade och lät han skriva flera brev, som från Rom och andra delar av Italien riktades till Drottningen själv av förmodade och okända personer, i vilka hon med en låtsad iver mot henne varnades för vetskapen om att man hade av dessa hemliga saker; och Drottningen, som trodde att greven ensam kunde ha avslöjat dem, och att han varken varit trogen eller diskret, skulle ha vanärat honom. Men hon hyste tvivel och meddelade honom, sägs det, några stycken av denna korrespondens; och den senare, väl medveten om att han inte var författaren till denna avslöjande, gav försäkran om den till den indignerade Drottningen, i de varmaste och tydligaste ordalag, och han återfick sin kredit efter att ha återvänt till hennes nåd. Man bedömde att denna manöver kunde ha kläckts av Monaldeschi, för att fälla greven, och man sökte ett medel för att upptäcka sanningen, så mycket mer som de visste inte bara det inre hat som den senare närade mot Santinelli, utan att efter att nästan ha förlorat respekten för suveränen, tillät han sig själv att göra olämpliga kommentarer. Efter att ha gjort framställningar till den person som hade vidarebefordrat de påstådda breven adresserade till Drottningen, erkände den senare att de inte kom från Italien, utan att de var Monaldeschis verk.

En av hans förtrogna hade fått reda på hans åsikter, och han försökte övertala honom att hålla sig fast och lämna Drottningen fri att acceptera vem som passade henne bäst; förmånen att furstar är övergående och inte alltid fästa vid samma föremål, vilket särskilt kunde gälla det kvinnliga könet, ty även om det ibland finns några som av naturens ansträngning har något manligt i sig, men denna natur, förvandlar dem inte så fullständigt att de förblir kvinnor; att sålunda, med måttlighet och försiktighet, Monaldeschi kunde hoppas, eller lämna Drottningens tjänst, att befria sig från denna passion. Han försökte också övertala honom att gå in i ett rum där det fanns olika papper och brev, bränna dem eller ta bort dem eller anförtro honom dem att placera dem på en plats där de aldrig skulle hittas. Men den olyckliga mannen, som inte kunde lita på denna väns kloka råd, tvingades trots sig själv att tro på sin fiendes ödesdigra budbärare, som kom för att tillkännage för honom den oundvikliga döden, som kort därefter presenterade sig för honom med ett draget svärd.

Drottningen hade bott sedan hon återvände till Frankrike, i det kungliga palatset i Fontainebleau, tolv lieues från Paris. Just den lördagsmorgonen, klockan 10 på morgonen, kallade hon Monaldeschi till sin kammare. När han hade gått in, låste hon in honom, och med kunglig majestät och i ett tal fullt av skicklighet, visade sig informerad om alla hennes manövrar och konstigheter för att störta Santinelli, pressade hon honom så mycket att den olyckliga mannen antingen inte lyssnade eller gjorde inte vill förneka, och erkände allt. Det är inte känt om Drottningen inte hade förbundit honom till det genom ett löfte om benådning under det kungliga ordet.

Efter det och i samma ögonblick som hon ledde honom från sovkammaren in i den såkallade galerie des Cerfs, där hon låste in honom med sin hand, gick hon omedelbart till Monaldeschis appartemanger, där hon tog alla papper och brev med vilka det var funnit att verifiera vad Monaldeschi själv hade erkänt, och dessutom vad som kan få en att anta det som följde omedelbart, men utan större undersökning. Faktum är att i samma galleri där Monaldeschi hade suttit fängslad kort tidigare, sändes Santinelli med sitt folk, men inte som herrar, för att ge honom ett förnekande av vad han falskt sagt, skrivit och gjort, utan mer som lönnmördare. Han sade åt greven att tänka på sin själ, för om en timme skulle han dö. Vem som helst kan själv förstå hur grymma sådana nyheter som hans fiende kom med var mot honom. Emellertid gjorde han en dygd av nödvändighet, böjde han sig ned för att bedja om den nåd, som han skulle giva honom hela natten, för att bättre kunna övergå till Guds vilja; Santinelli svarade att han inte skulle ha mer tid än en timme, och att om han ville gå till bikt, så skulle biktfadern skickas till honom; och då Monaldeschi bad honom att förlänga sitt liv, började de andra otåliga männen, som inte kunde uthärda ytterligare fördröjning, att slå honom med dödliga slag, mot vilka Monaldeschi inte gjorde något motstånd och nöjde sig med att be om biktfadern. Slottsprästen presenterades och han gjorde sakramentsbekännelsen. Knappast var det färdigt när de slutade döda honom med dolkarna, utan att olyckan visade några tecken på förbittring. Det är inte känt om Drottningen bevittnade ett sådant hemskt skådespel, eller om hon stannade i rummet, där hon en kort tid innan hon hade förhört honom, och varifrån hon hade lett honom in i sitt galleri.

Nästa dag, som var söndag, sände drottningen en av sina herrar för att göra Deras Majestäter konungen och drottningen och kardinalen bekant med vad som hade hänt, så att Hans Höghet skulle få veta den rättvisa orsaken som hade föranlett honom dit, och att hindra Deras Majestäter från att på ett olyckligt sätt få veta denna handling som utförts i deras rike och i deras kungliga palats.

Kardinalen skickade en av sina närmaste vänner till drottningen i måndags för att berätta för henne att han inte hade vågat informera Hans Majestät, utan att veta hur han skulle gå till väga. I detta lägger vi märke till kardinalens klokhet och skicklighet, som, även om det inte råder någon tvekan om att konungen hade vetat allt, ville få folk att tro att han inte hade varit medveten om det, för att inte tvinga honom att finna sig kränkt därav och att inte visa sig skadad av den brist på respekt som hade visats honom, att låta en herre mördas i sitt kungliga palats lägenheter, även om han hade förtjänat döden hundra gånger om, och på ett så kavaljerat sätt; att han, liksom sin tjänare, rådde honom att kasta all skuld på Santinelli och hans följe och säga att de hade begått detta mord utan hans medverkan, och att drottningen, för att bättre bevisa det, omedelbart hade avfärdat dem, och att sålunda skulle han få Hennes Majestät att bli nöjd med denna förklaring; annars kunde hon inte vänta sig att konungen skulle komma till Fontainebleau för att träffa henne, som han tidigare bestämt.

Den person som skickades av Hans Eminens anlände till Fontainebleau på tisdagen och utförde sitt uppdrag till drottningen. Den sista svarade, att hon hade befalt allt, och förklarade de mycket brådskande skäl, som föranlett henne till det; men att sedan konungen så befallde, med tanke på de råd som givits av kardinalen som en kunglig befallning, skulle hon avskeda dem; och sannerligen, strax efteråt steg de på sina posthästar och red iväg.

Man skall inte tillåta sig själv att bedöma en drottnings agerande utifrån så mycket kunskap, inte heller om hon har gjort rätt eller fel, eller saknat sättet, tiden, på platsen och om man skall ha stängt munnen av en förtjänt död för en lögnare som har talat falskt, kan orsaka skada på hans rykte för alla och till och med kommande århundraden; för att för att rättfärdiga denna handling ville hon göra en utomrättslig rättegång mot en avliden man, som inte vet att rättegångar av det här slaget, gjorda efter döden av en anklagad, vissa skyldiga till enorma brott, inte längre finner tilltro med det allmänna av män. Men att Santinelli, dessutom en herre och utmärkt genom börd och tapperhet och genom stora förtjänster, och högt uppskattad, inte har gjort en handling värdig hans ställning, är lätt att bedöma, eftersom att även om han inte bara hade varit under skyddet, men under den absoluta auktoriteten av denna drottnings jurisdiktion i hennes rike, och att hon själv uttryckligen hade beordrat honom, skulle han lyda henne, men inte som en lönnmördare och brigand; och som en gentleman, att ta Monaldeschi i handen, hans jämnåriga ålder av adel och andra egenskaper, och leda honom ut ur palatset, förneka honom vad han falskt sagt, och med svärd i hand och med mod att bevisa för honom hans lögn, på så sätt fastställa sanningen, utan att täcka sig med vanära; och världen skulle inte ha något att säga mot honom, och mycket mindre mot drottningen, som för övrigt inte skulle ha saknat medel som var mer proportionerliga mot hennes stora klokhet och skicklighet, och som hon själv skulle ha reglerat och därmed kunna tukta skändning av andra utan att skymma hennes eget rykte. Santinellis befallning förstärks av den feghet han visade i denna händelse, eftersom han visade att det inte var tillräckligt för honom att utföra drottningens befallning på ett ridderligt sätt, utan att han ville likställa sitt liv med en lönnmördares, och på ett så klandervärt sätt.

English translation (my own):

The Queen of Sweden, admirable in this century and by the qualities of the soul with which nature has enriched her with both hands, and by the sciences of which she had acquired the knowledge by incessant work, virtues and sciences of which she is so well served that she knew how to trade the fragile royalty of the Earth for the eternal empire of Heaven, went, already two years ago, from Flanders, where she had remained for some time, to Italy to renew, as she did, the profession of the Catholic faith at the feet of the Sovereign Pontiff in Rome. She was accompanied by a numerous court, composed almost entirely of Spaniards, whose chief and director was the Duke de la Cueva, with the title of Majordomo; the Duchesse, his wife, had that of First Lady. Count Pimentel accompanied her as the Catholic King's ambassador, or rather, to supervise her steps. The prudent Queen having seen that the Spaniards, following their character no less superb than greedy, arrogated to themselves a greater authority than was proper, both in the command and in the administration of her royal property which they disposed of at their will with avidity and rapacity, began to get rid of it by bringing into her service Italians with whom she gradually renewed her court. Among these were Count Santinelli and Marquis Monaldeschi, both subjects of the Church. The first, from the city of Pesaro, in the state of Urbino, and the other from that of Orvieto, in the so-called province of Patrimonio; both, and by their former nobility and by their fine personal qualities, worthy of serving such a Queen. The charge of the administration of the house was given to Monaldeschi, and all the money passed through his hands; and to Santinelli that of Grand Chamberlain, being apparently the preferred favourite.

A very great jealousy arose between these two cavaliers, and they were not long in persecuting each other. But Santinelli, for many reasons which made him amiable, attained a greater degree of favour with the Queen; he was also more loved at court, and on the contrary Monaldeschi was hated by the greatest number, all the lower ones adjusting their feelings to that above, which increased in Monaldeschi's heart the hatred and jealousy towards Santinelli; and one must think that if one was awake, the other was not sleeping: but especially Monaldeschi who saw his rival advancing more and more in the Sovereign's favour; he therefore continually thought of a means of supplanting him, losing no opportunity to attain his object, which was to lead him in the end to an unhappy death.

He had learned, no one knows how, of several very secret things prejudicial either to the reputation of the Queen or to the interest of State, and which Her Majesty might think were known only to the Count, so that that if they were never known by others, the Queen could only have accused the Count of them and thus hated him. Monaldeschi thought of taking advantage of this circumstance to bring about his competitor's downfall. Accordingly, he devised and caused to be written several letters which were addressed from Rome and other parts of Italy to the Queen herself by supposed and unknown persons, in which, with a feigned zeal towards her, she was warned of the knowledge that one had of these secret things; and the Queen, thinking that the Count alone could have revealed them, and that he had been neither faithful nor discreet, would have disgraced him. But she entertained doubts, and communicated to him, it is said, some passages of this correspondence; and the latter, knowing well that he was not the author of this disclosure, gave the assurance of it to the indignant Queen, in the warmest and clearest terms, and he regained his credit after having returned to her grace. It was judged that this maneuver could have been hatched by Monaldeschi, to bring down the Count, and a means was sought to discover the truth, all the more so as they knew not only the inner hatred that the latter nourished against Santinelli, but that having almost lost the respect due to the Sovereign, he allowed himself to make improper remarks. Having made representations to the person who had forwarded the alleged letters addressed to the Queen, the latter confessed that they did not come from Italy, but that they were the work of Monaldeschi.

A confidant of his had learned of his plans, and he tried to persuade him to contain himself, and to leave the Queen free to accept whoever suited her best; the favour of princes being transient and not always being fixed on the same object, which could especially be true of the female sex, for although sometimes there are some who, by an effort of nature, have something masculine in them, this nature, however, does not transform them so completely that they remain women; that thus, with moderation and prudence, Monaldeschi could hope, or leave the service of the Queen, to free himself from this passion. He also tried to persuade him to enter a room where there were various papers and letters, to burn them, or to remove them, or to entrust them to him to place them in a place where they would never be found. But the unfortunate man, who could not trust the wise advice of this friend, was forced in spite of himself to believe the fatal messenger of his enemy, coming to announce to him the inevitable death which soon after presented itself to him with a drawn sword.

The Queen had been living since her return to France, at the royal palace at Fontainebleau, twelve leagues from Paris. That very Saturday morning, at 10 a.m., she summoned Monaldeschi to her chamber. When he had entered, she locked him in, and with royal majesty and in a speech full of skill, showing herself informed of all her maneuvers and artifices to overthrow Santinelli, she pressed him so much that the unfortunate man either did not listen or did not want to deny, and confessed everything. It is not known if the Queen had not committed him to it by a promise of pardon under the royal word.

After that and at the same moment, leading him from the bedroom into the so-called Galerie des Cerfs, where she locked him up with her hand, she went immediately to Monaldeschi's apartments, where she took all the papers and letters by which it was found to verify what Monaldeschi had himself confessed, and moreover what may lead one to suppose what followed immediately, but without much examination. In fact, in the same gallery where Monaldeschi had been imprisoned shortly before, Santinelli was sent with his people, but not as gentlemen, to give him a denial of what he had falsely said, written and done, but more as assassins. He told the Count to think of his soul, because in an hour he was to die. Anyone can understand for himself how cruel such news brought by his enemy was to him. However, making a virtue of necessity, he stooped to ask for the grace that he would grant him all night, in order to be able to better resign himself to the will of God; Santinelli replied that he would have no more time than an hour, and that if he wanted to go to confession, the confessor would be sent to him; and as Monaldeschi begged him to prolong his life, the other impatient men, not being able to endure any further delay, began to strike him with mortal blows, to which Monaldeschi made no resistance and contented himself with asking for the confessor. The chaplain of the Palace was introduced, and he made the sacramental confession. Hardly was it finished when they finished killing him with the daggers, without misfortune showing any sign of resentment. It is not known whether the Queen witnessed such a horrible spectacle, or whether she remained in the room where a short time before she had interrogated him, and whence she had led him into her gallery.

The next day, which was Sunday, the Queen sent one of her gentlemen to acquaint Their Majesties the King and Queen, and the Cardinal, with what had happened, so that His Eminence might know the just cause which had impelled him there, and to prevent Their Majesties from learning in an unfortunate manner of this act accomplished in their kingdom and in their royal palace.

The Cardinal sent one of his closest friends to the Queen on Monday, to tell her that he had not dared to inform His Majesty, not knowing how to go about doing so. In this we notice the prudence and skill of the Cardinal who, although there is no doubt that the King had known everything, wanted to make people believe that he had not been aware of it, so as not to to oblige him to find himself offended by it and not to show himself hurt by the lack of respect that had been shown him, having a gentleman assassinated in the apartments of his royal palace, even if he had deserved death a hundred times over, and in such a cavalier way; that, like his servant, he advised him to throw all the blame on Santinelli and his entourage, and to say that they had committed this assassination without his participation, and that the Queen, to prove it better, had immediately dismissed them, and that thus he would cause Her Majesty to be satisfied with this declaration; otherwise she could not expect the King to come to Fontainebleau to see her, as he had previously resolved.

The person sent by His Eminence arrived at Fontainebleau on Tuesday and carried out his mission to the Queen. The latter replied that she had ordered everything, and explained the very urgent reasons which had impelled her to it; but that however since the King so ordered, considering the advice given by the Cardinal as a royal order, she was going to dismiss them; and indeed, soon afterwards they mounted their post horses and rode away.

One should not allow oneself to judge the action of a Queen from so much knowledge, nor whether she has done right or wrong, or lacked in the manner, in the time, in the place, and whether to have closed the mouth by a deserved death to a liar who has spoken falsely, can cause damage to his reputation as of everyone and even future centuries; because if to justify this action, she wanted to make an extrajudicial trial against a deceased man, who does not know that trials of this kind, made after the death of an accused, some guilty of enormous crimes, no longer find credence with the generality of men. But that Santinelli, moreover a gentleman and distinguished by birth and by valour and by great merit, and highly esteemed, has not done in this an action worthy of his position, is easy to judge, because that even if he had been not only under the protection, but under the absolute authority of the jurisdiction of this Queen in her kingdom, and that she herself had expressly ordered him, he should obey her, but not as a assassin and brigand; and like a gentleman, to take Monaldeschi by the hand, his equal in seniority of nobility and other qualities, and lead him out of the palace, denying him what he had falsely said, and with sword in hand and with courage to prove to him his lie, thus establish the truth, without covering themselves with infamy; and the world would have nothing to say against him, and against much less against the queen who, moreover, would not have lacked means more proportionate to her great prudence and skill, and which she would have regulated herself, thus being able to chastise the infamy of others without obscuring her own reputation. That of Santinelli is increased by the cowardice he showed in this event, because he demonstrated that it was not enough for him to carry out the Queen's command in a chivalrous manner, but that he wanted to equate his life with that of an assassin, and in such a blameworthy way.


Above: Kristina condemns Monaldeschi to death, painted by Johan Fredrik Höckert.

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