Saturday, May 11, 2024

Father Paolo Casati's letter to Pope Alexander VII about Kristina's conversion to Catholicism, dated November 25/December 5 (Old Style), 1655

Sources:

Die römischen Päpste in den letzten vier Jahrhunderten, volume 3, pages 258 to 261 (appendix), by Leopold von Ranke, 1836 (1845 edition)


The history of the popes, their church and state, and especially of their conflicts with Protestantism in the sixteenth & seventeenth centuries, volume 3, pages 430 to 433 (appendix), by Leopold von Ranke, translated by E. Foster, 1856


The letter (given in excerpts):

Alla Santità di N:ro Signore Alessandro VII.
dal Collegio Romano li 5 Dec. 1655.
Per ubbedire ai cenni di V. S:tà, che ha desiderato una breve memoria di quello è passato nella risolutione presa dalla regina Christina di Suecia di rinonciare il regno per rendersi cattolica, sono necessitato farmi un passo a dietro per spiegarne l'occasione, conforme alle notitie havute dalla bocca della stessa regina, alla quale mi assicuro non sia per essere se non di gusto che la S:tà Vostra sia del tutto sinceramente informata.

... Havendo acquistato tanto di cognitione, cominciò far riflessione che molte delle cose della setta Luterana, in cui era stata allevata, non potevano sussistere, e cominciando ad esaminarle, più le teneva inconvenienti. Quindi cominciò con più diligenza a studiare nelle cose della religione e delle controversie, e trovando che quella in cui era nudrita non haveva apparenza di vera, si diede con straordinaria curiosità ad informarsi di tutte et a ponderare la difficoltà di ciascuna. Impiegò in questo lo spatio di cinque anni incirca, con grande perturbatione interna d'animo, poiche non trovava dove fermarsi: e misurando ogni cosa con discorso meramente humano, parevale che molte cose potessero essere mere inventioni politiche per trattenere la gente più semplice: e degl'argomenti che quelli d'una setta si servono contro d'un'altra, ella si serviva per ritorcerli contro quella stessa: così paragonava le cose di Mosè nel popolo Ebreo a ciò che fece Maometto negli Arabi. Dal che nasceva che non trovava alcuna religione che vera le paresse. Et io l'ho molte volte udita che s'accusava d'essere stata troppo profana in volere investigare i più alti misterj della divinità: poiche non ha lasciato a dietro alcun mistero della nostra fede che non habbia voluto esaminare, mentre cercava di quietare l'anima sua con trovare finalmente una religione, essendo che ogni sorte di libro che trattasse di cosa appartenente a ciò, ella leggeva, le capitarono anche molte cose degli antichi e de' gentili e d'athei. E se bene ella non giunse mai a tal cecità che dubitasse dell'esistenza di dio e sua unità con farne concetto come di cosa maggiore di tutte le altre, pure si lasciò empire la mente di molte difficoltà, delle quali poi varie volte discorresimo. E finalmente non trovava altra conchiusione se non che nell'esterno conveniva far cio che fanno gl'altri, stimando tutte le cose indifferenti, e non importar più seguir questa che quell'altra religione o setta, e bastar di non far cosa che fosse contro il dettame della ragione e di cui la persona potesse una volta arrossirsi d'haverla fatta. Con questo s'andò qualche tempo governando, e parevale d'haver trovato qualche riposo, massime che haveva scoperte altre persone (anche chiamate di lontano) da lei stimate per dotte e savie essere di poco differente parere, giacche erano fuori della vera religione cattolica da loro riprovata sin dalla fanciullezza. Ma il signore iddio, che voleva havere misericordia della regina nè lasciarla perire negl'errori dell'intelletto, giacche per l'altra parte haveva ottima volontà e desiderio di conoscere il vero e nell'oprare talmente si lasciava guidare dal lume della retta ragione, che più m'ha assicurato di non haver mai fatto cosa che giudicasse non doversi fare nè di cui possa arrossirsene (che queste sono le sue formole di parlare), cominciò a farle apprendere che dove si tratta della salute eterna dell'anima, ogn'altro interesse deve cedere e che l'errore in cosa tanto importante è d'eterno pregiuditio: onde ripigliò di nuovo il pensiere che dovea esservi qualche religione, e posto che l'huomo doveva havere pure una religione, tra tutte quelle che si sapeva fossero nel mondo, niuna le sembrava più ragionevole della cattolica: perciò facendosi più attenta riflessione, trovò che li suoi dogmi e istituti non sono così sciocchi come li ministri luterani (li chiamano pastori) vorriano far credere.

... Partiti d'Hamburg doppo due giornate a Rendsburg ci accompagnammo col signor senatore Rosenhan, che ritornava in Suecia, e con lui andammo sino a Roschilt, dove sono sepolti li rei di Danimarca, toltone S. Canuto, il cui capo è a Ringstede. Egli tirò dritto a Elsenor per passare lo stretto, e noi andammo a Coppenhagen. Questa cognitione fatta col sig:r Rosenhan ci giovò poi in Stockholm per esser meno sospetti: e la regina un giorno dicendogli che non sapeva che concetto dovesse farsi di quei due Italiani, egli disse che non v'era di che temere, che erano buona gente, e ci usò sempre gran cortesia. Hebbimo pure fortuna nel viaggio d'unirci per alcune giornate col generale Wachtmeister gran scudiere del regno, il quale parimente ci fu di non poca utilità: perche essendo noi giunti in Stockholm alli 24 di Febbraro conforme lo stile antico, et havendo io il giorno seguente cercato di parlare a Gio. Holm, valletto di camera di Sua Maestà, per essere introdotto a presentare la lettera datami in Roma dal padre vicario generale, nè havendolo trovato, la sera detto generale fu occasione che Sua Maestà sapesse il mio arrivo. Mentre stava la regina cenando, due cavalieri si lamentavono che faceva freddo, e[d] il generale Wachtmeister gli sgridò, dicendo che non havevano tanta paura del freddo due Italiani venuti in sua compagnia. Udì la regina questa contesa, e interrogatoli di che contendessero, udito ch'ebbe essere venuti due Italiani, richiese s'erano musici: ma rispondendo il generale che erano due galant'huomini che andavano vedendo il paese, Sua M:tà disse che per ogni modo li voleva vedere. Noi subito fummo avvisati di tutto cio ed esortati ad andare il giorno seguente alla corte: anzi dal sig:r Zaccaria Grimani nobile Veneto vi fummo condotti la mattina seguente e introdotti a salutare il conte Magnus de la Gardie primo ministro di Sua M:tà per ottenere per mezzo suo l'honore di baciar la mano di Sua M:tà: egli con somma cortesia ci accolse e ci assicurò che Sua M:tà l'havria havuto molto a caro. Era l'hora del pranso, quando la regina uscì nel Vierkant, e noi fummo avvisati d'accostarci a Sua M:tà, e baciatale la mano fecimo un piccolo complimento in Italiano (che così ella haveva comandato, se bene ci aveva fatto avvisare ch'averia risposto in Francese, giacche noi l'intendevamo) proportionato all'apparenza del personaggio che rappresentavamo: et ella con grandissima benignità rispose. Subito s'inviò il maresciallo della corte e con lui tutti li cavalieri verso la sala dove stava preparata la tavola, ed io mi trovai immediatamente d'avanti alla regina. Ella, che la notte ripensando alli due Italiani e facendo riflessione che appunto era il fine di Febbraro, circa il qual tempo da Roma se l'era scritto che saressimo giunti, era venuta in sospetto che noi fossimo quelli che aspettava, quando fossimo poco lontanti dalla porta e che già tutti erano quasi usciti dal Vierkant, mi disse sottovoce: "forse voi havete qualche lettera per me", ed io senza voltarmi che sì; soggiunse: "non ne parlate con alcuno." Mentre noi il dopo pranso stavamo sopra cio che era seguito discorrendo, ecco sopragiunge uno che in Francese ci fa varii complimenti, poi s'avvanza a dimandarci se haveriamo lettere per Sua M:tà. Io cominciai subito a dar risposte ambigue, che non havevamo negotii, che non havevamo lettere di raccomandatione etc., sin a tanto che egli alla fine disse per ordine tutto quello che nel breve e fortuito colloquio m'haveva detto la regina. Allora m'accorsi che da lei sola poteva esser mandato: pure per maggior sicurezza lo richiesi del suo nome, ed udito che egli era Gio. Holm, gli consegnai la lettera. La mattina seguente, quasi due hore prima del tempo solito d'andar alla corte, ci avvisò Gio. Holm che Sua M:tà voleva parlarci. Subito andammo: e appena erano entrati nel Vierkant, dove era solo l'officiale di guardia, quando uscì la regina, e mostrò di meravigliarsi, sì perche non fosse ivi ancora alcuno de' cavaglieri, sì perche noi fossimo stati i primi nell'andare: e dopo haverci interrogati d'alcune poche cose intorno al nostro viaggio, udendo l'officiale, gli dimandò se fosse comparso alcuno de' segretarii, e rispondendo quegli che no, comandolli andasse a chiamare uno di loro, e non tornò che dopo un'hora. Partito che ei fu, cominciò Sua M:tà con cortesissime parole a ringratiarci della fatica presa da noi per sua cagione nel viaggio, ci assicurò che qualunque pericolo potesse occurrere d'essere scoperti, non temessimo, perche non haveria permesso havessimo male alcuno. C'incaricò il segreto nè ci fidassimo di persona, additandoci nominatamente alcuni de' quali dubitava potessimo havere confidenza in progresso di tempo: ci diede speranza che havendo ella sodisfattione il nostro viaggio non saria stato indarno: c'interrogò dell'arrivo del padre Macedo e come noi fossimo stati eletti per andare colà: ci raccontò come fosse succeduta la partenza del padre Macedo — —
Della S:tà V:ra umilissimo servitore ed obedientissimo figlio in Cristo Paolo Casati della Compagnia di Gesù.

With modernised spelling:

Alla Santità di Nostro Signore Alessandro VII.
Dal Collegio Romano, li 5 dicembre 1655.
Per ubbedire ai cenni di Vostra Santità, che ha desiderato una breve memoria di quello è passato nella risoluzione presa dalla regina Cristina di Svezia di rinonciare il regno per rendersi cattolica, sono necessitato farmi un passo addietro per spiegarne l'occasione, conforme alle notizie avute dalla bocca della stessa regina, alla quale mi assicuro non sia per essere se non di gusto che la Santità Vostra sia del tutto sinceramente informata.

... Avendo acquistato tanto di cognizione, cominciò far riflessione che molte delle cose della setta luterana, in cui era stata allevata, non potevano sussistere, e, cominciando ad esaminarle, più le teneva inconvenienti. Quindi cominciò con più diligenza a studiare nelle cose della religione e delle controversie, e trovando che quella in cui era nudrita non aveva apparenza di vera, si diede con straordinaria curiosità ad informarsi di tutte et a ponderare la difficoltà di ciascuna. Impiegò in questo lo spazio di cinque anni incirca, con grande perturbazione interna d'animo, poiché non trovava dove fermarsi; e, misurando ogni cosa con discorso meramente umano, parevale che molte cose potessero essere mere invenzioni politiche per trattenere la gente più semplice; e degl'argomenti che quelli d'una setta si servono contro d'un'altra, ella si serviva per ritorcerli contro quella stessa, così paragonava le cose di Mosè nel popolo ebreo a ciò che fece Maometto negli Arabi. Dal che nasceva che non trovava alcuna religione che vera le paresse.

Ed io l'ho molte volte udita che s'accusava d'essere stata troppo profana in volere investigare i più alti misteri della divinità, poiché non ha lasciato addietro alcun mistero della nostra fede che non abbia voluto esaminare, mentre cercava di quietare l'anima sua con trovare finalmente una religione, essendo che ogni sorte di libro che trattasse di cosa appartenente a ciò, ella leggeva, le capitarono anche molte cose degli antichi e de' gentili e d'atei. E se bene ella non giunse mai a tal cecità che dubitasse dell'esistenza di Dio e sua unità con farne concetto come di cosa maggiore di tutte le altre, pure si lasciò empire la mente di molte difficoltà, delle quali poi varie volte discorresimo.

E finalmente non trovava altra conchiusione se non che nell'esterno conveniva far cio che fanno gl'altri, stimando tutte le cose indifferenti, e non importar più seguir questa che quell'altra religione o setta, e bastar di non far cosa che fosse contro il dettame della ragione e di cui la persona potesse una volta arrossirsi d'averla fatta.

Con questo s'andò qualche tempo governando, e parevale d'aver trovato qualche riposo, massime che aveva scoperte altre persone (anche chiamate di lontano) da lei stimate per dotte e savie essere di poco differente parere, giacche erano fuori della vera religione cattolica da loro riprovata sin dalla fanciullezza.

Ma il Signore Iddio, che voleva avere misericordia della regina, nè lasciarla perire negl'errori dell'intelletto, giacché per l'altra parte, aveva ottima volontà e desiderio di conoscere il vero e nell'oprare talmente si lasciava guidare dal lume della retta ragione, che più m'ha assicurato di non aver mai fatto cosa che giudicasse non doversi fare nè di cui possa arrossirsene (che queste sono le sue formole di parlare), cominciò a farle apprendere che dove si tratta della salute eterna dell'anima, ogn'altro interesse deve cedere e che l'errore in cosa tanto importante è d'eterno pregiudizio, onde ripigliò di nuovo il pensiere che dovea esservi qualche religione, e posto che l'uomo doveva avere pure una religione, tra tutte quelle che si sapeva fossero nel mondo, niuna le sembrava più ragionevole della cattolica; perciò, facendosi più attenta riflessione, trovò che li suoi dogmi e istituti non sono così sciocchi come li ministri luterani (li chiamano pastori) vorriano far credere.

... Partiti d'Amburg[o] dopo due giornate a Rendsburg ci accompagnammo col signor senatore Rosenhane, che ritornava in Svezia, e con lui andammo sino a Roskilde, dove sono sepolti li rei di Danimarca, toltone San Canuto, il cui capo è a Ringsted. Egli tirò dritto a [Elsinora] per passare lo stretto, e noi andammo a Copenhagen. Questa cognizione fatta col signor Rosenhane ci giovò poi in Stoccolm[a] per esser meno sospetti; e la regina un giorno, dicendogli che non sapeva che concetto dovesse farsi di quei due Italiani, egli disse che non v'era di che temere, che erano buona gente, e ci usò sempre gran cortesia.

Ebbimo pure fortuna nel viaggio d'unirci per alcune giornate col generale Wachtmeister, gran scudiere del regno, il quale parimente ci fu di non poca utilità, perché, essendo noi giunti in Stoccolm[a] alli 24 di febbraro conforme lo stile antico, ed avendo io il giorno seguente cercato di parlare a Giovanni Holm, valletto di camera di Sua Maestà, per essere introdotto a presentare la lettera datami in Roma dal padre vicario generale, nè avendolo trovato, la sera detto generale fu occasione che Sua Maestà sapesse il mio arrivo.

Mentre stava la regina cenando, due cavalieri si lamentavono che faceva freddo, ed il generale Wachtmeister gli sgridò, dicendo che non avevano tanta paura del freddo due Italiani venuti in sua compagnia. Udì la regina questa contesa, e interrogatoli di che contendessero, udito ch'ebbe essere venuti due Italiani, richiese s'erano musici; ma rispondendo il generale che erano due galant'uomini che andavano vedendo il paese, Sua Maestà disse che per ogni modo li voleva vedere.

Noi subito fummo avvisati di tutto cio ed esortati ad andare il giorno seguente alla corte, anzi dal signor Zaccaria Grimani, nobile Veneto, vi fummo condotti la mattina seguente e introdotti a salutare il conte Magnus de la Gardie, primo ministro di Sua Maestà, per ottenere per mezzo suo l'onore di baciar la mano di Sua Maestà. Egli con somma cortesia ci accolse e ci assicurò che Sua Maestà l'avria avuto molto a caro.

Era l'ora del pranzo quando la regina uscì nel Fyrkant, e noi fummo avvisati d'accostarci a Sua Maestà, e baciatale la mano fecimo un piccolo complimento in italiano (che così ella aveva comandato, se bene ci aveva fatto avvisare ch'avria risposto in francese, giacché noi l'intendevamo) proporzionato all'apparenza del personaggio che rappresentavamo; ed ella con grandissima benignità rispose. Subito s'inviò il maresciallo della Corte e con lui tutti li cavalieri verso la sala dove stava preparata la tavola, ed io mi trovai immediatamente d'avanti alla regina.

Ella, che la notte ripensando alli due Italiani e facendo riflessione che appunto era il fine di febbraro, circa il qual tempo da Roma se l'era scritto che saressimo giunti, era venuta in sospetto che noi fossimo quelli che aspettava, quando fossimo poco lontanti dalla porta e che già tutti erano quasi usciti dal Fyrkant, mi disse sottovoce: «Forse voi avete qualche lettera per me?»

Ed io senza voltarmi che sì; soggiunse: «Non ne parlate con alcuno.»

Mentre noi il dopo pranso stavamo sopra cio che era seguito discorrendo, ecco sopragiunge uno che in francese ci fa vari complimenti, poi s'avvanza a dimandarci se avriamo lettere per Sua Maestà. Io cominciai subito a dar risposte ambigue, che non avevamo negozi, che non avevamo lettere di raccomandazione etc., sin a tanto che egli alla fine disse per ordine tutto quello che nel breve e fortuito colloquio m'aveva detto la regina.

Allora m'accorsi che da lei sola poteva esser mandato, pure per maggior sicurezza lo richiesi del suo nome, ed udito che egli era Giovanni Holm, gli consegnai la lettera.

La mattina seguente, quasi due ore prima del tempo solito d'andar alla corte, ci avvisò Giovanni Holm che Sua Maestà voleva parlarci. Subito andammo, e appena erano entrati nel Fyrkant, dove era solo l'uffiziale di guardia, quando uscì la regina, e mostrò di meravigliarsi, sì perché non fosse ivi ancora alcuno de' cavalieri, sì perche noi fossimo stati i primi nell'andare; e dopo averci interrogati d'alcune poche cose intorno al nostro viaggio, udendo l'uffiziale, gli dimandò se fosse comparso alcuno de' segretari, e rispondendo quegli che no, comandolli andasse a chiamare uno di loro, e non tornò che dopo un'ora.

Partito che ei fu, cominciò Sua Maestà con cortesissime parole a ringraziarci della fatica presa da noi per sua cagione nel viaggio, ci assicurò che qualunque pericolo potesse occurrere d'essere scoperti, non temessimo, perché non avria permesso avessimo male alcuno. C'incaricò il segreto nè ci fidassimo di persona, additandoci nominatamente alcuni de' quali dubitava potessimo avere confidenza in progresso di tempo. Ci diede speranza che, avendo ella soddisfazione, il nostro viaggio non saria stato indarno; c'interrogò dell'arrivo del padre Macedo e come noi fossimo stati eletti per andare colà. Ci raccontò come fosse succeduta la partenza del padre Macedo...
Della Santità Vostra umilissimo servitore ed ubbedientissimo figlio in Cristo
Paolo Casati, della Compagnia di Gesù.

French translation (my own):

A la Sainteté de Notre Seigneur Alexandre VII.
Du Collège Romain, le 5 décembre 1655.
Pour obéir aux indications de Votre Sainteté, qui a souhaité un bref rappel de ce qui s'est passé dans la résolution prise par la reine Christine de Suède de renoncer au royaume pour devenir catholique, je suis obligé de prendre du recul pour expliquer l'occasion, selon nouvelle reçue de la bouche de la reine elle-même, dont je m'assure que Votre Sainteté est tout à fait sincèrement informée.

... Ayant acquis tant de connaissances, elle commença à réfléchir que beaucoup de choses de la secte luthérienne dans laquelle elle avait été élevée ne pouvaient exister, et, à mesure qu'elle commençait à les examiner, elle les trouva plus gênantes. Alors elle commença à étudier avec plus de diligence les questions de religion et de controverses, et trouvant que celle dans laquelle elle avait été élevée n'avait aucune apparence de vérité, elle se mit avec une extraordinaire curiosité à s'enquérir de toutes et à méditer la difficulté de chacune. Il lui fallut environ cinq ans pour le faire, avec de grands troubles intérieurs d'esprit, car elle ne savait où s'arrêter; et, en mesurant tout avec un discours purement humain, il semblait que beaucoup de choses pouvaient être de simples inventions politiques pour traiter les gens les plus simples; et parmi les arguments que ceux d'une secte utilisent contre une autre, elle les retournait contre ce même, ainsi elle comparait les choses de Moïse parmi le peuple juif à ce que Mahomet faisait parmi les Arabes. Par conséquent, elle n’a pu trouver aucune religion qui lui semblait vraie.

Et je l'ai souvent entendu s'accuser d'avoir été trop profane en voulant enquêter sur les plus hauts mystères de la divinité, car elle n'a laissé derrière elle aucun mystère de notre foi qu'elle n'ait pas voulu examiner, tout en essayant d'apaiser son âme en trouvant enfin une religion, en lisant toutes sortes de livres qui traitaient de quelque chose qui s'y rapportait, elle apprit aussi beaucoup de choses des anciens, des païens et des athées. Et bien qu'elle n'ait jamais atteint un tel aveuglement qu'elle doutât de l'existence de Dieu et qu'elle le considérât comme quelque chose de plus grand que tous les autres, elle aussi laissa son esprit se remplir de nombreuses difficultés dont nous avons parlé à plusieurs reprises.

Et finalement elle ne trouva pas d'autre conclusion que celle qu'à l'extérieur il valait mieux faire ce que font les autres, considérant toutes choses indifférentes, et qu'il n'était pas plus important de suivre telle religion ou telle autre religion ou secte, et qu'il suffisait de ne pas le faire tout ce qui allait à l'encontre des préceptes de la raison et dont la personne pouvait un jour rougir de l'avoir fait.

Avec cela, elle se gouverna pendant quelque temps, et il semblait qu'elle avait trouvé un peu de repos, surtout qu'elle avait découvert d'autres personnes (même celles appelées de loin) qu'elle considérait comme savantes et sages et d'opinion peu différente, car ils étaient en dehors de la vraie religion catholique, qu'ils avaient réprouvée depuis l'enfance.

Mais le Seigneur Dieu, qui voulait avoir pitié de la reine pour ne pas la laisser périr dans les erreurs de son intellect, car d'autre part elle avait une volonté et un désir excellents de connaître la vérité, et ce faisant, elle laissa elle-même être guidée par la lumière de la juste raison. Elle m'a assuré plus que jamais qu'elle n'avait jamais rien fait qu'elle jugeait interdit ou dont elle puisse rougir (c'est sa façon de parler). Il commença à lui faire comprendre qu'en ce qui concerne la santé éternelle de l'âme, tout autre intérêt doit céder le pas et que l'erreur dans une chose aussi importante est un préjudice éternel, alors elle reprit la pensée qu'il devait y avoir une certaine religion, et étant donné que l'homme doit aussi avoir une religion, parmi toutes celles qui existent et qu'elle savait être dans le monde, aucune ne lui paraissait plus raisonnable que la catholique. Par conséquent, après une réflexion plus approfondie, elle a découvert que ses dogmes et ses instituts ne sont pas aussi stupides que les ministres luthériens (ils les appellent pasteurs) voudraient le lui faire croire.

... Ayant quitté Hambourg après deux jours à Rendsbourg, nous accompagnâmes le sieur sénateur Rosenhane, qui revenait en Suède, et avec lui nous allâmes jusqu'à Roskilde, où sont enterrés les rois du Danemark, à l'exception de saint Canut, dont la tête est à Ringsted. Il est allé directement à Elseneur pour traverser le détroit, et nous sommes allés à Copenhague. Cette connaissance faite avec le sieur Rosenhane nous a aidés plus tard à Stockholm à être moins méfiants; et un jour la reine, lui disant qu'elle ne savait pas ce qu'elle devait penser de ces deux Italiens, il dit qu'il n'y avait rien à craindre, que c'étaient de bonnes personnes, et il nous témoigna toujours une grande courtoisie.

Nous avons aussi eu la chance, pendant le voyage, de rejoindre pour quelques jours le général Wachtmeister, grand écuyer du Royaume, qui nous a également été d'une grande utilité, car, arrivé à Stockholm le 24 février, il se conformait à la style vieille, et le lendemain, j'ai essayé de parler à Jean Holm, valet de chambre de Sa Majesté, pour être introduit pour lui présenter la lettre qui m'a été remise à Rome par le père vicaire-général, et je ne l'ai pas trouvé, le soir ledit général avait l'occasion de faire connaître à Sa Majesté mon arrivée.

Pendant que la reine dînait, deux cavaliers se plaignirent d'avoir froid, et le général Wachtmeister les gronda en disant que deux Italiens venus en sa compagnie n'avaient pas si peur du froid. La reine entendit cette dispute, et comme elle leur demandait de quoi ils se disputaient, entendant que deux Italiens étaient venus, elle demanda s'ils étaient musiciens; mais le général répondit que c'étaient deux braves gens qui allaient voir le pays. Sa Majesté a dit qu'elle voulait les voir de toute façon.

Nous avons été immédiatement informés de tout cela et nous avons exhorté à nous rendre au tribunal le lendemain, en effet par le sieur Zacharie Grimani, un noble vénitien, nous y avons été conduits le lendemain matin et présentés pour saluer le comte Magnus de la Gardie, premier ministre de Sa Majesté, pour obtenir par lui l'honneur de baiser la main de Sa Majesté. Il nous accueillit avec la plus grande courtoisie et nous assura qu'il serait très cher à Sa Majesté.

C'était l'heure du souper lorsque la reine sortit dans le Fyrkant, et on nous conseilla d'approcher Sa Majesté, et, lui baisant la main, nous lui fîmes un petit compliment en italien (qu'elle avait ordonné ainsi, bien qu'elle nous ait fait savoir qu'elle répondrait en français, tel que nous l'entendions) proportionné à l'apparence du personnage que nous représentions; et elle a répondu avec beaucoup de gentillesse. Aussitôt le maréchal de la Cour, et avec lui tous les cavaliers, fut envoyé vers la salle où était dressée la table, et je me trouvai aussitôt devant la reine.

Elle, qui la nuit pensait aux deux Italiens et pensait que c'était précisément la fin du mois de février, à l'heure à laquelle Rome avait écrit que nous arriverions, en était venue à soupçonner que c'était nous qu'elle attendait. Alors que nous n'étions pas loin de la porte, et que tout le monde avait déjà presque quitté le Fyrkant, elle me dit à voix basse: «Peut-être avez-vous des lettres pour moi?»

Et sans se retourner, «oui»; elle ajouta: «N'en parlez à personne.»

Pendant que nous parlions après le déjeuner de ce qui avait suivi, quelqu'un est arrivé qui nous a fait divers compliments en français, puis nous a demandé si nous avions des lettres pour Sa Majesté. J'ai immédiatement commencé à donner des réponses ambiguës, que nous n'avions rien à faire, que nous n'avions pas de lettres de recommandation, etc., jusqu'à ce qu'il finisse par dire dans l'ordre tout ce que la reine m'avait dit dans la brève et fortuite conversation.

Puis j'ai compris qu'elle ne pouvait être envoyée qu'à elle, mais pour plus de sécurité, je lui ai demandé son nom et, ayant appris qu'il était Jean Holm, je lui ai remis la lettre.

Le lendemain matin, près de deux heures avant l'heure habituelle pour se présenter à la Cour, Jean Holm nous a informé que Sa Majesté souhaitait nous parler de lui. Nous partîmes aussitôt, et aussitôt que nous fûmes entrés dans le Fyrkant, où se trouvait seul l'officier de la garde, lorsque la reine sortit et parut étonnée, à la fois parce qu'aucun des cavaliers n'était encore là et parce que nous avions été les premier à partir; et, après nous avoir interrogés sur quelques points concernant notre voyage, entendant l'officier, elle lui demanda si des secrétaires étaient apparues, et répondant «non», elle leur ordonna d'aller appeler l'un d'eux, et il ne le fit pas revenir jusqu'à après une heure.

Une fois parti, Sa Majesté commença à nous remercier avec des paroles très courtoises pour les efforts que nous avions déployés pendant le voyage à cause d'elle, et elle nous assura que quel que soit le danger qui pourrait surgir d'être découverts, nous ne devions pas craindre, car elle ne le ferait pas. permettez-nous de subir un quelconque préjudice. Elle nous a chargés du secret afin que nous ne puissions pas nous confier à elle en personne, nous désignant nommément certains de ceux en qui elle doutait que nous puissions avoir confiance dans l'avenir. Elle nous a donné l'espoir que, si elle était satisfaite, notre voyage ne serait pas vain; elle nous a interrogé sur l'arrivée du père Macédo et comment nous avions été choisis pour y aller. Elle nous a raconté comment s'est produit le départ du père Macédo...
De Votre Sainteté, le très humble serviteur de Votre Sainteté et le fils le plus obéissant en Christ
Paul Casati, de la Compagnie de Jésus.

Swedish translation (my own):

Till vår Herre Alexander VIIs helighet.
Från Collegio Romano, den 5 december 1655.
För att lyda antydningarna av Ers Helighet, som har önskat en kort påminnelse om vad som hände i den resolution som fattats av drottning Kristina av Sverige att avsäga sig riket för att bli katolik, tvingas jag ta ett steg tillbaka för att förklara tillfället, enligt nyheter mottagna från drottningens själva mun, varom jag försäkrar mig att Ers Helighet är helt uppriktigt underrättad.

... Efter att ha skaffat sig så mycket kunskap började hon reflektera över att många av de saker som hörde till den lutherska sekten som hon hade vuxit upp i inte kunde existera, och när hon började undersöka dem tyckte hon att det var mer obekvämt. Sedan började hon studera mer flitigt i frågor om religion och kontroverser, och när hon fann att den som hon fick näring i inte hade något sken av sanning, gav hon sig i väg med utomordentlig nyfikenhet för att fråga om dem alla och begrunda svårigheten med varje. Det tog henne ungefär fem år att göra detta, med stor inre störning i sinnet, ty hon inte kunde finna var hon skulle sluta; och när man mätte allt med enbart mänsklig diskurs, verkade det som om många saker kunde vara bara politiska uppfinningar för att behandla de enklaste människorna; och av argumenten som de från en sekt använder mot en annan, brukade hon vända dem mot samma, så hon jämförde Mose saker bland det judiska folket med vad Mohammed gjorde bland araberna. Därför kunde hon inte finna någon religion som verkade sann för henne.

Och jag har många gånger hört henne anklaga sig själv för att ha varit för profan i att vilja undersöka gudomlighetens högsta mysterier, ty hon inte har lämnat efter sig något mysterium i vår tro som hon inte ville undersöka, samtidigt som hon försökte lugna sin själ genom att äntligen finna en religion, när hon läste alla slags böcker som handlade om något som hörde till den, lärde hon sig också mycket av de gamla och från hedningarna och av ateister. Och även om hon aldrig nådde en sådan blindhet att hon tvivlade på Guds existens och hon ansåg honom som något större än alla andra, lät hon också sitt sinne fyllas av många svårigheter, som vi har talat om flera gånger.

Och slutligen fann hon ingen annan slutsats än att det på utsidan var bättre att göra som andra gör, med tanke på allt likgiltigt, och det var inte viktigare att följa denna religion eller den andra religionen eller sekten, och det räckte att inte göra allt som var emot förnuftets påbud och som personen en gång kunde rodna för att ha gjort det.

Med detta gick hon omkring och styrde sig själv under en tid, och det verkade som om hon hade funnit en vila, särskilt att hon hade upptäckt andra människor (även de som kallades långt borta) som hon ansåg vara lärda och kloka och av lite olika åsikter, eftersom de stod utanför den sanna katolska religionen, som hade blivit förebrådd av dem sedan barndomen.

Men Herren Gud, som ville förbarma sig över drottningen för att inte låta henne förgås i sina förståndsfel, då hon å andra sidan hade en utmärkt vilja och önskan att veta sanningen, och därvid lät hon själv vägledas av ljuset av det rättfärdiga förnuftet. Hon försäkrade mig mer än någonsin att hon aldrig hade gjort något som hon bedömde inte borde göras eller som hon kunde rodna om (detta är hennes sätt att tala). Han började få henne att förstå att när det gäller själens eviga hälsa måste alla andra intressen ge vika och att fel i en så viktig sak är av eviga fördomar, så hon tog återigen upp tanken att det måste finnas någon religion, och med tanke på att människan också måste ha en religion, bland alla de som finns och som hon visste fanns i världen, verkade ingen mer rimlig för henne än den katolska. Därför fann hon vid noggrannare eftertanke att hennes dogmer och institut inte är så dumma som de lutherska predikanterna (de kallar dem pastorer) skulle få henne att tro.

... Efter att ha lämnat Hamburg efter två dagar i Rendsburg, följde vi med herr rådsman Rosenhane, som var på väg tillbaka till Sverige, och med honom gick vi ända till Roskilde, där kungarna av Danmark ligger begravda, utom Helige Knut, vars huvud finns i Ringsted. Han åkte direkt till Helsingør för att korsa sundet och vi åkte till Köpenhamn. Denna kunskap som gjorts med herr Rosenhane hjälpte oss senare i Stockholm att bli mindre misstänksamma; och en dag sade drottningen honom att hon inte visste vad hon skulle tycka om dessa två italienare, han sade att det inte fanns något att frukta, att de var goda människor, och han visade oss alltid stor artighet.

Vi hade också turen att under resan några dagar förena oss med general Wachtmeister, riksstallmästare, som också var oss till ingen liten nytta, emedan han, efter att ha ankommit till Stockholm den 24 februari, överensstämde med den gamla stilen, och följande dag, efter att jag hade försökt tala med Johan Holm, Hennes Majestäts kammartjänare, för att presenteras för att presentera det brev som fadern generalvikaren gav mig i Rom, och jag hade inte funnit honom, på kvällen hade nämnde general tillfälle att meddela Hennes Majestät min ankomst.

Medan drottningen åt kvällsmat, klagade två kavaljerer över att de var kalla, och general Wachtmeister skällde ut dem och sade att två italienare som hade kommit i hans sällskap inte var så rädda för kylan. Drottningen hörde denna tvist, och när hon frågade dem vad de tvistade om, när hon hörde att två italienare hade kommit, frågade hon om de var musiker; men generalen svarade att det var två värdiga män som skulle se landet. Hennes Majestät sade att hon gärna ville se dem i alla fall.

Vi blev omedelbart informerade om allt detta och uppmanade att gå till hovet dagen efter, minsann av signor Zaccaria Grimani, en venetiansk adelsman, vi fördes dit följande morgon och introducerades för att hälsa greve Magnus de la Gardie, Hennes Majestäts premiärminister, att genom honom erhålla äran att kyssa Hennes Majestäts hand. Han välkomnade oss med största artighet och försäkrade oss att det vore Hennes Majestät mycket kärt.

Det var kvällsmat, när drottningen gick ut i Fyrkanten, och vi fick rådet att gå fram till Hennes Majestät, och vi kysste hennes hand och gav henne en liten komplimang på italienska (vilket hon sålunda hade befallt, fastän hon hade meddelat oss att hon skulle svara på franska, som vi förstod det) i proportion till utseendet på karaktären vi representerade; och hon svarade med stor vänlighet. Genast sändes hovmarskalken och med honom alla kavaljererna mot rummet, där bordet var tillredt, och jag befann mig genast framför drottningen.

Hon, som på natten tänkte på de två italienarna och reflekterat över att det var just i slutet av februari, då Rom hade skrivit att vi skulle komma fram, hade kommit att misstänka att det var vi som hon väntade. När vi inte var långt borta från dörren, och när alla redan nästan lämnat Fyrkanten, sade hon med låg röst till mig: »Ni kanske har några brev till mig?«

Och utan att vända sig om, »ja«; hon tillade: »Tala inte om det med någon som helst.«

Medan vi efter middagen talade om vad som hade följt, kom det någon som gav oss olika komplimanger på franska och sedan fortsatte att fråga oss om vi hade brev till Hennes Majestät. Jag började genast ge tvetydiga svar, att vi inte hade några ärenden, att vi inte hade några rekommendationsbrev osv., tills han till slut sade i ordning allt som drottningen hade berättat för mig i det korta och slumpmässiga samtalet.

Då insåg jag att det bara kunde skickas till henne, men för större säkerhet frågade jag honom om hans namn, och efter att ha hört att han var Johan Holm gav jag honom brevet.

Följande morgon, nästan två timmar före den vanliga tidpunkten för att gå till hovet, meddelade Johan Holm att Hennes Majestät ville tala med oss om honom. Vi gick genast, och så snart vi kommit in på Fyrkanten, där endast vakthavaren befann sig, när drottningen kom ut och tycktes vara förvånad, både för att ingen av kavaljererna var kvar och för att vi hade varit de först att gå; och efter att ha frågat oss om några saker angående vår resa, hörde hon officeren, frågade hon honom om någon av sekreterarna hade dykt upp, och svarade »nej«, beordrade hon dem att gå och ringa en av dem, och han återvände inte tills efter en timme.

När han väl hade gått, började Hennes Majestät tacka oss med mycket artiga ord för den ansträngning vi hade gjort på resan på grund av henne, och hon försäkrade oss att vilken fara som än kunde uppstå för att bli upptäckt, skulle vi inte frukta, eftersom hon inte skulle tillåta oss att lida någon skada. Hon chargerade oss för sekretess så att vi inte skulle anförtro oss till henne personligen, och påpekade för oss några av dem som hon tvivlade på att vi kunde lita på i framtiden. Hon gav oss hopp om att, om hon var nöjd, vår resa inte skulle vara förgäves; hon frågade oss om fader Macedos ankomst och hur vi hade blivit utvalda att åka dit. Hon berättade för oss hur fader Macedos avgång hände...
Ers Helighets ödmjukaste tjänare och mest lydige son i Kristus
Paolo Casati, från Jesu sällskap.

English translation (by Foster):

Alla Santità di N:ro Signore Alessandro VII.
[Collegio Romano, Dec. 5, 1655]
In obedience to the wishes of your holiness for a short memorial of what passed in regard to the queen of Sweden's resolution to renounce her kingdom for the purpose of becoming Catholic, I am compelled to go back a step that I may explain the cause thereof, — in conformity with statements received from the mouth of the queen herself; to whom I am assured that it cannot be other than pleasing to know that your holiness is truly informed of the whole matter.

... Having acquired thus much knowledge, she began to reflect that many tenets of the Lutheran sect, in which she had been educated, could not be sustained, and beginning to examine them, she found many discrepancies. Thus she began to study matters of religion and points of controversy with more diligence, and finding that the faith in which she had been brought up had no semblance of truth, she applied herself with extraordinary curiosity to gain information respecting all, and to weigh the difficulties of each. In this occupation she employed the space of five years, suffering much disturbance of mind, because she could find no settled point of conviction; and judging every thing by mere human reason, she thought that many things might be simply political inventions, intended for the restriction of the common people. The arguments that any sect used against its adversary, she acquired the habit of turning against itself; thus she compared the works of Moses among the Hebrew people with the proceedings of Mahomet amongst the Arabs. From all which it resulted that she found no religion which appeared to her to be true. And I have heard her more than once accuse herself of having been too profane in desiring to investigate the most sublime mysteries of the divinity, for she did not permit one mystery of our religion to escape her examination, while she sought to give rest to her mind by the final discovery of a religion. Then, since she read every book treating on that subject, she sometimes encountered many assertions of the ancients, the gentiles, and the atheists; and although she never fell into such blindness as to doubt the existence of God, or his unity, which she held to be greater and clearer than all else, yet she suffered her mind to be disturbed by many difficulties, of which, at various times, we discoursed largely. But, finally, she could arrive at no other conclusion, than that it was expedient to proceed in externals as others did, believing the whole to be a matter of indifference, and that it signified nothing whether she followed one religion or sect or another; it was sufficient, she thought, if she did nothing contrary to the dictates of reason, or for which, having done it, she should have cause to blush. By these principles she governed herself for a certain time, and she seemed even to have found some repose for her mind, particularly after having discovered that other persons (summoned indeed from distant lands) whom she believed to be learned and wise, were of opinions but slightly different from her own, — they being without the pale of the true Catholic religion, which they considered to be mere childishness. But the Lord God, who desired to have mercy on this queen, nor would suffer her to perish in the errors of her intellect, since she had the most perfect will and desire to know the truth, and in doing as she did, allowed herself to be guided by the light of sound reason; for she has frequently assured me that she never suffered herself to do anything for which she ought to blush (that being her form of expression). God, I say, began to make her perceive that when the eternal safety of the soul is in question, every other interest must give way, and that error in a matter so momentous is of eternal prejudice; accordingly, she reverted to the thought that there must be some religion, and having granted that man must have a religion, then among all that she knew in the world, none appeared to her more reasonable than the Catholic. Wherefore, reflecting more attentively upon that subject, she found that its tenets and institutions were not so absurd as the Lutheran ministers (they call them pastors) would make people believe.

... Departing from Hamburg, after staying two days at Rendsburg, we joined ourselves to the Signor Senator Rosenhan, who was returning to Sweden, and with him we proceeded as far as Roschilt, where the kings of Denmark are buried, with the exception of Saint Canute, whose head is at Ringstede. The senator then went direct to Elsinore to cross the straits, and we to Copenhagen. This acquaintance with the Senator Rosenhan was afterwards very useful to us in Stockholm, causing us to be less suspected; and the queen remarking to him one day that she did not know what to think of those two Italians, he told her that there was nothing to fear from us, that we were good people, and he always treated us with great courtesy. We had also the good fortune to be in company for some days on our journey with General Wachtmeister, grand equerry of the kingdom, who was in like manner of no small use to us; for when we arrived in Stockholm, on the 24th February, according to the old style, and I having sought on the day following to speak with John Holm, gentleman of the chamber to her majesty, that I might be introduced, to present the letter given to me in Rome by the father vicar-general, but not being able to find him, the said General Wachtmeister was, that evening, the occasion of her majesty's hearing that I had arrived. And the manner was this: — While the queen was at supper, two gentlemen complained that it was very cold, and the general reproached them, declaring that two Italians who had come thither in his company had shewn no such fear of the cold. The queen hearing this contest, and inquiring the cause of their contending, heard that two Italians were come, and asked if they were musicians; but the general replying that they were two gentlemen travelling to see the country, her majesty said that she would by all means like to see them. We were immediately informed of all this, and advised to go to court on the following day: on the following morning we were accordingly conducted thither by Signor Zaccaria Grimani, a Venetian noble, and who introduced us to pay our respects to Count Magnus de la Gardie, her majesty's prime minister, that through him we might obtain the honour of kissing the hand of her majesty. He received us with much courtesy, and assured us that her majesty would have much pleasure in seeing us. It was then the hour of dinner, and her majesty came out into the 'Vierkant', when we were directed to approach her majesty, and having kissed her hand, we made her a short compliment in Italian (for so she had commanded, although she had caused us to be informed that she would reply in French, since she understood it), suitable to the character we had assumed, and she replied with the utmost urbanity. Immediately afterwards the marshal of the court, and with him all the other gentlemen, set forward towards the hall wherein the table was laid for dinner, and I found myself immediately before the queen. She who, during the night, had thought over the matter of the two Italians, and reflecting that it was precisely the end of February, about which time it had been written to her from Rome that we should arrive, had begun to suspect that we were the persons whom she was looking for; thus, when we were but little distant from the door, and that nearly all the company had already gone out of the Vierkant, she said to me in a low voice, 'Perhaps you have letters for me?' and I, having replied without turning my head that I had, she rejoined, 'Do not name them to any one.' While we were discoursing after dinner on the matters that had occurred, we were joined by a person, who made us various compliments in French, and then proceeded to inquire if we had letters for her majesty. I began at once to give ambiguous replies, that we were not there for business; that we had no letters of recommendation, &c., until at length he repeated in order all that in our short and fortuitous colloquy, the queen herself had said to me. I then perceived that he could not be sent by any other than herself, yet for the greater security, I asked him his name, and hearing that he was John Holm, I gave him the letter. The following morning, nearly two hours before the usual time for going to court, John Holm gave us to know that her majesty would speak with us. We went immediately, and had scarcely entered the Vierkant, where there was then no one but the officer on guard, than [sic] the queen came forth, and appeared to be surprised, either because none of the gentlemen were yet there, or because we had been the first to arrive. She put some few questions to us concerning our journey; then hearing the officer, she asked him if any of the secretaries had yet appeared. He replying that they had not, she commanded him to go and call one of them, when he did not return for an hour. When he was gone, her majesty began to thank us in the most courteous terms for the pains we had taken in making that voyage on her account; she assured us that whatever danger might arise to us from being discovered, we should not fear, since she would not suffer that evil should befal[l] us; she charged us to be secret, and not to confide in any one, pointing out to us by name some of those to whom she feared lest we might give our confidence in process of time. She encouraged us to hope that if she should receive satisfaction, our journey would not have been made in vain; she questioned us respecting the arrival of Father Macedo, and how we had been selected to visit her court; and related to us in what manner the departure of Father Macedo had taken place. ...
[The most humble and most obedient son in Christ of your holiness, Paolo Casati, of the Company of Jesus.]

English translation (my own):

To the Holiness of Our Lord Alexander VII.
From the Collegio Romano, December 5, 1655.
To obey the hints of Your Holiness, who has desired a brief reminder of what happened in the resolution taken by Queen Kristina of Sweden to renounce the kingdom to become Catholic, I am forced to take a step back to explain the occasion, according to news received from the mouth of the Queen herself, of which I assure myself that Your Holiness is completely sincerely informed.

... Having acquired so much knowledge, she began to reflect that many of the things of the Lutheran sect in which she had been raised could not exist, and, as she began to examine them, she found them more inconvenient. Then she began to study with more diligence in the matters of religion and controversies, and finding that the one in which she was nurtured had no appearance of truth, she set about with extraordinary curiosity to inquire about them all and to ponder the difficulty of each. It took her about five years to do this, with great internal disturbance of mind, as she could not find where to stop; and, measuring everything with merely human discourse, it seemed that many things could be mere political inventions to treat the simplest people; and of the arguments that those of one sect use against another, she used to turn them against that same one, thus she compared the things of Moses among the Jewish people to what Mohammed did among the Arabs. Hence, she could not find any religion that seemed true to her.

And I have many times heard her accuse herself of having been too profane in wanting to investigate the highest mysteries of the divinity, as she has not left behind any mystery of our faith that she did not want to examine, while trying to quiet her soul by finally finding a religion, as she read every kind of book that dealt with something pertaining to it, she also learned many things from the ancients and from the Gentiles and from atheists. And although she never reached such blindness that she doubted the existence of God and she considered Him as something greater than all the others, she too allowed her mind to be filled with many difficulties, of which we have discoursed several times.

And finally she found no other conclusion than that on the outside it was better to do what others do, considering all things indifferent, and it was no more important to follow this religion or that other religion or sect, and it was enough not to do anything that was against the dictate of reason and of which the person could once blush for having done it.

With this, she went about governing herself for some time, and it seemed that she had found some repose, especially that she had discovered other people (even those called from far away) whom she considered to be learned and wise and of little different opinion, as they were outside the true Catholic religion, which had been reproved by them since childhood.

But the Lord God, who wanted to have mercy on the Queen so as not to let her perish in the errors of her intellect, as on the other hand she had an excellent will and desire to know the truth, and in doing so she let herself be guided by the light of righteous reason. She assured me more than ever that she had never done anything that she judged should not be done or about which she could blush (these are her ways of speaking). He began to make her understand that where the eternal health of the soul is concerned, every other interest must give way and that error in such an important thing is of eternal prejudice, so she once again took up the thought that there must be some religion, and given that man must also have a religion, among all those that exist and which she knew were in the world, none seemed more reasonable to her than the Catholic. Therefore, upon more careful reflection, she found that her dogmas and institutes are not as foolish as the Lutheran ministers (they call them pastors) would have her believe.

... Having left Hamburg after two days in Rendsburg, we accompanied the Lord Senator Rosenhane, who was returning to Sweden, and with him we went as far as Roskilde, where the kings of Denmark are buried, except St. Canute, whose head is in Ringsted. He went straight to Helsingør to cross the strait, and we went to Copenhagen. This knowledge made with Lord Rosenhane later helped us in Stockholm to be less suspicious; and one day the Queen, telling him that she did not know what she should think of those two Italians, he said that there was nothing to fear, that they were good people, and he always showed us great courtesy.

We were also fortunate on the journey to join for a few days with General Wachtmeister, grand equerry of the Realm, who was also of no small use to us, because, having arrived in Stockholm on the 24th of February, he conformed to the old style, and the following day, I having tried to speak to Johan Holm, Her Majesty's valet de chambre, to be introduced to present the letter given to me in Rome by the father Vicar General, and I no having found him, in the evening the said general had the occasion for letting Her Majesty know of my arrival.

While the Queen was having supper, two cavaliers complained that they were cold, and General Wachtmeister scolded them, saying that two Italians who had come in his company were not so afraid of the cold. The Queen heard this dispute, and when she asked them what they were arguing about, hearing that two Italians had come, she asked if they were musicians; but the General replied that they were two worthy men who were going to see the country. Her Majesty said that she wanted to see them in any case.

We were immediately informed of all this and exhorted to go to the court the following day, indeed by Signor Zaccaria Grimani, a Venetian nobleman, we were taken there the following morning and introduced to greet Count Magnus de la Gardie, Her Majesty's prime minister, to obtain through him the honour of kissing Her Majesty's hand. He welcomed us with the utmost courtesy and assured us that it would be very dear to Her Majesty.

It was suppertime when the Queen went out into the Fyrkant, and we were advised to approach Her Majesty, and, kissing her hand, we paid her a little compliment in Italian (which she had commanded thus, though she had given us notice that she would answer in French, as we understood it) proportionate to the appearance of the character we represented; and she responded with great kindness. Immediately the Marshal of the Court, and with him all the cavaliers, was sent towards the room where the table was prepared, and I found myself immediately in front of the Queen.

She, who at night thought about the two Italians and reflected that it was precisely the end of February, at about which time Rome had written that we would arrive, had come to suspect that we were the ones she was expecting. When we were not far away from the door, and when everyone had already almost left the Fyrkant, she said to me in a low voice: "Perhaps you have some letters for me?"

And without turning around, "yes"; she added: "Do not talk about it to anyone."

While we were talking after luncheon about what had followed, there came someone who paid us various compliments in French, then proceeded to ask us if we had letters for Her Majesty. I immediately began to give ambiguous answers, that we had no business, that we had no letters of recommendation, etc., until in the end he said in order everything that the Queen had told me in the brief and fortuitous conversation.

Then I realised that it could only be sent to her, but for greater security I asked him for his name, and having heard that he was Johan Holm, I gave him the letter.

The following morning, almost two hours before the usual time to go to court, Johan Holm informed us that Her Majesty wanted to speak to us about him. We went straight away, and as soon as we had entered the Fyrkant, where only the officer of the guard was, when the Queen came out and seemed to be amazed, both because none of the cavaliers were still there and because we had been the first to go; and, after having questioned us about a few things concerning our journey, hearing the officer, she asked him if any of the secretaries had appeared, and replying "no", she ordered them to go and call one of them, and he did not return until after an hour.

Once he had left, Her Majesty began to thank us with very courteous words for the effort we had taken on the journey because of her, and she assured us that whatever danger might arise of being discovered, we should not fear, because she would not allow us to suffer any harm. She charged us with secrecy so that we should not confide in her in person, pointing out to us by name some of those whom she doubted we could trust in the future. She gave us hope that, if she were satisfied, our journey would not be in vain; she asked us about Father Macedo's arrival and how we had been chosen to go there. She told us how Father Macedo's departure happened...
Your Holiness's most humble servant and most obedient son in Christ
Paolo Casati, of the Society of Jesus.


Above: Kristina.


Above: Pope Alexander VII.

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