Saturday, June 1, 2024

Account of Kristina's motives for her/his/their abdication, by either Raimondo Montecuccoli or Alberto Vimina Bellunese

Sources:

Historia delle guerre ciuili di Polonia diuisa in cinque libri progressi dell'armi moscouite contro Polacchi; relatione della Moscouia, e Suetia, e loro gouerni, pages 361 to 368, published by Michel Morosini, 1671


Mémoires concernant Christine, volume 2, pages 91 to 95 (appendix), Johan Arckenholtz, 1751



Above: Kristina.

The account:

Motiui, onde si crede la Regina di Suetia hauer presa risolutione di rinontiare la Corona al Prencipe Carlo Palatino del Reno suo fratello Cugino.
Non è nuoua la risolutione della Regina di Suetia di rinuntiare il Regno, benche l'effetto sia stato improuiso; attesoche nudrendo sentimenti in se stessa di vera pietà, e religione conosciuto l'errore, in che si viueua stolidamente, e si viue da suoi Popoli Santamente stabilì di passare dall'heresia al Catolichismo; e s'hà quindi ad argomentare, e concludere che la Diuina Prouidenza habbia voluto valersi anco, (come s'vdirà dal filo di questo breue racconto,) de motiui terreni per trarre à se, & all'Euangelica verità vn'anima si grande, che virtuosamente applicata coll'opra, e coi pensieri ai dogmi Sacri della Fede Romana se ne và per la strada del merito incaminando alla fruitione dell'eterne imperturbabili consolationi, separato che hauerà dall'indiuiduo lo spirito. Fece questa proua poco tempo doppo seguita la Coronatione, tutto che disturbata dalle preghiere de suoi più intrinsechi, e specialmente da scrittura del Gran Cancelliere Oxestem, che gli fece vedere moltiplicità di pregiudicij, che poteano originarsi alla Corona. Le cause di questo sempre si supposero deriuate dalle male sodisfattioni, e dal desiderio di godere nella dispositione degl'affari publici la prima libertà d'vn Prencipe priuato.

E nuouamente pure si stima esser proceduta questa risolutione dai medesimi rispetti, vedendosi molto limitata l'auttorità nelle deliberationi, c'haurebbe voluto essercitare alla dispotica, e non subordinata alla volontà de Conseglieri. Peroche se ben parue, ch'inclinasse facilmente all'aggiustamento, che seguì l'anno decorso con Brandemburgh, fù però detto ch'ella assentisse à vn certo modo violentata più tosto, che persuasa. Mà con maggior sentimento si credete hauer la Regina consentito di deporre vltimamente il pensiero di mouer l'armi contro Danimarca, alle quali specialmente veniua sollecitata dal Signor Cornificio Vlefelt Gran Mastro di Danimarca desterrato dalla Patria, quello, che viuendo Christiano Quatro Padre del Rè presente, fuor dell'insegne, e titoli Reali, vestì l'auttorita suprema, con che prese à ministrare le cose di quel Regno, & à profittarsi vantaggi notabili di gran fortune; Caualiero versato in ogni lingua, di maniere destre, di tratto cortese, e d'isperienza nelle cose del Mondo sommamente ammaestrato, per tutti questi rispetti dalla Regina accarezzato. Le ragioni alle quali volse il Gran Cancelliere appoggiare la disuasione di passare all'arme contra il Vicino, s'intesero fondate sù'l sospetto della fede de i Confinanti tutti offesi, che prendendo forse occasione dà qualche infausta congiuntura, che non succede di rado nelle vicende della guerra, sarebbono forse stati pronti non à vendicar solo l'ingiurie nel tempo scorso loro inferite, mà à ricuperare ancora il perduto, contando il Moscouita Prencipe così potente, al quale si tengono l'Estonia in Liuonia, e l'Inghermarlandia nei confini della Finnia; L'Imperio, c'hà perduta la Pomerania, & il Vescouato di Brem; onde se fosse stata ancora prouocata la Danimarca, potea il Regno di Suetia restar circondato dà numerose armate di potentissimi nemici.

Nel cedere à questa sentenza vedendosi la Regina vinta più tosto dal discorso, che dall'adherenze dell'Oxestem, cominciò per vantaggiarsi nel Conseglio del numero di voti à prendersi cura di crearsi noui partiali. E se bene l'isperienza hà fatto conoscere, che quanti crescono nei Parlamenti i Consessori, tanto viene diminuito l'auttorità allo stato di Monarca, ad'ogni modo, frequentando le nomine de Senatori, hà fatto crescere il numero di 25, che soleua essere il più copioso sino ai 39. che tanti n'hò lasciato nel mio partire da Vpsal, doue all'hora si ritrouaua la Corte. Gl'vltimi insigniti di questa dignità sono stati il Marescial di Corte, e 'l Generale Maggior Lind Capitano delle Guardie del Corpo di S. M. occasione, onde siano deriuati disgusti, per cui si fà concetto la Regina hauer accelerata la risolutione d'abdicarsi dalle cure del Regno. Pericoche venendo la Carica di Capitano delle Guardie à vacare nella solleuatione del Maggior Lind all'apice Senatorio, fù da Sua Maestà conferita al Conte Claudio Tot primo gentil'huomo di camara, giouine, ch'alcun mesi prima s'era portato dalla scuola de gl'essercitij Caualereschi di Francia in Patria senza isperienza d'alcuna sorte nelle prattiche dell'arte militare. E come che l'emulatione si conosce assai facile à degenerare in inuidia, cominciò dai caduti concorrenti ad'essere lacerata la fama del prouisto Conte Tot, nè senza lasciare illeso il buon nome di Sua Maestà, che andauano predicando souuerchiamente ritirata, & inclinata solamente à farsi priuatamente seruire dà singolari soggetti, li quali, ancorche innetti, non guardaua di promouere alle Cariche di tanto riguardo, lasciati à dietro i più meriteuoli, c'haueano col dispendio de sudori, e di sangue tutto il tempo della loro vita faticato negl'essercitij per comperarsi l'honoreuolezza di questi titoli. E tanto s'auuanzò il sentimento di questo fatto, che si passò ad ordire maligne inuentioni per discreditare il Tot, e qualche altro ancora, che si stimaua più vicino alla gratia della Regina. Si fece auttore à pratticare questo mal'vfficio il Conte Magnus delle Gardie, huomo nouo respettiuamente, che non tiene la serie, che di due maggiori nella linea di Suetia; l'Auolo Frate Francese appostata, mà di gran spirito, che riuscì Generali di Rè Carlo Padre di Gustauo, & il Padre pur buon Soldato morto vltimamente gran Contestabile del Regno, Soggetto due anni fà il più accreditato della Corte, & al presente il più denaroso, e facoltoso di tutto il Regno, tanto più degno di biasmo, & abhorimento, quant'è stata sfacciata l'ingratitudine, che hà portato di compenso verso i beneficij, e le dignità che piaque lungamente alla Regina di conferirgli. Impercioche non è incerta la fama, che da S. M. gli sia stata fatta mercede di rendita annuale in beni stabili di ottanta mila taleri, alla metà della quale non è alcuno in tutto il Regno, e Stati soggetti, che s'auuicini. E non solamente si e la Regina presa pensiero di fabricargli fortune così numerose, mà si è pur compiacciuta di stabilirlo non solo in altezza di posto grande di titoli, e Cariche lucrose del Regno, conferitagli quella di Gran Tesoriero, mà di renderlo ancora conspicuo per parentella alla Casa Reale, facendogli sposare la Prencipessa sua Cugina sorella del Prencipe Carlo all'hora eletto Rè di Suetia. Si condusse alla Regina, e sotto spetie di doglianza rappresentò, ch'era da certe persone, le più care, e vicine ai seruitij Reali, stato disseminato essere alle M. S. vscito di bocca, ch'egli fosse traditore, auanzandosi in essagerationi contro la malignità di costoro, dai quali si procuraua il di lui discredito appresso la Corte, & il Mondo. La Regina marauigliatasi dimandò, chi fossero questi, & egli, ò ricusando, ò infingendosene, al fine, obligato da cõmando Reale à denontiarli, disse, «e stato il Conte Tot, ò lo Stembergh Caualerizzo maggiore di V. M. mà soggionse, io credo il Conte Tot[.]» All'hora la Regina, conoscendo la malignità, rispose; «se è vero, che questi l'habbi[a]no detto, sarà ancor vero, ch'io l'hò detto. Mà ditemi, e da chi hauete voi vdiste queste parole?»

«Madama», rispose, «tengo la mia fede inpegnata per la secretezza, non posso obedirla.» Mà essendogli seriamente commandato, nominò certo gentil'huomo Prussaco, c'haueua negl'vltimi anni delle guerre seruito per Generale Aiutante dell'Infanteria. Fattolo chiamare alla Corte, perche si trouaua lontano, e condotto in faccia al Conte, la Regina dimandò s'era vero, che fosse dal Conte Tot, ò Stembergh stato disseminato questo rumore. «Non, Madama», rispose, «nè tampoco hò sentito à farne moto da persona del Mondo.» All'hora la Regina voltatasi al Conte ammutolito, disse in francese; «Cõte lasciate queste vostre machine, e pensieri, altrimente voi morirete, e di subito toglietemeui dinanzi, e non vi auicinate mai più à questo Palazzo.» Nè satia d'hauerli comminata in voce la sua disgratia, s'applicò subito à scriuere lettera in Francese idioma, che molto frequenta, e scriue ancora con eleganza, inuiandola al Conte con rimproueri molto aggiustati al mancamento, e molto sostenuti nel decoro della dignità Reale. E perche fossero al Mondo noti col mancamento del Conte, di cui già subito volò la fama da per tutto, i motiui, che l'haueuano indotta à disgratiarlo, commandò all'Enzio Olandese suo trattenuto litterato, che tra[s]portasse dal Frãcese in Latino questa lettera, onde potesse leggersi da ciascuno, quasi in spetie di Manifesto. Nè perche siano dopoi stati interposti gagliardi vffici dall'eletto Rè di Suetia, nè per le sommissioni del Conte, è succeduto giamai, che la Regina si disponga à rimetter punto della sua indignatione, giudicando indegna di condonatione quella colpa, che porta origine da così ingrata malignità.

Nel ristretto di pochi giorni, quãdo ancor era più feruente il sangue per la concepita alteratione, si trouò vn tratto il Prencipe Adolfo fratello carnale del Rè eletto, e Cognato del Conte Magnus a galanteare certa Dama Inglese nell'apartamento appunto delle Dame, doue s'era portato anche il Conte Tot. E come si suole nella domestichezza dei discorsi fraporre qualche parola manco corretta, il Prencipe, volendo mostrare accorgimento, disse, in Francese al Conte Tot. «Il Conte Tot suppone di dire belle cose, mà à me parono sciocchezze.» Il Conte non rispose, mà rimouẽdosi dal discorso stete, com'huomo pensoso senza più formare parola. Il Prencipe veduto il Conte in quel modo; «che pensate», disse, «Sig. Conte?» «Penso», rispose, «vna sciochezza», e così poco doppo licẽtiandosi partì per le sue stanze. Non fu fatta sopra questo successo alcuna riflessione da chi si trouò presente, essendo parso, che nella familiarità del discorso non hauesse questa parola potuto portorir sentimento. Tuttauolta la sera mandò il Conte segreta disfida al Prencipe, che fù subito accettata, eleggendo di battersi colle pistolle. Mà la mattina, mentre s'erano inuiati separatamente al luogo destinato, furono dalla Regina ispediti alcuni Caualieri ad impedire questo abbattimento con grauissima perturbatione del Prencipe, che giurò di non voler più tornare alla Corte, se non si batteua col Conte Tott, absentandosi subito senza licentiarsi da alcuno.

Nelle discussioni, che poi fece la Corte di questo accidente, non fù fatto giudicio, ch'l Conte tãto s'offendesse di questa parola, che perciò si sentisse obligato di chiamare il Prencipe à battersi seco; mà che couando nell'animo qualche concepito sentimento, abbracciasse facilmente l'incontro di questa picciola occasione, mẽtre nei discorsi famigliari nõ deuono le parole interpretarsi nel senso, che suonano, mà dall'intentione di chi le proferisce. E perche la speculatiua degl'huomini curiosi non si trattiene sù l'apparenza materiali, fù da qualch'vno ancor giudicato non essere seguita questa disfida senza cõsentimento della Regina. Gl'argomenti furono fondati sù'l supposito, che come il Conte Tot in due altri Duelli, e con lo S[t]embergh Cauallerizzo Maggiore alcuni Mesi prima, e col Co: Dona primo gentil'huomo di Camera di S. M. il Nouẽbre decorso, seppe vsare tal secretezza, che non gionse nouella all'orecchie di S. M. prima, che s'intendesse l'vn, e l'altro essere nell'abbattimento restato ferito, così hauerebbe potuto fare in modo, ch'ancor questo fosse stato celato. Oltre che nõ si vede per questa, che molti dissero temeraria prouocatione contro vn Prencipe di così gran Casa, fratel[lo] Cugino della Regina, e fratello Carnale del Rè eletto, che il Cõte patisse alcuna diminutione della gratia di S. M. riceuuto nel Ministerio de suoi seruitij, e nell'intrinsico della domestica confidẽza di prima la mede sima sera. Il rispetto, che si credete hauer potuto mouere la Regina à consentire segretamente la disfida, fù supposto deriuato dal molto feruore, con che si disse il Prẽcipe essersi riscaldato nella difesa del Co: Magnus suo Cognato, e 'l motiuo del pentimento s'interpretò succeduto dal non volersi vedere auuẽturato al colpo d'vna pistolla vn buon suo gradito Seruitore. O vero, ò falso, che sia questo successo, se ne mormorò in questa forma, e non s'astennero i più licentiosi dal detrar anche della Regina, come quella, c'hauesse così ristrette le riforme della Corte, che non s'apria l'adito famigliare, che à trè persone; al Conte Tot; allo Stembergh; & à D. Antonio Pimentelli Inuiato dal Rè Catolico, col quale dispensaua i giorni intieri, e molta parte della notte, che consumaua in vigilie, essendo la Maestà Sua tanto parca nel sonno, ch'in questo per ordinario non è solita di sopirsi, che per quattro hore.

Il fastidio di queste voci, che sẽpre andauano crescendo; la necessità, c'hauea prouato d'obligar spesso il consenso nelle rissolutioni di Stato ai voti de Senatori; l'ingratitudine, che prouaua dai più beneficiati; le detrationi de Preti scelerati, che mai s'asteneuano di essaggerare dai Pulpiti, che per la curiosità della Regina s'introducessero à vitiare la semplicità de Suedesi costumi, stranieri, e nemici della Religione, Italiani, e Francesi, dei quali si trouaua il Palazzo Reale ripieno, e la scarsezza de danari, che si prouaua del cõtinuo, ond'era quasi, che si mendicasse per le spese della Real Casa; la sfacciataggine de molti, che hauerebbono voluto vedere l'arbitrio della Regina regolató nella sordida barbarie degl'vsi antiche, sono stati creduti i veri impulsi, dai quali sia stata la M. S. commossa à solleuarsi l'animo da disgusti colla depositione della Corona. Mà la persuasione così repentina, per cui l'animo suo Reale sia disposto ad effettuare la rinuntia, si giudica prouenuta da qualche graue motiuo, per cui si sia la M. S. offesa nelle deliberationi dell'vltima regunãza del pieno Senato, che fù commandata per lo primo di Febraro 1654. nella quale si doueua rescriuere alle lettere del Moscouita portate dall'Inuiato di questo Prencipe, e trattarsi spetialmẽte circa le risolutioni d'vna aleanza con Spagna, & Inghiltera, nella quale è cosa certa, che si trouasse la Regina molto impegnata con D. Antonio Pimẽtelli, e di sorte, che se bene per la solleuatione del Cramuel alla suprema assistẽza del Regno d'Inghiltera pareano gli affari hauer mutata apparenza, massime doppo la pace, che seguì appresto trà gl'Olandesi, & Inglesi, ad ogni modo hauea D. Antonio costantemente scritto al Pletembergh Residente Cesareo in Amburgo, che non sarebbono queste alterationi, e rapacificationi, d'alcun'oltraggio allo stabelimento dei trattati. Mà quel vano susurro sparso per tutto dalla fama, che la Regina s'habbia sotratto dal peso dello Scettro per darsi vanamente curiosa alle peregrinationi, può giudicarsi facilmẽte così lontano dall'apparenza del vero, quãto la sodezza di S. M. si hà fatto conoscere molto matura anche nelle risolutioni di momenti leggieri, non che nella somma, doue si tratti di tutto l'essere delle cose. Pùo ben essere, che volẽdo instituirsi vna ragion di vita à libera dispositione de suoi piaceri, deliberi vna volta di far qualche giro à pagare la curiosità colla vista di molte Regioni, tanto più accelerãdosi nella risolutione, quanto sia prouocata dal fastidio d'vdire, e veder cose di poco suo godimento; come pur hoggi giorno s'intende essersi portata all'aque di Spà, d'onde si crede douersi partire à vedere tutta la Fiandra, e di là doue più sodisfi al suo pensiero.
IL FINE.

With modernised spelling:

Motivi, onde si crede la regina di Svezia aver presa risoluzione di rinunciare la Corona al principe Carlo palatino del Reno, suo fratello cugino.
Non è nuova la risoluzione della regina di Svezia di rinunciare il regno, benché l'effetto sia stato improviso, atteso che nudrendo sentimenti in se stessa di vera pietà e religione conosciuto l'errore, in che si viveva stolidamente e si vive da suoi popoli santamente stabilì di passare dall'eresia al cattolichismo; e s'ha quindi ad argomentare e concludere che la Divina Providenza abbia voluto valersi anco (come s'udirà dal filo di questo breve racconto) de motivi terreni per trarre a se, ed all'evangelica verità un'anima si grande che virtuosamente applicata coll'opra, e coi pensieri ai dogmi sacri della fede romana, se ne va per la strada del merito incaminando alla fruizione dell'eterne imperturbabili consolazioni, separato che avrà dall'individuo lo spirito.

Fece questa prova poco tempo dopo seguita la coronazione, tutto che disturbata dalle preghiere de suoi più intrinsechi e specialmente da scrittura del gran cancelliere [Oxenstierna], che gli fece vedere moltiplicità di pregiudizi che poteano originarsi alla Corona. Le cause di questo sempre si supposero derivate dalle male soddisfazioni e dal desiderio di godere nella disposizione degl'affari pubblici la prima libertà d'un principe privato.

E nuovamente pure si stima esser proceduta questa risoluzione dai medesimi rispetti, vedendosi molto limitata l'autorità nelle deliberazioni ch'avrebbe voluto esercitare alla dispotica e non subordinata alla volontà de consiglieri. Perroché se ben parve ch'inclinasse facilmente all'aggiustamento, che seguì l'anno decorso con Brandeburg[o], fu però detto ch'ella assentisse a un certo modo violentata più tosto che persuasa.

Ma con maggior sentimento si credete aver la regina consentito di deporre ultimamente il pensiero di mover l'armi contro Danimarca, alle quali specialmente veniva sollecitata dal signor Cornifizio Ulfeldt, gran maestro di Danimarca, desterrato dalla Patria, quello, che vivendo Cristiano Quattro, padre del re presente, fuor dell'insegne e titoli reali, vestì l'autorita suprema con che prese a ministrare le cose di quel regno, ed à profitarsi vantaggi notabili di gran fortune, cavaliero versato in ogni lingua, di maniere destre, di tratto cortese, e d'isperienza nelle cose del mondo sommamente ammaestrato, per tutti questi rispetti dalla regina accarezzato.

Le ragioni alle quali volse il gran cancelliere appoggiare la disuasione di passare all'arme contra il vicino, s'intesero fondate sù'l sospetto della fede de i confinanti tutti offesi, che prendendo forse occasione da qualche infausta congiuntura che non succede di rado nelle vicende della guerra, sarebbono forse stati pronti non a vendicar solo l'ingiurie nel tempo scorso loro inferite, ma a ricuperare ancora il perduto, contando il moscovita principe così potente, al quale si tengono l'Estonia in Livonia e l'Inghermanlandia nei confini della Finnia. L'imperio c'ha perduta la Pomerania ed il vescovato di Brem[a], onde se fosse stata ancora provocata la Danimarca, potea il regno di Svezia restar circondato da numerose armate di potentissimi nemici.

Nel cedere a questa sentenza vedendosi la regina vinta più tosto dal discorso che dall'aderenze dell'[Oxenstiern], cominciò per vantaggiarsi nel Consiglio del numero di voti a prendersi cura di crearsi nuovi parziali. E se bene l'isperienza ha fatto conoscere che quanti crescono nei parlamenti i concessori, tanto viene diminuito l'autorità allo stato di monarca ad'ogni modo, frequentando le nomine de senatori ha fatto crescere il numero di 25, che soleva essere il più copioso sino ai 39 che tanti n'ho lasciato nel mio partire da Upsal, dove allora si ritrovava la corte.

Gl'ultimi insigniti di questa dignità sono stati il marescial di corte e 'l generale maggior Lind, capitano delle guardie del corpo di Sua Maestà occasione, onde siano derivati disgusti, per cui si fa concetto la regina aver accelerata la risoluzione d'abdicarsi dalle cure del regno. Pericocché, venendo la carica di capitano delle guardie a vacare nella solevazione del maggior Lind all'apice senatorio, fu da Sua Maestà conferita al conte Claudio Tott, primo gentiluomo di camara, giovine ch'alcun mesi prima s'era portato dalla scuola de gl'eserciti cavalereschi di Francia in Patria, senza isperienza d'alcuna sorte nelle pratiche dell'arte militare.

E come che l'emulazione si conosce assai facile a degenerare in invidia, cominciò dai caduti concorrenti ad'essere lacerata la fama del provisto conte Tott, ne senza lasciare illeso il buon nome di Sua Maestà, che andavano predicando sovverchiamente ritirata ed inclinata solamente a farsi privatamente servire da singolari soggetti, li quali, ancorché inetti, non guardava di promovere alle cariche di tanto riguardo, lasciati addietro i più meritevoli ch'aveano col dispendio de sudori e di sangue tutto il tempo della loro vita faticato negl'eserciti per comperarsi l'onorevolezza di questi titoli.

E tanto s'avvanzò il sentimento di questo fatto che si passò ad ordire maligne invenzioni per discreditare il Tott, e qualche altro ancora, che si stimava più vicino alla grazia della regina. Si fece autore a praticare questo mal'uffizio il conte Magnus de la Gardie, uomo nuovo respetivamente che non tiene la serie che di due maggiori nella linea di Svezia. L'avolo frate, francese appostato, ma di gran spirito, che riuscì generali di re Carlo, padre di Gustavo, ed il padre pur buon soldato, morto ultimamente gran contestabile del Regno, soggetto due anni fa il più accreditato della corte, ed al presente il più denaroso e facoltoso di tutto il regno, tanto più degno di biasmo ed abborimento quant'è stata sfacciata l'ingratitudine che ha portato di compenso verso i benefici e le dignità che piaque lungamente alla regina di conferirgli.

Imperciocché non è incerta la fama che da Sua Maestà gli sia stata fatta mercede di rendita annuale in beni stabili di ottanta mila taleri, alla metà della quale non è alcuno in tutto il regno e stati soggetti, che s'avvicini. E non solamente si e la regina presa pensiero di fabricargli fortune così numerose, ma si è pur compiacciuta di stabilirlo non solo in altezza di posto grande di titoli e cariche lucrose del regno, conferitagli quella di gran tesoriero, ma di renderlo ancora cospicuo per parentella alla Casa Reale, facendogli sposare la principessa sua cugina sorella del principe Carlo allora eletto re di Svezia. Si condusse alla regina, e sotto specie di doglianza rappresentò ch'era da certe persone le più care e vicine ai serviti reali, stato disseminato essere alle Maestà Sua uscito di bocca ch'egli fosse traditore, avvanzandosi in esagerazioni contro la malignità di costoro, dai quali si procurava il di lui discredito appresso la corte ed il mondo.

La regina maravigliatasi dimandò chi fossero questi ed egli, o ricusando, o infingendosene, al fine obbligato da comando reale a denunciarli, disse: «È stato il conte Tott, o lo Steinberg, cavallerizzo maggiore di Vostra Maestà, ma», soggiunse, «io credo il conte Tott.»

Allora la regina, conoscendo la malignità, rispose: «Se è vero che questi l'abbiano detto, sarà ancor vero ch'io l'ho detto. Ma ditemi, è da chi avete voi udiste queste parole?»

«Madama», rispose, «tengo la mia fede inpegnata per la segretezza, non posso ubbedirla.»

Ma, essendogli seriamente comandato, nominò certo gentiluomo prussaco ch'aveva negl'ultimi anni delle guerre servito per generale aiutante dell'infanteria. Fattolo chiamare alla corte, perché si trovava lontano, e condotto in faccia al conte, la regina dimandò s'era vero che fosse dal conte Tott, o Steinberg stato disseminato questo rumore.

«Non, madama», rispose, «ne tampoco ho sentito a farne moto da persona del mondo.»

Allora la regina voltatasi al conte ammutolito, disse in francese: «Conte, lasciate queste vostre machine e pensieri, altrimente voi morirete, e di subito toglietemevi dinanzi; e non vi avvicinate mai più à questo palazzo.»

Ne satia d'averli comminata in voce la sua disgrazia, s'applicò subito a scrivere lettera in francese idioma, che molto frequenta, e scrive ancora con eleganza, inviandola al conte con rimproveri molto aggiustati al mancamento, e molto sostenuti nel decoro della dignità reale. E perché fossero al mondo noti col mancamento del conte, di cui già subito volò la fama da per tutto i motivi che l'avevano indotta a disgraziarlo, comandò all'[Heinsio], olandese, suo trattenuto letterato, che trasportasse dal francese in latino questa lettera, onde potesse leggersi da ciascuno, quasi in specie di manifesto.

Nè perché siano dopo i stati interposti gagliardi uffizi dall'eletto re di Svezia, nè per le sommissioni del conte è succeduto giamai che la regina si disponga a rimetter punto della sua indignazione, giudicando indegna di condonazione quella colpa che porta origine da così ingrata malignità.

Nel ristretto di pochi giorni, quando ancor era più fervente il sangue per la concepita alterazione, si trovò un tratto il principe Adolfo, fratello carnale del re eletto e cognato del conte Magnus, a galantiare certa dama inglese nell'appartamento appunto delle dame, dove s'era portato anche il conte Tott. E come si suole nella domestichezza dei discorsi frapporre qualche parola manco corretta, il principe, volendo mostrare accorgimento, disse in francese al conte Tott: «Il conte Tott suppone di dire belle cose, ma a me parono sciocchezze.»

Il conte non rispose, ma rimovendosi dal discorso stete, com'uomo pensoso senza più formare parola. Il principe veduto il conte in quel modo: «Che pensate», disse, «signor conte?»

«Penso», rispose, «una sciochezza», e così poco dopo licenziandosi partì per le sue stanze.

Non fu fatta sopra questo successo alcuna riflessione da chi si trovò presente, essendo parso, che nella familiarità del discorso non avesse questa parola potuto portar sentimento. Tuttavolta la sera mandò il conte segreta disfida al principe, che fu subito accettata, eleggendo di battersi colle pistole. Ma la mattina, mentre s'erano inviati separatamente al luogo destinato, furono dalla regina ispediti alcuni cavalieri ad impedire questo abbattimento con gravissima perturbazione del principe, che giurò di non voler più tornare alla corte se non si batteva col conte Tott, assentandosi subito senza licenziarsi da alcuno.

Nelle discussioni che poi fece la corte di questo accidente, non fu fatto giudicio ch'il conte tanto s'offendesse di questa parola, che perciò si sentisse obbligato di chiamare il principe a battersi seco; ma che covando nell'animo qualche concepito sentimento, abbracciasse facilmente l'incontro di questa picciola occasione, mentre nei discorsi famigliari non devono le parole interpretarsi nel senso, che suonano, ma dall'intenzione di chi le proferisce. E perché la speculativa degl'uomini curiosi non si trattiene su l'apparenza materiali, fu da qualch'uno ancor giudicato non essere seguita questa disfida senza consentimento della regina.

Gli argomenti furono fondati sul supposito, che come il conte Tott in due altri duelli e con lo Steinberg, cavallerizzo maggiore alcuni mesi prima, e col conte Dohna, primo gentiluomo di camera di Sua Maestà il novembre decorso, seppe usare tal segretezza, che non giunse novella all'orecchie di Sua Maestà prima, che s'intendesse l'un e l'altro essere nell'abbattimento restato ferito, così avrebbe potuto fare in modo, ch'ancor questo fosse stato celato.

Oltre che non si vede per questa, che molti dissero temeraria provocazione contro un principe di così gran casa, fratello cugino della regina e fratello carnale del re eletto, che il conte patisse alcuna diminuzione della grazia di Sua Maestà ricevuto nel ministerio de suoi servigi e nell'intrinsico della domestica confidenza di prima la mede sima sera. Il rispetto che si credete aver potuto muovere la regina a consentire segretamente la disfida, fu supposto derivato dal molto fervore, con che si disse il principe essersi riscaldato nella difesa del conte Magnus suo cognato, e 'l motivo del pentimento s'interpretò succeduto dal non volersi vedere avventurato al colpo d'una pistola un buon suo gradito servitore.

O vero, o falso, che sia questo successo, se ne mormorò in questa forma, e non s'astennero i più licenziosi dal detrar anche della regina, come quella ch'avesse così ristrette le riforme della corte che non s'apria l'adito famigliare, che a tre persone. Al conte Tott, allo Steinberg, ed a don Antonio Pimentelli, inviato dal re cattolico, col quale dispensava i giorni intieri, e molta parte della notte che consumava in vigilie, essendo la Maestà Sua tanto parca nel sonno ch'in questo per ordinario non è solita di sopirsi che per quattro ore.

Il fastidio di queste voci che sempre andavano crescendo, la necessità ch'avea provato d'obbligar spesso il consenso nelle risoluzioni di Stato ai voti de senatori; l'ingratitudine che provava dai più beneficiati; le detrazioni de preti scelerati che mai s'astenevano di esagerare dai pulpiti, che per la curiosità della regina s'introducessero a viziare la semplicità de Svedesi, costumi, stranieri, e nemici della religione; Italiani e Francesi, dei quali si trovava il Palazzo Reale ripieno; e la scarsezza de danari che si provava del continuo, ond'era quasi che si mendicasse per le spese della Real Casa; la sfacciataggine de molti che avrebbono voluto vedere l'arbitrio della regina regolato nella sordida barbarie degl'usi antiche sono stati creduti i veri impulsi, dai quali sia stata la Maestà Sua commossa à sollevarsi l'animo da disgusti colla deposizione della Corona.

Ma la persuasione così repentina, per cui l'animo suo reale sia disposto ad effettuare la rinuncia, si giudica provenuta da qualche grave motivo, per cui si sia la Maestà Sua offesa nelle deliberazioni dell'ultima radunanza del pieno Senato, che fu commandata per lo primo di febbraro 1654, nella quale si doveva rescrivere alle lettere del Moscovita portate dall'inviato di questo principe, e trattarsi specialmente circa le risoluzioni d'una allianza con Spagna ed Inghiltera, nella quale è cosa certa che si trovasse la regina molto impegnata con don Antonio Pimentelli, e di sorte che, se bene per la sollevazione del Cromwell alla suprema assistenza del regno d'Inghiltera, parevano gli affari aver mutata apparenza, massime dopo la pace, che seguì appresto trà gl'Olandesi ed Inglesi.

Ad ogni modo avea don Antonio costantemente scritto al Plettenberg, residente cesareo in Amburgo, che non sarebbono queste alterazioni e rapacificazioni, d'alcun'oltraggio allo stabilimento dei trattati. Ma quel vano susurro sparso per tutto dalla fama, che la regina s'abbia sotratto dal peso dello scettro per darsi vanamente curiosa alle peregrinazioni, può giudicarsi facilmente così lontano dall'apparenza del vero, quanto la sodezza di Sua Maestà si ha fatto conoscere molto matura anche nelle risoluzioni di momenti leggieri, non che nella somma, dove si tratti di tutto l'essere delle cose.

Può ben essere che volendo instituirsi una ragion di vita a libera disposizione de suoi piaceri, deliberi una volta di far qualche giro a pagare la curiosità colla vista di molte regioni, tanto più accelerandosi nella risoluzione, quanto sia provocata dal fastidio d'udire, e veder cose di poco suo godimento; come pur oggi giorno s'intende essersi portata all'acque di Spa, d'onde si crede doversi partire a vedere tutta la Fiandra, e di là dove più soddisfi al suo pensiero.
Il fine.

Arckenholtz's transcript of the account:

Motivi onde si crede la Regina di Suezia haver presa risolutione di rinonciare la Corona al Principe Carlo Palatino del Rene suo fratel Cugino.
Non è nova la risolutione della Regina di Suezia di rinuntiare il Regno, benche l'effetto sia stato improviso. Fece questa prova poco tempo doppo seguita la sua Coronatione, tutto, che disturbata dalle preghiere de suoi più intrinseci, e specialmente da scrittura del Gran Cancelario Oxensterna, che gli fece vedere molplicità di pregiudicii, che potranno originarsi alla Corona. Le cause di quel tempo si suposero derivate dalle male sodisfattioni, che ricevette, e dal desiderio di godere nella dispositione degli affari publici la piena libertà d'un principe privato. E novamente pure si stima esser proceduta questa risolutione dai medesimi rispetti, vedendosi molto limitata l'autorità nelle deliberationi, c'haverebbe voluto essercitare alla dispotica, e non subordinata alla volontà di Consiglieri. Poiché se ben parue, ch'inclinasse facilmente all'aggiustamento, che segui l'anno decorso con Brandenburgh, fù però detto, ch'ella assentisse anzi violentata ad un certo modo che persuasa. Mà con maggior sentimento si credette haver la Regina consentito di deporre ultimamente il pensiero di mover l'armi contro Danimarca, perch'ella specialmente ne venia sollicitata dal Sr. Cornificio Ulfeldt Gran Maestro di Danemarca desterminato della Patria, quello che vivendo Christiano IV. Padre del Ré presente, fuor delle insegne e titoli Reali, vesse l'autorita soprema, con che prese a ministrare le cose di quel Regno, e a profitarsi vantaggi notabili di gran Fortune; Cavaliero versato in ogni lingua, di maniere destre, di tratto cortese, e d'esperienza nelle cose del mondo sommamente ammaestrato, per tutti questi rispetti dalla Regina avanzato (accarezato). Le ragioni, alle quali racolse il Gran Canceliero appoggiare la diffuntione di passar all'armi contra il Vicino, s'intendessero fondate sul sospetto della fede de i continuati tutti offesi, che prendendo forse occasione da qualche infausta congiuntura, che non succede di rado nelle vicende della guerra, sarebbon forse stati assai pronti, non a vendicare solo l'ingiurie nell tempo sotto loro inferite, mà a ricuperare ancora il perduto, contando il Moscovito Prencipe cosi potente al quale si tengono l'Estonia in Livonia, e l'Inghermanlandia nelli confini della Finnia. il Polacco al quale è stata usurpata la Livonia tutta, l'Imperio c'ha perduto la Pomerania, & il Vescovato di Brema, se fosse ancora stata provocata la Danemarca, potrebbe il regno di Suezia restar circondato da numerose armate di potentissimi Nemici.

Nel cedere a questa sentenza vedendosi la Regina vinta più tosto, che dal discorso, dall'adherenze dell'Oxenstiern cominciò, per vantaggiarsi nel conseglio del numero di voti, a prendersi cura di trovarsi nuovi partiali. E se ben l'isperienza ha fatto connoscere, che quanto crescono ne i Parlamenti i Concessori, tanto viene diminuito l'autorità allo stato di Monarca, ad ogni modo, frequentando le nomine de Senatori, hà fatto crescere il numero de XXV, che soleva essere il più copioso, sino a i XXXIX, che tanti n'ho lasciati nel mio partir d'Upsal in Uplandia, dove allora si ritrovava la Corte. Gli ultimi insigniti di questa dignità sono stati il Marescial di Corte, e 'l General Maggior Linde, Capitano delle Guardie del Corpo di sua Maestà, occasione, onde siano derivati disgusti, percio si fa concetto, la Regina haver accelerata la risolutione d'abdicarsi dalle cose del Regno. Peroche venendo la carica di Capitanò della Guardie a vacare nella solevatione del Maggior Linde all'apice Senatorio, fù da sua Maestà conferita al Conte Claudio Tott, primo Gentilhuomo di Camara, giovane, ch'alcuni mesi prima, s'era portato dalle scuole de gli essercitii Cavalereschi di Francia alla patria, senza isperienza d'alcuna sorte nelle prattiche dell'arte militare. E come che l'emulatione si conosce assai facile a degenerare in invidia, cominciò dai Caduti concorrenti ad esser lacerata la fama di questo Conte Tott, ne senza lasciar illeto il buon nome di sua Maestà, ch'andavano predicando soverchiamente ritirata, & inclinata solamente a farsi privatamente servire da singolari soggetti, i quali, ancorche inetti, non guardava di promovere alle cariche di tanto riguardo, lasciati a dietro i più meritevoli, e' haveano col dispendio de sudori, e di sangue tutt'il tempo della loro vita faticato ne gli essercitii per comprarsi l'honorevolezza di questi titoli, e tanto s'avanzò il sentimento di questo fatto, che si passò a ordire maligne inventioni per discreditare il Tott, e qualch'altro ancora, che si stimava più vicino alla gratia della Regina. Si fece autore a pratticare questo mal officio il Conte Magnus de la Gardie, huomo novo respettivamente, che non tiene la sorte, che da due Maggiori della linea di Suezia. L'Auolo Frate Francese apostato, ma di gran spirito, che riusci Generali del Ré Carlo Patre di Gustavo, & il Patre pur buon soldato, morto ultimamente gran Contestabile del Regno: soggetto due anni fà il più accreditato della Corte, & al presente il più denaroso, e facoltoso di tutto il Regno, tanto però degno di biasimo & abhorrimento, quanto é stata facciata l'ingratitudine c'ha portato di compensò verso i beneficii, e le dignità, che piacque longamente alla Regina di conferirgli. Peroche come é incerta la fama, che da sua Maestà gli sia stata mercede di rendita annuale in beni stabili di ottanta mila taleri, alla metà della quale non è alcuno in tutto il Regno, e stati soggetti, che s'avicini, e non solamente si è la Regina presà pensiero di fabricargli fortune, o cose numerose, mà s'e pur compiaciata di stabilirlo non solo in altezza di Porto Grande, di titoli e cariche lucrose del Regno, conferendogli quelle di gran Tesoriero, ma renderlo ancora conspicuo per parentella colla casa Reale, facendogli sposare la Prencipesse sua Cugina sorella del Principe Carlo, allora eletto Ré di Suezia. Si condusse alla Regina, e sotto spetie di doglianza rappresentò, ch'era da certe persone le più care, e vicine a i servitii Reali, stato disseminato essere alle Maestà sua escito di bocca, ch'egli fosse traditore, avanzandosi in essaggerationi contro la malignità di Costoro, da i quali si procurava il de lui discredito appresso la Corte, & il Mondo. La Regina meravigliatasi, dimandò, chi fossero questi; & egli, ò ricusando, ò infingendossene, al fine obligato da comando reale a denuntiarli, disse: «E stato il Conte Tott, e lo Stenberg Maggior Cavallerizo di Vostra Maestà. Mà» soggiunse «io credo il Conte Tott.» Allora la Regina conoscendo la malignità, rispose: «s'è vero, che questi l'habbiano detto, sarà ancora, ch'io l'ho detto. Ma ditemi, e da chi havete voi intese queste parole?» «Madama», rispose, «tengo la mia fede inpegnata per la secretezza, non posso obedirla», mà essendogli seriamente commandato, nominò certo Gentilhuomo Prusaco, c'havea negli ultimi anni delle guerre servito per Generale Adjutante della Infanteria. Fatto lo chiamare alla Corte, per che si ritrovava lontano, e condotto in faccia al Conte, la Regina dimandò s'era vero, che fosse dal Conte Tott, ò Stenberg stato disseminato questo romore. «Non, Madama», rispose, «ne tam poco ha mai sentito disseminato a farne motto da persone del Mondo.» Allora la Regina voltatasi al Conte ammutolito, disse, in francese: «Conte lasciate queste vostre Machine, e pensieri, altramente voi morrete, e di subito toglietemivi dinanzi, e non vi avicinate mai più a questo palazzo.» Nel finire d'haver gli comminata in voce la sua disgratia, s'applicò subito la Regina a scriver lettera in Francese idioma, che molto frequenta, e scrive ancora con eleganza, inviandola al Conte con rimproveri molto aggiustati al mancamento, e molto sostenuti nel decoro della dignità Reale. E perche fosse noto al mondo il mancamento del Conte, di cui gia subito volò la fama da per tutto coi motivi che l'havevano indotta a disgratiarlo, comandò al Entio (Heinsio) Olandese suo tratenuto Litterato, che trasportasse dal francese in Latino questa lettera, onde potesse leggersi da ciascuno, quasi in specie di manifesto. Ne perche siano stati interposti gagliardi ufficii dall'eletto Ré di Suezia, ne per le sommissioni del Conte, è succeduto giamai, che la Regina si disponga a rimetterlo punto dalla sua giusta indignatione, giudicando indegna di condonatione quella colpa, che porta l'origine da cosi ingrata malignità.

Nel ristretto, di pochi giorni, quando ancora era più fervent' il sangue per la concepita alteratione, si trovò un tratto il Prencipe Adolfo fratello Carnale del Ré eletto, e cognato del Conte Magnus, a galanteggiare certa Dama Inglese, nell'appartamento apunto delle Dame, dove s'era anche portato il Conte Tott. E come si suole nella domestichezza di discorsi frapporre qualche parole manco corretta, il Prencipe volendo mostrarne accorgimento, disse in Francese al Conte Tott. «Il Conte Tott suppone di dir belle cose mà à me paiono sciocchezze.» Il Conte non rispose, ma rimovendosi dal discorso, stette com'huomo pensoso senza più formar parola. Il Prencipe veduto il Conte in quel modo, «che pensate», disse, «Signor Conte?» «Penso», rispose, «una pazza sciochezza», e cosi poco doppo licentiandosi parti per le sue stanze. Non fù fatto sopra questo successo alcuna riflessione, da chi si trovò presente, essendo parso, che nella famigliarità del discorso non havesse questa parola potuto portar sentimento. Tutta volta la sera mandò il Conte segreta disfida al Prencipe, che fù subito accettata, elegendosi di battersi colle pistole. Mà la matina, mentre s'erano inviati separatamente al luogo dessinato, furono dalla Regina ispediti alcuni Cavalieri ad impedire questo abbatimento con gravissima perturbatione del Prencipe, che giurò di non voler più tornare alla Corte, se non si battesse coll Tott, absentandosi subito senza licentiarsi da alcuno. Nelle discussioni, che poi fece la Corte di questo accidente, non fù fatto giudicio, che 'l Tott, tanto s'offendesse di questa parola, che per ciò si sentisse obligato di chiamare li Prencipe a battersi seco, mà, che covando nell'animo qualche concepito sentimento abbracciasse facilmente l'incontro di questa picciola occasione, mentre ne i discorsi famigliari, non devono le parole interpretarsi nel senso, che suonano, ma dall'intentione di chi le proferisce. E per che la speculativa de gli huomini curiosi non si traliene fù le apparenza materiali, fù da qualch'uno ancor giudicato non esser seguita questa disfida senza consentimento della Regina. Gli argomenti furono fondati sul supposto, che come il Conte Tott indue altri duelli, è con lo Stenberg Cavalerizzo Maggiore, alcuni mesi prima, e col Conte Dona primo gentil-huomo di Camera di sua Maestà il Novembre decorso, seppe usar' tal segretezza, che non giunse alcuna nuova all'orechi di sua Maestà prima, che s'intendesse l'un & l'altro essere nell'abattimento restato ferito, cosi haverebbe potuto fare in modo, ch'ancor' questo fosse stato celato Oltre, che non si vidde per questa, che molti dissero temeraria provocatione contre un Prencipe di cosi gran Casa, fratello Cugino della Regina, e fratello carnale del Ré eletto, che 'l Conte patisse alcuna diminutione della gratia di sua Maestà ricevuto nel ministeria de suoi servitii, ò nell'intrinseco della domestica confidenza di prima la medesima sera. Il rispetto, che si credette, haver potuto movere la Regina a consentire segretamente alla disfida, fù supposto derivato dal molto fervore, con che si disse il Prencipe essersi riscaldato nella diffesa del Conte Magnus suo cognato, è 'l motivo del pentimento s'interpreto succeduto dal non volersi vedere aventurato al colpo d'una Pistola un ben suo gradito Servitore. E vero o falso che sia il successo se né mormorò in questa formo. Non s'astennero i più licentiosi dal detrahere anche della Regina, comme quella, c'havesse cosi ristrette le riforme della Corte che non s'appria l'adito famigliare, che a tré persone, al Conte Tott, allo Stenberg, e a D. Antonio Pimentel inviato dal Ré Catolico, col quale dispensava i giorni intieri, & molta parte della notte, che consummava in vigilie, essendo la Maestà sua tanto parca nel sonno, che in questo per ordinario non é solita di sopirsi, che per quatro hore. Il fastidio di queste voci, che sempre andavano crescendo, la necessità c'haveva provato d'obligar spesso il consenso nelle risolutioni di stato à i voti de Senatori, l'ingratitudini che provava da i più beneficiati, le detrattioni de i Preti scelerati, che mai assenevano d'essaggerare da i pulpiti, che per la curiosita licentiosa della Regina, s'introducessero a visitare la simplicità de' Suedesi, costumi stranieri, e nemici della Religione, Italiani e Francesi, de i quali si trovava il palazzo reale ripieno, la scarsezza di' dinari, che si provava di continuo, ond'era quasi, che si mendicasse anche per le spese della Real casa, la sfacciatagine di molti, c'haverebbono voluto veder regolato l'arbitrio della Regina nella sordida barbarie delle cose antiche, sono stati creduti i più veri impulsi, da i quali sia stata la Maestà sua commossa a sollevarsi l'animo da i disgusti colla dispositione della Corona. Mà la persuasione cosi repentina, per cui l'animo suo reale s'è disposto d'effettuare la rinontia, si giudica provenuto da qualche grave motivo, per cui si sia la Maestà sua offesa nelle deliberationi dell'ultima redunanza del pieno senato, che fù commandata pel primo di febraro 1654 nel quale, si dovea rispondere alle lettere del Moscovite portate dall'inviato di questo Prencipe e trattarsi specialmente circa le risolutioni d'un allianza con la Spagna & Inghilterra, nella quale è cosa certa, che si trovasse la Regina molto impegnata con D. Antonio Pimentel, e di sorte, che se ben per la sollevatione del Cromwell alla soprema assistenza del regno d'Inghilterra, e massime doppo la pace che segui appresto, tra gli Olandesi & Inghlesi, ad ogni modo havea D. Antonio constantemente scritto al Plettenburg Residente Cesareo in Amburg, che non sarebbono queste alterationi e rapacificationi d'alcun oltraggio allo stabilimento de i Trattati. Mà quel vano susurro sparso per tutto dalla fama, che la Regina si sia sottratta dal peso dello scettro per darsi vanamente otiosa alle peregrinationi può giudicarsi facilmente cosi luntano dall'apparenze del vero, quanto la sodezza di Sua Maestà s'è fatta conoscere molto matura anche nelle risolutioni di momenti legieri, non che nella somma dove si tratti di tutto l'essere delle cose. Pùo ben essere, che volendo instituirsi una ragione di vita a libera dispositione de suoi piaceri, deliberi una volta di far qualche giro a pagare la curiosità colla visita di molte regioni tanto più accelerandosi nella risolutione, quanto sia provocata dal fastidio d'udire, e veder cose di suo poco gradimento, come pur oggidi s'intende essersi portata all'acque di Spà, d'onde si crede doversi partire a veder tutta Fiandra, è di là, dove più sodisfi al suo pensiero.

French translation (my own; I cannot tag it as such due to character limits in the tags):

Raisons pour lesquelles la reine de Suède aurait pris la résolution de renoncer à la Couronne au prince palatin Charles du Rhin, son frère-cousin.
La résolution de la reine de Suède de renoncer au royaume n'est pas nouvelle, bien que l'effet ait été soudain, étant donné qu'en nourrissant en elle des sentiments de vraie piété et de religion, elle a reconnu l'erreur dans laquelle elle vivait impassible et dans laquelle vit son peuple, elle a saintement décidé de passer de l'hérésie au catholicisme; et il faut donc argumenter et conclure que la Divine Providence a aussi voulu utiliser (comme on l'entendra dans le fil de cette nouvelle) des motifs terrestres pour attirer à elle-même et à la vérité évangélique une âme si grande et si vertueuse appliquée à son travail et ses pensées vers les dogmes sacrés de la foi romaine, elle parcourt le chemin du mérite vers la jouissance des consolations éternelles, imperturbables, séparées de l'individu par l'esprit.

Elle a fait ce test peu de temps après le couronnement, bien que troublée par les prières de ses proches et surtout par les écrits du grand chancelier Oxenstierna, qui lui ont fait voir la multiplicité des préjugés qui pouvaient provenir de la Couronne. Les causes en étaient toujours censées provenir de mauvaises satisfactions et du désir de jouir de la première liberté d'un prince privé dans la gestion des affaires publiques.

Et encore une fois, cette résolution est censée procéder des mêmes égards, puisque l'autorité dans les délibérations qu'elle aurait voulu exercer était très limitée et n'était pas subordonnée à la volonté des conseillers. Car, même si elle semblait facilement encline à l'adaptation qui s'ensuivit avec le Brandebourg au cours de l'année écoulée, on disait néanmoins qu'elle acceptait d'une certaine manière plus rapidement qu'elle n'était convaincue.

Mais avec plus de sentiment, on croit que la reine s'est finalement permise de mettre de côté l'idée de prendre les armes contre le Danemark, ce à quoi l'avait particulièrement poussée le sieur Corfitz Ulfeldt, grand maître du Danemark, déserté de son pays, celui qui, le vivant Christian IV, père du roi actuel, en dehors des insignes et des titres royaux, assuma l'autorité suprême avec laquelle il commença à administrer les affaires de ce royaume et à profiter des avantages notables des grandes fortunes, un chevalier versé dans toutes les langues, de manières adroites, de nature courtoise, et d'expérience dans les choses du monde suprêmement formé, pour tous ces respects chéri par la reine.

Les raisons sur lesquelles le grand chancelier fondait sa dissuasion de prendre les armes contre son voisin étaient fondées sur la suspicion de la foi des voisins qui étaient tous offensés, qui profitaient peut-être d'une situation malheureuse qui n'arrive pas rarement dans les événements de la guerre, ils auraient peut-être été prêts non seulement à venger les blessures qui leur ont été infligées dans le passé, mais à récupérer encore ce qui a été perdu, considérant le prince moscovite si puissant, à qui sont tenues l'Estonie en Livonie et l'Ingrie en les frontières de la Finlande. L'empire a perdu la Poméranie et l'évêché de Brême, donc si le Danemark avait encore été provoqué, le Royaume de Suède aurait pu rester entouré de nombreuses armées d'ennemis très puissants.

En cédant à cette sentence, voyant la reine vaincue plus rapidement par le discours d'Oxenstierna que par son adhésion, elle commença à veiller à créer de nouveaux partis afin de bénéficier du nombre de voix au Conseil. Et bien que l'expérience ait montré qu'à mesure qu'augmente le nombre des concessionnaires dans les parlements, l'autorité de l'État monarque est diminuée, en tout cas, en fréquentant les nominations des sénateurs, leur nombre est passé à 25, ce qui était autrefois le nombre le plus copieux jusqu'à l'ouvrage dont j'ai laissé tant en quittant Upsal, où se trouvait alors la cour.

Les derniers récipiendaires de cette dignité furent le maréchal de la cour et le major-général Lind, capitaine des gardes du corps de Sa Majesté à l'occasion, d'où est né le dégoût, pour lequel on pense que la reine a accéléré la résolution d'abdiquer du soin du royaume. Le poste de capitaine des gardes étant devenu vacant lors de l'investiture du major Lind au sommet sénatorial, il fut conféré par Sa Majesté au comte Claude Tott, premier gentilhomme de la chambre, un jeune homme qui, quelques mois plus tôt, s'était amené de l'école des armées chevaleresques de France dans leur patrie, sans expérience d'aucune sorte dans les pratiques de l'art militaire.

Et comme l'émulation est connue pour dégénérer très facilement en envie, la renommée de l'honorable comte Tott commença à être déchirée par les concurrents déchus, sans laisser indemne la bonne réputation de Sa Majesté, qui, prêchaient-ils, était excessivement retirée et encline uniquement à être servie en privé par des sujets singuliers, qui, même incompétents, n'hésitaient pas à se promouvoir à des postes aussi respectés, laissant derrière eux les plus méritants qui avaient travaillé dans les armées tout le temps de leur vie avec le dépense de sueur et de sang pour s'acheter l'honorabilité de ces titres.

Et la prise de conscience de ce fait s'est tellement accrue qu'ils ont commencé à concocter des inventions malveillantes pour discréditer Tott et quelques autres qui étaient considérés comme plus proches de la grâce de la reine. Le comte Magnus de la Gardie, un homme nouveau qui détient respectivement la lignée de seulement deux majors dans la lignée suédoise, est devenu l'auteur de l'exercice de cette fonction malfaisante. L'aïeul-frère, un Français en poste mais de grand esprit, qui devint général du roi Charles, père de Gustave, et son père, bien que bon soldat, récemment décédé, était un grand prétendant au royaume, soumis il y a deux ans au plus accrédité de la cour, et aujourd'hui au plus riche et au plus riche de tout le royaume, d'autant plus digne de blâme et d'horreur qu'était l'ingratitude effrontée qu'il apportait en compensation des avantages et des dignités qu'il avait reçus qu'il a plu la reine depuis longtemps à conférer à lui.

Parce que la rumeur n'est pas incertaine selon laquelle Sa Majesté lui avait donné un revenu annuel en actifs stables de quatre-vingt mille dalers, dont personne dans tout le royaume et les États sujets ne s'en rapproche. Et non seulement la reine eut l'idée de lui faire de si nombreuses fortunes, mais elle se plaisait aussi à l'établir non seulement à la hauteur d'une grande place de titres et de rôles lucratifs dans le royaume, en lui donnant celui de grand trésorier, mais aussi pour le rendre visible auprès de ses proches de la Maison Royale, en le faisant épouser la princesse sa cousine, sœur du prince Charles, alors élu roi de Suède. Il se rendit chez la reine, et sous couvert de plainte, il lui fit valoir que parmi certaines personnes il était le plus cher et le plus proche des serviteurs royaux, le bruit avait couru à Sa Majesté qu'il y avait un traître, allant en exagérant contre la malignité d'entre eux, d'où il a provoqué son discrédit auprès de la cour et du monde.

La reine, étonnée, demanda qui étaient ces personnes, et lui, refusant ou feignant de le faire, finalement obligé par ordre royal de les dénoncer, dit: «C'était le comte Tott, ou Steinberg, l'écuyer majeur de Votre Majesté; mais», il ajouta, «je crois que c'est le comte Tott.»

Alors la reine, connaissant la malignité, répondit: «S'il est vrai que ces gens l'ont dit, il sera aussi vrai que je l'ai dit. Mais dites-moi, de qui avez-vous entendu ces paroles?»

«Madame», répondit-il, «je garde ma foi vouée au secret, je ne peux pas y obéir.»

Mais, étant sérieusement commandé, il nomma un certain gentilhomme prussien qui, dans les dernières années des guerres, avait servi comme adjudant général de l'infanterie. L'ayant fait appeler à la cour, parce qu'il était loin, et amené devant le comte, la reine lui demanda s'il était vrai que cette rumeur avait été répandue par le comte Tott ou par Steinberg.

«Non, Madame», répondit-il, «et je n'en ai jamais entendu parler par personne du monde.»

Alors la reine, se tournant vers le comte muet, dit en français: «Comte, laissez ces vos machines et pensées, sinon vous mourrez, et écartez-vous immédiatement de mon chemin; et n'approchez plus jamais de ce palais.»

Non contente d'avoir verbalement annoncé son malheur, elle s'appliqua aussitôt à écrire une lettre dans la langue française, qu'elle fréquente beaucoup et écrit encore avec élégance, l'adressant au comte avec des reproches très adaptés à l'échec, et très soutenus dans le décorum de sa dignité royale. Et pour que soient connus au monde les défauts du comte, dont la renommée répandit aussitôt toutes les raisons qui avaient conduit à sa disgrâce, elle ordonna à Heinsius, hollandais, son lettré qu'elle gardait, de traduire cette lettre du français en latin, pour qu’il puisse être lu par tous, presque comme une sorte de manifeste.

Ni parce que de fortes charges furent interposées après les élections par le roi élu de Suède, ni à cause des soumissions du comte, il n'est jamais arrivé que la reine veuille mettre un terme à son indignation, jugeant comme indigne de condonation cette faute qui provient d'une telle malignité ingrate.

En l'espace de quelques jours, alors que le sang était encore plus fervent pour le changement envisagé, le prince Adolphe, frère de sang du roi élu et beau-frère du comte Magnus, se retrouva soudain à courtiser une certaine dame anglaise à l'appartement des dames, où il avait aussi amené le comte Tott. Et comme il est d'usage dans les discours domestiques d'insérer quelques mots peu corrects, le prince, voulant faire preuve d'astuce, dit en français au comte Tott: «Le comte Tott suppose qu'il dit de belles choses, mais pour moi, elles me semblent sottises.»

Le comte ne répondit pas, mais, s'éloignant de la conversation, il resta comme un homme réfléchi, sans plus prononcer un mot. Le prince voyait ainsi le comte: «Qu'en pensez-vous», dit-il, «Monsieur le comte?»

«Je pense», répondit-il, «sottises», et peu de temps après, prenant congé, elle partit pour ses appartements.

Aucune réflexion n'a été faite sur cet événement par ceux qui étaient présents, car il semblait que dans la familiarité de la conversation ce mot ne pouvait exprimer aucune émotion. Cependant, dans la soirée, le comte envoya un défi secret au prince, qui fut immédiatement accepté, choisissant de se battre avec des pistolets. Mais le matin, tandis qu'ils étaient envoyés séparément au lieu désigné, quelques cavaliers furent envoyés par la reine pour empêcher ce massacre, au plus grave trouble du prince, qui jura qu'il ne voudrait plus retourner à la cour s'il ne combattait pas avec le comte Tott, s'absentant immédiatement sans se licencier de personne.

Dans les discussions que la cour eut alors à propos de cet incident, on ne jugea pas que le comte fût si offensé par ce mot qu'il se sentit donc obligé d'appeler le prince pour combattre avec lui; mais que, nourrissant dans son âme quelque sentiment conçu, il accepterait facilement la rencontre de cette petite occasion, tandis que dans les conversations familières, les mots ne doivent pas être interprétés dans le sens où ils sonnent, mais selon l'intention de celui qui les prononce. Et parce que la spéculation des curieux ne se limite pas aux apparences matérielles, il a été jugé par certains comme n'ayant pas suivi ce défi sans l'accord de la reine.

Les arguments reposaient sur la supposition que, comme le comte Tott dans deux autres duels et avec Steinberg, écuyer majeur quelques mois plus tôt, et avec le comte Dohna, premier gentilhomme de la chambre de Sa Majesté en novembre dernier, il savait user d'un tel secret qu'aucune nouvelle en est parvenue aux oreilles de Sa Majesté avant qu'on comprenne que tous deux avaient été blessés lors de l'attaque, afin qu'il puisse s'assurer que cela était aussi caché.

En outre, il n'est pas clair que beaucoup aient qualifié de provocation imprudente contre un prince d'une si grande maison, frère-cousin de la reine et frère de sang du roi élu, que le comte ait subi une diminution de la grâce reçue de Sa Majesté dans le ministère de ses services et dans la confiance intérieure intrinsèque d'avant le soir même. Le respect qui aurait poussé la reine à consentir secrètement au défi était censé provenir de la grande ferveur avec laquelle le prince se serait réchauffé pour la défense du comte Magnus, de son beau-frère, et du prince. La raison du repentir a été interprétée comme un succès parce qu'il ne voulait pas voir l'un de ses bons et bienvenus serviteurs s'aventurer jusqu'à un coup de pistolet.

Que ce soit vrai ou faux, que cela se soit produit, cela se murmurait sous cette forme, et les plus licencieux ne se privaient pas de nuire même à la reine, comme celle qui avait tellement restreint les réformes de la cour que la résidence familière, qui est pour trois personnes. Au comte Tott, à Steinberg et à don Antoine Pimentel, envoyés par le roi catholique, avec lesquels elle se passait des journées entières et une grande partie de la nuit qu'elle passait en veillées, Sa Majesté étant si économe dans son sommeil qu'en cela elle ne pas dormait; d'habitude, elle ne dort que quatre heures.

L'agacement de ces voix qui grandissaient toujours, le besoin qu'elle avait éprouvé d'obliger souvent le consentement dans les résolutions d'État aux votes des sénateurs; l'ingratitude qu'elle ressentait de la part de ceux qui en bénéficiaient le plus; les dénigrements de méchants prêtres qui ne s'abstenaient jamais d'exagérer en chaire, qui, par la curiosité de la reine, se présentaient pour vicier la simplicité des Suédois, des mœurs, des étrangers et des ennemis de la religion; Italiens et Français, dont le Palais Royal était rempli; et le manque constant d'argent qu'elle ressentait, à tel point qu'elle mendiait presque pour les dépenses de la Maison Royale; on a cru que l'impudeur de beaucoup de ceux qui auraient aimé voir l'arbitraire de la reine réglé dans la barbarie sordide des anciennes coutumes était la véritable impulsion par laquelle Sa Majesté était poussée à soulager son âme du dégoût avec la déposition de la Couronne.

Mais une persuasion aussi soudaine, par laquelle son âme royale est disposée à renoncer, est considérée comme venue de quelque raison sérieuse, pour laquelle Sa Majesté a été offensée lors des délibérations de la dernière réunion du plein Sénat, qui a été ordonnée pour le premier février 1654, dans lequel il fallut répondre aux lettres moscovites apportées par l'envoyé de ce prince, et traiter surtout des résolutions d'alliance avec l'Espagne et l'Angleterre, dans lesquelles il est certain que la reine était très impliqué avec don Antoine Pimentel, et de sorte que, bien que dû à l'ascension de Cromwell au secours suprême du royaume d'Angleterre, les affaires semblaient avoir changé d'aspect, surtout après la paix qui suivit bientôt entre les Hollandais et les Anglais.

En tout cas, don Antoine avait constamment écrit à Plettenberg, résident impérial à Hambourg, que ces modifications et réconciliations ne constitueraient aucune insulte à l'établissement des traités. Mais ce vain murmure répandu partout par la renommée, que la reine s'est affranchie du poids du sceptre pour se livrer à de vaines errances, peut facilement être jugé si éloigné de l'apparence de la vérité, tant la fermeté de Sa Majesté l'a fait. très connu. Il mûrit aussi dans les résolutions des moments légers, ainsi que dans la somme, où l'être tout entier des choses est concerné.

Il se pourrait bien que, voulant établir une raison de vivre à la libre disposition de ses plaisirs, elle décide un jour de faire quelques voyages pour satisfaire sa curiosité par la vue de nombreuses régions, accélérant d'autant plus sa résolution qu'elle est provoquée par la gêne d'entendre et de voir des choses qui ne lui plaisent guère; de même qu'on sait aujourd'hui qu'elle s'est rendue aux eaux de Spa, d'où on croit qu'elle doit partir pour voir toute la Flandre, et de là où elle satisfait le plus ses pensées sur elle.
Fin.

Swedish translation (my own):

Anledningar till varför Sveriges drottning tros ha fattat beslutet att avsäga sig Kronan till pfalzgreven Karl av Rhen, hennes bror-kusin.
Drottningens beslut att avsäga sig riket är inte nytt, även om effekten var plötslig, med tanke på att hon genom att uppfostra känslor av sann fromhet och religion inom sig själv insåg felet, i vilket hon levde stilla och i vilket hennes folk lever, hon bestämde sig för att gå från kätteri till katolicism; och vi måste därför argumentera och dra slutsatsen att det gudomliga försynen också ville använda (som kommer att höras av tråden i denna novell) av jordiska motiv för att dra till sig själv och till den evangeliska sanningen en själ så stor och dygdigt tillämpad med sitt arbete och hennes tankar mot den romerska trons heliga dogmer går hon på förtjänstens väg mot njutningen av de eviga, oförstörbara trösterna, åtskilda från individen av anden.

Detta prov gjorde hon kort efter kröningen, fastän störd av de närmaste hennes böner och särskilt av rikskanslern Oxenstiernas skrift, som fick henne att se den mångfald av fördomar som kunde ha sitt ursprung i Kronan. Orsakerna till detta antogs alltid härröra från dålig tillfredsställelse och från önskan att åtnjuta den första friheten för en privat furste i förvaltningen av offentliga angelägenheter.

Och återigen tros denna resolution ha utgått från samma hänseenden, då den befogenhet i de överväganden som hon skulle ha velat utöva var mycket begränsad och inte var underordnad rådmännens vilja. Ty fastän hon syntes vara lätt benägen till den anpassning, som följde under det gångna året med Brandenburg, sades det likväl, att hon på ett visst sätt instämde snabbare än hon blev övertalad.

Men med större känsla tror man att drottningen äntligen har tillåtit sig att lägga undan tanken på att gå till vapen mot Danmark, dit hon särskilt uppmanades av herr Corfitz Ulfeldt, stormästare i Danmark, deserterad från sitt land, den som den levande Christian IV, den nuvarande konungens fader, utom de kungliga insignierna och titlarna, övertog den högsta myndighet, med vilken han började administrera det rikets angelägenheter och att dra fördel av anmärkningsvärda fördelar av stora lyckor, en riddare bevandrad i alla språk, med skickligt uppförande, artig av sig och erfarenhet av världens ting som är ytterst tränad, omhuldad av drottningen för alla dessa avseenden.

Skälen på vilka storkanslern grundade sin avskräckning från att ta till vapen mot sin granne ansågs vara baserade på misstanken om tron hos de grannar som alla var kränkta, som kanske tog tillfället i akt från någon olycklig situation som inte sällan inträffar i händelser av kriget skulle de kanske ha varit redo att inte bara hämnas de skador som de tillfogats dem tidigare, utan att ändå återvinna det förlorade, med tanke på den så mäktiga moskovitiske prinsen, till vilken hålls Estland i Livland och Ingermanland i Finlands gränser. Riket förlorade Pommern och biskopsstolen i Bremen, så om Danmark fortfarande hade blivit provocerad, kunde konungariket Sverige ha förblivit omringat av talrika arméer av mycket mäktiga fiender.

Genom att ge efter för denna mening, då hon såg drottningen snabbare besegrad av Oxenstiernas diskurs än av hans vidhäftning, började hon ta hand om att skapa nya partier för att dra nytta av antalet röster i Rådet. Och även om erfarenheten har gjort det känt att i takt med att antalet koncessionshavare ökar i parlamenten, så minskar monarkstatens auktoritet, i alla fall genom att frekventa utnämningar av senatorer, har antalet ökat till 25, vilket brukade vara rikligast fram till de 39, av vilka jag lämnade så många när jag lämnade Uppsala, där hovet befann sig då.

De sista mottagarna av denna värdighet var hovmarskalken och generalmajor Lind, kapten för Hennes Majestäts livvakter vid det tillfället, varav avsky uppstod, för vilket drottningen antas ha påskyndat beslutet att abdikera sig ur rikets vård. Sedan befattningen som kapten för gardet föll till vakans vid högtidligheten av major Lind till senatorets spets, tilldelades den av Hennes Majestät till greve Claes Tott, kammarens förste herre, en ung man som några månader tidigare hade tagit sig själv från Frankrikes ridderliga arméers skola i deras hemland, utan erfarenhet av något slag i militärkonstens utövningar.

Och eftersom efterlikningen är känd för att vara mycket lätt att urarta till avund, började den ärade greve Totts berömmelse slitas sönder av de fallna konkurrenterna, utan att lämna Hennes Majestäts goda namn oskadd, som, de predikade, var överdrivet tillbakadragen och bara benägen att betjänas privat av singulära undersåtar som, även om de var odugliga, inte tvekade att befordra sig själva till sådana respektfulla positioner, och lämnade efter sig de mest förtjänta som hade slitit i arméerna hela tiden av sina liv med bekostnad av svett och blod för att köpa sig själva hedern av dessa titlar.

Och medvetenheten om detta faktum växte så mycket att de började hitta på illvilliga uppfinningar för att misskreditera Tott och några andra som ansågs närmare drottningens nåd. Greve Magnus de la Gardie, en ny man som var och en innehar linjen av endast två majorer i den svenska linjen, blev författare till att utöva detta onda ämbete. Farfadern-brodern, en fransman som var stationerad men av stor ande, som blev general över konung Karl, far till Gustav, och hans far, även om en god soldat, som nyligen hade dött, var en stor tävlande av riket, för två år sedan för de mest ackrediterade av hovet, och för närvarande de mest pengarna och förmögna i hela riket, desto mer värdig skuld och avsky som den fräcka otacksamhet var som han kom med som kompensation för de förmåner och värdigheter som drottningen hade länge behagat att konferera på honom.

Ty ryktet är inte osäkert att Hennes Majestät givit honom en årlig inkomst i stabila tillgångar på åttio tusen daler, varav hälften finns ingen i hela riket och underlåtna stater som kommer i närheten. Och inte bara tänkte drottningen på att göra så många lyckor för honom, utan hon var också glad över att etablera honom, inte bara på höjden av en stor plats av titlar och lukrativa roller i konungariket, vilket gav honom den som riksskattmästare, men att göra honom till och med iögonfallande för sina släktingar till konungahuset, få honom att gifta sig med prinsessan hennes kusin, syster till prins Karl, som då valdes till konung av Sverige. Han gick till drottningen och under täckmantel av klagomål representerade han att han bland vissa människor var den käraste och närmast de kungliga tjänarna, det hade ryktats till Hennes Majestät att det fanns en förrädare som fortsatte att överdriva mot ondska av dem, varav han orsakade sin misskreditering bland hovet och världen.

Drottningen frågade, förvånad, vilka dessa var, och han, antingen vägrade eller låtsades göra det, slutligen tvingad på kungligt befallning att fördöma dem, sade: »Det var greve Tott, eller Steinberg, Ers Majestäts över stallmästare; men«, tillade han, »jag tror att det är greve Tott.«

Då svarade drottningen, som kände till ondskan, och svarade: »Om det är sant att dessa människor har sagt det, så kommer det också att vara sant att jag har sagt det. Men säg mig, vem hörde Ni dessa ord från?«

»Madame«, svarade han, »jag håller min tro förpliktad till sekretess, jag kan inte lyda den.«

Men efter att ha befallts på allvar, namngav han en viss preussisk herre som under de sista åren av krigen hade tjänstgjort som generaladjutant för infanteriet. Efter att ha fått honom kallad till hovet, eftersom han var långt borta, och ställd inför greven, frågade drottningen om det var sant att detta rykte hade spridits av greve Tott eller Steinberg.

»Nej, madame«, svarade han, »inte heller har jag någonsin hört talas om det från en person i världen.«

Då vände sig drottningen till den mållösa greven och sade på franska: »Greve, lämna Era ränker och tankar, annars kommer Ni att dö och genast gå mig ur vägen; och kom aldrig mer i närheten av detta slott.«

Hon var inte nöjd med att muntligen ha tillkännagivit sin olycka, och hon ägnade sig genast åt att skriva ett brev på franska språket, som hon ofta frekventerar och fortfarande skriver med elegans, skickade det till greven med förebråelser som var mycket anpassade till misslyckandet och mycket ihållande i hennes kungliga värdighet. Och för att grevens brister skulle bli kända för världen, vars berömmelse omedelbart spred alla de orsaker som hade lett till hans skam, beordrade hon Heinsius, en holländare, hennes literatus som hon behöll, att översätta detta brev från franska till latin, så att det kunde läsas av alla, nästan som ett slags manifest.

Varken på grund av att starka ämbeten insattes efter valen av den utkorade konungen av Sverige, eller på grund av grevens inlagor, har det någonsin hänt att drottningen är villig att sätta stopp för sin indignation, och bedömer som ovärdigt att kondonera det fel som härrör från en sådan otacksam malignitet.

På ett kort lopp av några dagar, när blodet var ännu ivrigare för den tänkta förändringen, fann sig plötsligt prins Adolf, den utkorade konungens blodbror och svåger till greve Magnus, uppvakta en viss engelsk dam i damernas appartemang, dit han även hade tagit med sig greve Tott. Och som det är vanligt i diskursernas domesticitet att inskjuta några mindre än korrekta ord, sade prinsen, som ville visa klurighet, på franska till greve Tott: »Greve Tott antar att han säger trevliga saker, men för mig verkar de som dumheter.«

Greven svarade inte, men när han tog sig ur samtalet förblev han som en eftertänksam man utan att bilda ett ord längre. Prinsen såg greven på det sättet: »Vad tror Ni«, sade han, »herr greve?«

»Jag tycker«, svarade han, »de är dumheter«, och så kort efter att hon tog ledigt, gick hon till hans rum.

Ingen reflektion gjordes över denna händelse av de närvarande, ty det verkade som om detta ord i samtalets förtrogenhet inte kunde förmedla någon känsla. Men på kvällen skickade greven en hemlig utmaning till prinsen, som omedelbart accepterades, och valde att slåss med pistoler. Men på morgonen, medan de sändes separat till den angivna platsen, sändes några kavaljerer av drottningen för att förhindra denna slakt, till prinsens allvarligaste störning, som svor att han inte längre skulle vilja återvända till hovet om han inte kämpade med greve Tott, frånvarande sig själv omedelbart utan att licensera sig från någon som helst.

I de diskussioner, som hovet då hade om denna händelse, bedömdes det inte, att greven var så kränkt av detta ord, att han därför kände sig skyldig att kalla prinsen att slåss med honom; men att han, med någon tänkt känsla i själen, lätt skulle omfamna mötet av detta lilla tillfälle, medan orden i familjära samtal inte får tolkas i den meningen att de låter, utan av avsikten hos den som uttalar dem. Och eftersom spekulationerna från nyfikna män inte är begränsade till materiella framträdanden, bedömdes han av vissa att inte ha följt denna utmaning utan drottningens medgivande.

Argumenten grundade sig på antagandet att han liksom greve Tott i två andra dueller och med Steinberg, överstallmästare några månader tidigare, och med greve Dohna, i Hennes Majestäts överkammarherre i november förra året, visste hur man använder sådan hemlighet att inga nyheter nådde Hennes Majestäts öron innan man förstod att båda hade skadats i attacken, så han kunde se till att även detta var dolt.

Dessutom framgår det inte av detta att många kallade det för en hänsynslös provokation mot en furste av ett så stort hus, drottningens bror-kusin och den utkorade konungens blodbror, att greven led någon minskning av den nåd som han erhöll av Hennes Majestät i ministeriet för hans tjänster och i det inneboende inhemska förtroendet från tidigare samma kväll. Den respekt som tros ha fått drottningen att i hemlighet samtycka till utmaningen skulle härröra från den stora glöd med vilken prinsen sades ha värmt sig till försvaret av greve Magnus, hans svåger, och anledningen till omvändelsen tolkades som lyckats genom att han inte ville se en av hans goda och välkomna tjänare vågade sig till punkten för ett pistolskott.

Vare sig det var sant eller falskt, vare sig detta skedde, viskades det om i denna form, och de mest lösaktiga avstod inte från att ens förringa drottningen, som den som så inskränkt hovets reformer, att den familjära residensen, som är för tre personer. Till greve Tott, till Steinberg och till don Antonio Pimentel, sänd av den katolske konungen, med vilken hon utskänkte hela dagar, och en stor del av den natt, som hon tillbringade i vakorna, varvid Hans Majestät var så sparsam i sömnen att hon häri sov inte; vanligtvis sover hon bara i fyra timmar.

Förargelsen av dessa röster som ständigt växte, behovet hon hade känt att ofta tvinga samtycke i Statens resolutioner till rådsmännens röster; den otacksamhet hon kände från dem som gynnades mest; elaka präster som aldrig avstod från att överdriva från predikstolarna, som genom drottningens nyfikenhet presenterade sig för att kränka svenskars, seder, utlänningars och religionsfienders enkelhet; italienare och fransmän, av vilka det Kungliga Slottet var fyllt; och den ständiga bristen på pengar som hon kände, så mycket att hon nästan bad för Konungahusets utgifter; skamlösheten hos många som skulle ha velat se drottningens godtycke reglerad i de uråldriga sedvänjornas smutsiga barbari har antagits vara de sanna impulser av vilka Hennes Majestät blev rörd för att befria hennes själ från avsky genom Kronans avsättning.

Men en sådan plötslig övertalning, varigenom hennes kungliga själ är villig att göra avståendet, bedöms ha kommit av något allvarligt skäl, för vilket Hennes Majestät blev förnärmad vid överläggningarna av det fulla Rådets sista möte, som beordrades för första februari 1654, där det var nödvändigt att skriva tillbaka till de moskovitiska brev som denna prinsens sändebud förde, och att särskilt behandla resolutionerna av en allians med Spanien och England, i vilka det är säkert att drottningen var mycket inblandad med don Antonio Pimentel, och så att, fastän på grund av Cromwells uppkomst till högsta bistånd av konungariket England, angelägenheter tycktes ha ändrat utseende, särskilt efter den fred som snart följde mellan holländarna och engelsmännen.

Don Antonio hade i alla fall ständigt skrivit till Plettenberg, en kejserlig resident i Hamburg, att dessa förändringar och försoningar inte skulle utgöra någon förolämpning mot upprättandet av fördragen. Men den där fåfänga viskningen som spreds överallt av berömmelse, att drottningen har befriat sig från spirans tyngd för att ägna sig åt fåfängt nyfikna irrfärder, kan lätt bedömas vara så långt ifrån sanningens sken, som Hennes Majestäts fasthet gjort sig allmänt känd. Den mognar också i ljusögonblickens upplösningar, såväl som i summan, när det gäller saker och tings hela varelse.

Det kan mycket väl vara så att hon, eftersom hon vill fastställa en anledning till att leva till fritt förfogande för sina nöjen, bestämmer sig en gång för att ta några resor för att stilla sin nyfikenhet med åsynen av många regioner, vilket påskyndar sin lösning desto mer ju mer hon provoceras av förargelsen att höra och se saker som hon inte har glädje av; precis som idag förstås att hon har tagit sig till Spas vatten, varifrån hon tros behöva ge sig ut för att se hela Flandern, och därifrån där hon mest tillfredsställer sina tankar om henne.
Slut.

English translation (my own):

Reasons why the Queen of Sweden is believed to have taken the resolution to renounce the Crown to Prince Palatine Karl of the Rhine, her brother-cousin.
The resolution of the Queen of Sweden to renounce the kingdom is not new, although the effect was sudden, given that by nurturing feelings of true piety and religion within herself she recognised the error, in which she lived stolidly and in which her people live, she saintly decided to move from heresy to Catholicism; and we must therefore argue and conclude that Divine Providence also wanted to make use (as will be heard from the thread of this short story) of earthly motives to draw to itself and to the evangelical truth a soul so great and virtuously applied with her work and her thoughts towards the sacred dogmas of the Roman faith, she goes along the path of merit towards the enjoyment of the eternal, imperturbable consolations, separated from the individual by the spirit.

She made this test shortly after the coronation, although disturbed by the prayers of those closest to her and especially by the writing of the Grand Chancellor Oxenstierna, which made her see the multiplicity of prejudices that could originate in the Crown. The causes of this were always supposed to derive from bad satisfactions and from the desire to enjoy the first freedom of a private prince in the management of public affairs.

And once again, this resolution is believed to have proceeded from the same respects, as the authority in the deliberations that she would have wanted to exercise was very limited and was not subordinated to the will of the councilmen. For, although she seemed to be easily inclined to the adjustment that followed in the past year with Brandenburg, it was nevertheless said that she agreed in a certain way more quickly than she was persuaded.

But with greater sentiment it is believed that the Queen has finally allowed herself to put aside the thought of moving to arms against Denmark, to which she was especially urged by Lord Corfitz Ulfeldt, Grand Master of Denmark, deserted from his country, the one who, the living Christian IV, the father of the present King, outside of the royal insignia and titles, took on the supreme authority with which he began to administer the affairs of that kingdom, and to take advantage of notable advantages of great fortunes, a knight versed in every language, of dexterous manners, courteous in nature, and of experience in the things of the world supremely trained, for all these respects cherished by the Queen.

The reasons on which the Grand Chancellor based his dissuasion to take up arms against his neighbour were understood to be based on the suspicion of the faith of the neighbours who were all offended, who perhaps taking the opportunity from some unfortunate situation which does not rarely occur in events of the war, they would perhaps have been ready not only to avenge the injuries inflicted on them in the past, but to still recover what was lost, considering the Muscovite prince so powerful, to whom are held Estonia in Livonia and Ingria in the borders of Finland. The Empire lost Pomerania and the bishopric of Bremen, so if Denmark had still been provoked, the Kingdom of Sweden could have remained surrounded by numerous armies of very powerful enemies.

In giving in to this sentence, seeing the Queen defeated more quickly by Oxenstierna's discourse than by his adhesion, she began to take care of creating new parties in order to benefit from the number of votes in the Council. And although experience has made it known that as the number of concessionaires increases in parliaments, the authority of the state of monarch is diminished, in any case, by frequenting the appointments of senators, the number has increased to 25, which used to be the most copious up to the 39, of which I left so many when I left Uppsala, where the court found itself at the time.

The last recipients of this dignity were the court marshal and Major General Lind, captain of Her Majesty's bodyguards on the occasion, from which disgust arose, for which the Queen is thought to have accelerated the resolution to abdicate herself from the care of the kingdom. Since the position of captain of the guards fell to vacancy in the solemnisation of Major Lind to the senatorial apex, it was conferred by Her Majesty to Count Claes Tott, first gentleman of the chamber, a young man who a few months earlier had brought himself from the school of the chivalric armies of France in their homeland, without experience of any kind in the practices of military art.

And since emulation is known to be very easy to degenerate into envy, the fame of the honoured Count Tott began to be torn apart by the fallen competitors, without leaving the good name of Her Majesty unharmed, who, they were preaching, was excessively withdrawn and inclined only to to be privately served by singular subjects, who, even if inept, did not hesitate to promote themselves to positions of such respect, leaving behind the most deserving ones who had toiled in the armies all the time of their lives with the expense of sweat and blood to buy themselves the honourability of these titles.

And the awareness of this fact grew so much that they began to concoct malicious inventions to discredit Tott, and some others who were considered closer to the Queen's grace. Count Magnus de la Gardie, a new man who respectively holds the line of only two majors in the Swedish line, became the author of practicing this evil office. The grandfather-brother, a Frenchman who was stationed but of great spirit, who became the general of King Karl, the father of Gustav, and his father, although a good soldier, who had recently died, was a great contestant of the Kingdom, subject two years ago to the most accredited of the court, and to the present the most moneyed and wealthy of the whole kingdom, all the more worthy of blame and abhorrence as the brazen ingratitude was which he brought as compensation for the benefits and dignities that the Queen had long pleased to confer on him.

Because the rumour is not uncertain that Her Majesty had given him an annual income in stable assets of eighty thousand dalers, to half of which there is no one in the whole kingdom and subject states who comes close. And not only did the Queen take the thought of making such numerous fortunes for him, but she was also pleased to establish him not only at the height of a great place of titles and lucrative roles in the kingdom, giving him that of Grand Treasurer, but to make him even conspicuous for her relatives to the Royal House, making him marry the Princess her cousin, sister of Prince Karl, then elected King of Sweden. He went to the Queen, and under the guise of complaint, he represented that among certain people he was the dearest and closest to the royal servants, it had been rumoured to Her Majesty that there was a traitor, going on to exaggerate against the malignity of them, from which he brought about his discredit among the court and the world.

The Queen, astonished, asked who these were, and he, either refusing or pretending to do so, finally obliged by royal command to denounce them, said: "It was Count Tott, or Steinberg, Your Majesty's senior equerry; but", he added, "I believe it is Count Tott."

Then the Queen, knowing the malignity, replied: "If it is true that these people have said it, it will also be true that I have said it. But tell me, who did you hear these words from?"

"Madame", he replied, "I keep my faith pledged to secrecy, I cannot obey it."

But, being seriously commanded, he named a certain Prussian gentleman who in the last years of the wars had served as adjutant general of the infantry. Having had him called to court, because he was far away, and brought before the Count, the Queen asked if it was true that this rumour had been spread by Count Tott or Steinberg.

"No, Madame", he replied, "nor have I ever heard of it from a person of the world."

Then the Queen, turning to the speechless count, said in French: "Count, leave these machinations and thoughts of yours, otherwise you will die, and get out of my way at once; and never come near this castle again."

Not satisfied with having verbally announced his misfortune, she immediately applied herself to writing a letter in the French language, which she frequents a great deal and still writes with elegance, sending it to the Count with reproaches very adapted to the failure, and very sustained in the decorum of her royal dignity. And so that the failings of the count would be known to the world, whose fame immediately spread all the reasons that had led to his disgrace, she ordered Heinsius, a Dutchman, her literatus whom she was keeping, to translate this letter from French into Latin, so that it could be read by everyone, almost as a kind of manifesto.

Neither because strong offices were interposed after the elections by the elected King of Sweden, nor because of the submissions of the Count, has it ever happened that the Queen is willing to put an end to her indignation, judging as unworthy of condonation that fault which originates from such ungrateful malignity.

In the short space of a few days, when the blood was even more fervent for the conceived alteration, Prince Adolf, the blood brother of the elected King and brother-in-law of Count Magnus, suddenly found himself courting a certain English lady in the ladies' apartment, where he had also brought Count Tott. And as it is usual in the domesticity of discourses to interject a few less than correct words, the Prince, wanting to show shrewdness, said in French to Count Tott: "Count Tott supposes he is saying nice things, but to me they seem like nonsense."

The Count did not answer, but, removing himself from the conversation, he remained like a thoughtful man without forming a word anymore. The Prince saw the Count in that way: "What do you think", he said, "Lord Count?"

"I think," he replied, "nonsense", and so shortly after, taking his leave, she left for his rooms.

No reflection was made on this event by those who were present, as it seemed that in the familiarity of the conversation this word could not convey any emotion. However, in the evening the Count sent a secret challenge to the Prince, which was immediately accepted, choosing to fight with pistols. But in the morning, while they were sent separately to the designated place, some cavaliers were sent by the Queen to prevent this slaughter, to the most grave perturbation of the Prince, who swore that he would no longer wish to return to court unless he fought with Count Tott, absenting himself immediately without licensing himself from anyone.

In the discussions that the court then had about this incident, it was not judged that the Count was so offended by this word that he therefore felt obliged to call the Prince to fight with him; but that, harbouring some conceived feeling in the soul, he would easily embrace the encounter of this small occasion, while in familiar conversations the words must not be interpreted in the sense that they sound, but by the intention of the person who utters them. And because the speculation of curious men is not limited to material appearances, he was judged by some to not have followed this challenge without the Queen's consent.

The arguments were based on the supposition, that like Count Tott in two other duels and with Steinberg, major equerry a few months earlier, and with Count Dohna, first gentleman of Her Majesty's chamber last November, he knew how to use such secrecy that no news reached Her Majesty's ears before it was understood that both had been injured in the attack, so he could ensure that this was also hidden.

Furthermore, it is not clear from this that many called it a reckless provocation against a prince of such a great house, the Queen's brother-cousin and the blood brother of the elected King, that the Count suffered any diminution of the grace received from Her Majesty in the ministry of his services and in the intrinsic domestic confidence of before on the same evening. The respect which is believed to have moved the Queen to secretly consent to the challenge was supposed to derive from the great fervour with which the Prince was said to have warmed himself in the defense of Count Magnus, his brother-in-law, and the reason for the repentance was interpreted as succeeded by not wanting to see one of his good and welcome servants ventured to the point of a pistol shot.

Whether true or false, whether this happened, it was whispered about in this form, and the most licentious did not refrain from detracting even from the Queen, as the one who had so restricted the reforms of the court that the familiar residence, which is for three people. To Count Tott, to Steinberg, and to Don Antonio Pimentel, sent by the Catholic King, with whom she dispensed whole days, and much of the night which she spent in vigils, His Majesty being so sparing in her sleep that in this she did not sleep; ordinarily she usually only sleeps for four hours.

The annoyance of these voices which were always growing, the need she had felt to often oblige the consent in resolutions of State to the votes of the senators; the ingratitude she felt from those who benefited most; the detractions of wicked priests who never refrained from exaggerating from the pulpits, who, through the curiosity of the Queen, introduced themselves to vitiate the simplicity of Swedes, customs, foreigners, and enemies of religion; Italians and Frenchmen, of whom the Royal Castle was filled; and the constant shortage of money that she felt, so much so that she was almost begging for the expenses of the Royal House; the shamelessness of many who would have liked to see the Queen's arbitrariness regulated in the sordid barbarity of ancient customs have been believed to be the true impulses by which Her Majesty was moved to relieve her soul from disgust with the deposition of the Crown.

But such a sudden persuasion, whereby her royal soul is willing to make the renunciation, is judged to have come from some serious reason, for which Her Majesty was offended in the deliberations of the last meeting of the full Senate, which was ordered for the first of February 1654, in which it was necessary to write back to the Muscovite letters brought by the envoy of this prince, and to deal especially with the resolutions of an alliance with Spain and England, in which it is certain that the Queen was very involved with Don Antonio Pimentel, and so that, although due to the rising of Cromwell to the supreme assistance of the kingdom of England, affairs seemed to have changed appearance, especially after the peace which soon followed between the Dutch and the English.

In any case, Don Antonio had constantly written to Plettenberg, an imperial resident in Hamburg, that these alterations and reconciliations would not constitute any insult to the establishment of the treaties. But that vain whisper spread everywhere by fame, that the Queen has freed herself from the weight of the scepter to devote herself to vainly curious wanderings, can easily be judged to be so far from the appearance of truth, as Her Majesty's firmness has made itself widely known. It also matures in the resolutions of light moments, as well as in the sum, where the whole being of things is concerned.

It may well be that, wanting to establish a reason for living at the free disposal of her pleasures, she decides once to take a few journeys to satisfy her curiosity with the sight of many regions, speeding up her resolution all the more the more she is provoked by the annoyance of hearing and seeing things of little enjoyment to her; just as today it is understood that she has taken herself to the waters of Spa, from where she is believed to have to set out to see all of Flanders, and from there where she most satisfies her thoughts of her.
The end.

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