Sources:
Descrizione del primo viaggio fatto a Roma dalla regina di Svezia, Cristina Maria, convertita alla religione cattolica e delle accoglienze quivi avute sino alla sua partenza, pages 60 to 73, by Cardinal Sforza Pallavicino, published in 1838
Vita di Alessandro VII, volume 1, pages 371 to 379, by Cardinal Sforza Pallavicino, published in 1839
Above: Kristina.
The account:
Non penso che riuscirà o disconvenevole all'opera, o discaro a' lettori qualche non digiuno racconto delle cerimonie e delle feste, che si fecero in Roma per accoglienza di quella memorabile pellegrina, sì perchè scrivendo io non istoria, ma vita, assai meno debbo astenermi dalle particolarità, sì perchè intorno a singolari e maravigliosi avvenimenti ciascuno è vago di risaper ancor le minime circostanze; siccome nelle nuove apparenze del cielo curiosamente s'osserva ogni picciola diversità d'aspetto, ed ogni tenuissimo movimento, e nella notomia dell'umano corpo niun nervicciuolo, e niuna fibra si trascura.
Aveva il duca di Parma prestato per alloggiamento lungo alla reina il suo bellissimo palazzo, ricusando le tappezzerie offertegli dalla Camera per quell'uso, e addobbandolo con quella pompa, che al signor dell'albergo, e alla persona albergata si conveniva, con abbellir ancor la facciata d'ingegnosi emblemi, e di sontuosi ornamenti. Il pontefice avea dubitato lungamente s'egli dovesse ricettar la reina per alcun giorno nel Vaticano. Dall'un canto non riputava che quella fosse stanza convenevole a donne, verso le quali era stato così guardingo, che, siccome narrammo, la sola infante di Savoja avea da lui impetrato l'accesso dopo il pontificato. Per altro canto parea discortesia, che arrivando la reina di molta notte, ed essendo la stagione stemperatissima, dovesse ella dopo il colloquio del papa mandarsi per avventura sotto un tenebroso diluvio a fare un'altro miglio di strada fin al palazzo de' Farnesi. Cadde in acconcio che 'l Vaticano, siccome interviene delle molti smisurate, non ha vera unità, ma è composto di molti pezzi fabricati da molti papi, e specialmente havvi un'amplissima abitazione, edificata già da Innocenzo ottavo, lontana dal quartiere ove il pontefice dimora, ed è sol congiunta per mezzo d'una lunghissima galleria dalla parte di sopra, e da un egual corritojo da quella di sotto. Sta ella situata nel più rimoto luogo della città godendo i giardini chiamati «di belvedere», e corrispondendo nella famosa libreria vaticana. Or fu giudicato che quivi potesse alloggiar la reina tanto dal pontefice separata, quanto se stessero in due palazzi non pur diversi, ma distanti. Fe' dunque il papa fornir que' magnifichi appartamenti alla reale, non solo con gli arredi della sua guardaroba, ma co' più preziosi che fossero in Roma: sì veramente, ch'ebbe riguardo a non riceverli in presto se non da que' signori, ch'eransi modernamente ingranditi per la consanguinità de' pontefici, dicendo, che se per isciagura i lor drappi avessero patito in quell'uso, potea la camera non averne coscienza. Visitò, e considerò egli stesso il tutto co'proprii occhi, e fu sì attento alle cose picciole, da cui spesso fra grandi nascon le grandi, ch'essendo quivi una torre soprannominata «de' venti» perchè tutti vi soffiano, e tutti vi sono eruditamente effigiati, osservò che sotto a quello di tramontana vi era inciso il detto della scrittura: «omne malum ab aquilone»: e fe' coprir di gesso così fatte parole, dubitando non sospettasse la reina, o alcun de' suoi, che fosse quello un rimprovero d'offese, e una professione d'odio contra lor gente.
Arrivò ella sù l'ora terza della notte entrando in Roma per la porta del giardino pubblico vaticano, e procedendo a quella del giardino segreto, dove siccome a primo confine del palazzo fu accolta dal maggiorduomo insieme con tutta la corte sì domestica, sì onoraria del papa, e condotta alle camere apparecchiate: ove i legati ritiratisi, e mutati gli abiti di viaggio ne' solenni, la menarono alla già detta galleria, che unisce i due gran membri di quella macchina. Sù la soglia di essa trovò il mastro di camera pontificio, dal quale venne guidata e introdotta al papa, essendo piene le stanze di tutto il fiore di Roma. Quando fu al cospetto del pontefice inginocchiossi tre volte, e baciogli il piede e la mano. Egli immantinente la sollevò, e la fe' sedere non rimpetto a se, come gli altri minori principi, ma più onorevolmente a destra della predella partecipando del baldacchino. Il seggio era in forma reale di velluto chermisì, ma senza bracciali, nel resto tutto ricco, ed adorno d'oro, e d'intagli. La piacevolezza del pontefice nel volto non bastò a temperarne sì fattamente la maestà, che la reina quand'ebbe a cominciar il discorso, con effetto da se più non provato, ed inaspettato, non ismarrisse, e in dir le premeditate parole non s'intrigasse. Di che il papa senza mostrar d'avvedersi per maniera di cortese famigliarità le interuppe il periodo, e con umanissimi detti la rinfrancò a ragionare. Si trattenne quivi ella per una mezz'ora, ma con le portiere alzate, cautela usata dal pontefice ogni volta che furon insieme. Appresso a ciò fe' ritorno alle sue stanze con lo stesso accompagnamento; ivi stette col nome d'incognita (già fatto arbitrario a principi quantunque notissimi) il dì seguente veggendo in quel giorno, e negli altri di sua dimora i giardini, le dipinture, le statue, e i libri pertinenti a quel lato del vaticano, cose tutte singolari in lor condizione; e di ciascuna, e degli autori dando sì esquisito giudizio, che facea restar attonito ogn'intendente. Ma non meno fu oggetto in lei di stupore la scienza dissimulata, che la dimostrata, mentre ne' famigliari discorsi eziando con uomini letterati, che tra per curiosità, e per ossequio furono a riverirla, non le uscì giammai una parola latina, nè un concetto d'erudizione: ammirabile continenza in un personaggio di tal sapere, di tal grandezza, di tal sesso: e tanto più ammirabile perchè si sperimentò non artificiosa, ed a tempo, ma abituale e perpetua.
La mattina de' 23 di decembre i legati con la precedente lor comitiva vennero a pigliarla per la stessa porta segreta in arnese di campagna, ed ella con una veste bigia tutta seminata di canutiglie, andò con loro al ponte Milvio, vicino di Roma un miglio. Quivi trovò il governatore della città insieme col magistrato del Campidoglio, e con un copioso ed onorato drappello di loro ufficiali. Il governatore parlò brevemente per tutti, ed indi l'accompagnarono alla celebre villa fabricata da Giulio terzo, che serve all'uso di tali entrate solenni. Quì sopravvenne il maggiorduomo del papa con la famiglia pontificia sì di corteggio equestre, come pedestre, e con tutti gli ordini di prelati; il quale, passati gli ufficii di parole con la reina in nome del principe, e disceso con lei nel cortile, presentolle una chinea, una carrozza a sei cavalli, una lettiga, e una sedia, tutte vestite di preziosi, ed ingegnosi guernimenti. La reina montata su la chinea, e posta in mezzo de' legati, che avevano presi gli abiti lunghi e le cappe, e precedendole in cavalcata tutti i prenominati ufficiali e signori, ed altri innumerabili baroni e cavalieri, che spiegarono in quel giorno pompose livree; si condusse alla porta Flaminia, ove l'attendeva il collegio de' cardinali a cavallo, e pontificalmente vestiti per farle onorevol compagnia; e'l cardinal Barberino come il più antico parlò a nome comune.
Qui terminata la funzione de' legati, andarono essi al dovuto luogo secondo lor promozione; e la reina dopo tutti fu posta in mezzo de' cardinali Orsino, e Costaguti, come de' più antichi diaconi. La moltitudine e la dignità de' personaggi, e la sontuosità degli arnesi fecero, che questa seconda cavalcata paresse un mare, in cui fosse entrata quasi gran fiume quella, che i legati menarono due giorni avanti. La porta Flaminia erasi nuovamente adornata di scolpiti lavori, fra quali vedevansi anche sparse, quasi per altro fine, le insegne della reina. E rimanendovi spazio in mezzo per alcune parole, il Bernino che ne fu l'architetto prescrisse il numero delle lettere da porvisi acconciamente, secondo il quale fu composta dal papa stesso questa iscrizione: «FELICI FAUSTOQUE ORNATA INGRESSUI ANNO M.DC.LV.» volendo con esse accennare, ma non professare alla memoria de' posteri, che un tale ornamento si fosse fatto per l'entrata della reina. Perocchè in ciò, ed in ogn'altra di quelle azioni fu il papa circospettissimo di contenersi nel mezzo della virtù, e della prudenza, facendo assai, ma non troppo.
Erasi ordinato per pubblico editto in quel giorno che si osservasse festa solenne ed universale, e che per le vie, onde la reina doveva passare, ciascuno secondo sua possa il meglio parasse la mura, e le finestre della sua casa a tal che parea di camminare in un immenso palazzo nobilmente addobbato. Nè altri, che o monache, o infermi restarono di venire spetattori insieme, e accrescimento di spettacolo a tanta celebrità. Risonava Roma di tamburi, e di trombe; e come la reina fu presso al castel sant'Angelo, cominciò a rimbombar il cielo d'artiglierie; siccome anche la notte di quello, e del dì seguente si fecero splendide allegrezze di fuochi artificiosi, e di luminarie.
Arrivati al Vaticano i cardinali, salvo due, lasciarono la reina, andando a prestar l'obbedienza, come si dice, al pontefice nella sala chiamata regia, ov'egli dovea riceverla in concistoro pubblico. I due che restarono in sua compagnia furono Gian Carlo, e Sforza: siccome tali, che dopo i due prenominati erano i più anziani fra diaconi. In mezzo a questi ella s'incamminò verso il tempio, e salita al piano della facciata fu ricevuta in processione dal capitolo, e dal clero, e condotta all'altar maggiore, ove il Sagramento era esposto; cantandosi con eccellente armonia orazioni adattate a si fatta occorrenza. E quella gran basilica vedevasi maravigliosamente guernita d'arazzi, e di drappi d'oro, e fregiata d'imprese, e d'emblemi proporzionati alla reina. Indi fu menata a una scala, per cui comunicava il palazzo col tempio; e quivi accolta nuovamente dal maggiordomo, da otto de' vescovi assistenti alla cappella, dal duca di Guadagnuolo dinominato il mastro del sacro ospizio, e da que' due cardinali, fra quali avea cavalcato, e che sbrigati dalla funzione dell'obbedienza verso il pontefice diero agio di prevenire per lo stesso effetto agli due rimasi con la reina. Ascesa in concistoro nell'andar avanti il papa secondo il rito inginocchiossi tre volte, ed allo stesso tempo i due cardinali, che le stavano a lato, s'inchinarono a lor costume. L'ultima delle tre volte essendo pervenuta al soglio, sopra cui egli sedeva, gli baciò il piede e la mano: e con brevissime parole scambievoli finissi la cerimonia; scaricandosi fra tanto nella vicina piazza innumerabili tuoni di maggiori e di minori bombarde.
Due giorni poi, cioè la mattina di Natale i menzionati cardinali Gian Carlo, e Sforza insieme con quattro de' vescovi assistenti la condussero dalle sue stanze in S. Pietro, dove il papa celebra solennemente il sacrificio in quella festa; ed in prima da lui ricevette il sagramento della confermazione, assistendovi il cardinal Gian Carlo in officio di padrino. Avea ella significato fin quando stava in Inspruck in quell'atto, siccome è lecito aggiugnersi un secondo nome, chiamandosi Cristina Alessandra, per espressione di un tal divoto affetto verso il nuovo suo padre, ch'era il pontefice; ed in Roma la sera innanzi ne fe' chieder da lui licenza. Egli, che in tutto quel trattamento con la reina usò grandissima cura perchè tra loro non si scorgesse troppa tenerezza d'animi, avendo in memoria le calunnie alemanne contro a Gregorio settimo santo pontefice, ed insieme contro a Matilde religiosissima principessa, rispose: che gli piaceva il pensiero; poichè non risguardava il nome di lui come d'uomo privato, ma quello, che avea assunto in assumere la persona di san Pietro; onde ogni ossequio verso quel nome era un ossequio verso la dignità di quel santo: ma com'ella, prima d'adorare S. Pietro in Roma, avea fatte sì segnalate dimostrazioni verso la Vergine in Loreto, le proponeva che anche in quella moltiplicazione di nomi facesse preceder la madre di Cristo al vicario di Cristo, appellandosi Cristina Maria Alessandra. E così fu posto in effetto, benchè solo il primo e'l terzo di questi nomi fosse poi usato di lei nelle soscrizioni.
Seguìta la cerimonia della cresima, la reina s'assise entro un ricco talamo apparecchiato per lei, rimanendo presente alla solenne messa del papa, e ricevette di sua mano il corpo di Cristo, con provar in tutta quella funzione di sopraumana maestà gagliardissimi sensi d'un devoto terrore non isperimentato mai più dal suo animo. La mattina, che succedette a questo convito spirituale, fu invitata dal pontefice, ad un altro corporale. Quivi ebbe il solito seggio; e la sua tavola era inferiore d'un palmo a quella del papa, con partecipare ivi altresì del baldacchino. Mentre si mangiò fece un breve ragionamento sacro Gian Paolo Oliva predicator pontificio, e il resto del tempo si cantarono da isquisitissime voci parole spirituali. Levate le mense fermossi ella per alcun tempo a discorrer col papa, dal quale era stata un'altra volta in lungo ragionamento; ed egli poi, secondo l'essempio di Clemente con la reina di Spagna in Ferrara, l'avea visitata nelle sue stanze. La medesima sera poi uscì dal palazzo vaticano, e andò con infinito corteggio a dimorare nel farnesiano. Di poi, oltre all'assiduità del corteggio prestato a lei da primi baroni, vollero alcuni di loro, e specialmente i Barberini onorarla, e ricrearla nel prossimo carnevale, dandole, sontuosi trattenimenti di tornei, e di poetiche azioni rappresentate su la scena con la melodia d'eccellenti cantori, e con la vaghezza di maravigliose apparenze. Le quali feste dal pontefice liberale del suo, ma parco dell'altrui, furono solamente permesse, non comandate, nè consigliate. Ma valsero a due buoni effetti oltre al guadagno degli artieri. L'uno fu che il popolo, il quale non sa viver contento senza la giocondità de' teatri, gli ebbe quell'anno più dilettevoli, che niun vecchio si ricordasse d'aver mai veduto in Roma; e pure non sol modesti, ma virtuosi. L'altro fu che dimostrossi come in questa città non solo dal pontefice, ma da' particolari, non meno si pregia un diadema deposto per la religione, che posseduto; sì che non si risparmiano le fatiche e le spese in grazia di chi essendosene dispogliata non può allettare veruna speranza di guiderdone.
With modernised spelling:
Non penso che riuscirà o disconvenevole all'opera, o discaro a' lettori qualche non digiuno racconto delle cerimonie e delle feste, che si fecero in Roma per accoglienza di quella memorabile pellegrina, sì perché scrivendo io non storia, ma vita, assai meno debbo astenermi dalle particolarità, sì perché intorno a singolari e maravigliosi avvenimenti ciascuno è vago di risaper ancor le minime circostanze; siccome nelle nuove apparenze del cielo curiosamente s'osserva ogni picciola diversità d'aspetto ed ogni tenuissimo movimento, e nella notomia dell'umano corpo niun nervicciuolo e niuna fibra si trascura.
Aveva il duca di Parma prestato per alloggiamento lungo alla re[g]ina il suo bellissimo palazzo, ricusando le tappezzerie offertegli dalla camera per quell'uso, e addobbandolo con quella pompa, che al signor dell'albergo e alla persona albergata si conveniva, con abbellir ancor la facciata d'ingegnosi emblemi e di sontuosi ornamenti. Il pontefice avea dubitato lungamente s'egli dovesse ricettar la re[g]ina per alcun giorno nel Vaticano. Dall'un canto non riputava che quella fosse stanza convenevole a donne, verso le quali era stato così guardingo, che, siccome narrammo, la sola infante di Savoia avea da lui impetrato l'accesso dopo il pontificato. Per altro canto parea discortesia, che arrivando la re[g]ina di molta notte, ed essendo la stagione stemperatissima, dovesse ella dopo il colloquio del papa mandarsi per avventura sotto un tenebroso diluvio a fare un'altro miglio di strada fin al palazzo de' Farnesi.
Cadde in acconcio che 'l Vaticano, siccome interviene delle molti smisurate, non ha vera unità, ma è composto di molti pezzi fabricati da molti papi, e specialmente avvi un'amplissima abitazione, edificata già da Innocenzo ottavo, lontana dal quartiere ove il pontefice dimora, ed è sol congiunta per mezzo d'una lunghissima galleria dalla parte di sopra, e da un egual corritoio da quella di sotto. Sta ella situata nel più rimoto luogo della città godendo i giardini chiamati «di Belvedere», e corrispondendo nella famosa libreria vaticana.
Or fu giudicato che quivi potesse alloggiar la re[g]ina tanto dal pontefice separata, quanto se stessero in due palazzi non pur diversi, ma distanti. Fe' dunque il papa fornir que' magnifichi appartamenti alla reale, non solo con gli arredi della sua guardaroba, ma co' più preziosi che fossero in Roma; sì veramente, ch'ebbe riguardo a non riceverli in presto se non da que' signori, ch'eransi modernamente ingranditi per la consanguinità de' pontefici, dicendo, che se per isciagura i lor drappi avessero patito in quell'uso, potea la Camera non averne coscienza. Visitò, e considerò egli stesso il tutto co'propri occhi, e fu sì attento alle cose picciole, da cui spesso fra grandi nascon le grandi, ch'essendo quivi una torre soprannominata «de' venti» perchè tutti vi soffiano, e tutti vi sono eruditamente effigiati, osservò che sotto a quello di tramontana vi era inciso il detto della scrittura: «Omne malum ab aquilone»; e fe' coprir di gesso così fatte parole, dubitando non sospettasse la re[g]ina, o alcun de' suoi, che fosse quello un rimprovero d'offese, e una professione d'odio contra lor gente.
Arrivò ella sull'ora terza della notte entrando in Roma per la porta del giardino pubblico vaticano, e procedendo a quella del giardino segreto, dove siccome a primo confine del palazzo fu accolta dal maggiorduomo insieme con tutta la corte sì domestica, sì onoraria del papa, e condotta alle camere apparecchiate; ove i legati ritiratisi, e mutati gli abiti di viaggio ne' solenni, la menarono alla già detta galleria, che unisce i due gran membri di quella macchina. Sulla soglia di essa trovò il mastro di camera pontificio, dal quale venne guidata e introdotta al papa, essendo piene le stanze di tutto il fiore di Roma.
Quando fu al cospetto del pontefice, inginocchiossi tre volte e baciogli il piede e la mano. Egli immantinente la sollevò e la fe' sedere non rimpetto a se, come gli altri minori principi, ma più onorevolmente a destra della predella partecipando del baldacchino. Il seggio era in forma reale di velluto chermisì, ma senza bracciali, nel resto tutto ricco, ed adorno d'oro, e d'intagli.
La piacevolezza del pontefice nel volto non bastò a temperarne sì fattamente la maestà che la re[g]ina quand'ebbe a cominciar il discorso, con effetto da se più non provato ed inaspettato, non ismarrisse e in dir le premeditate parole non s'intrigasse. Di che il papa senza mostrar d'avvedersi per maniera di cortese famigliarità le interuppe il periodo, e con umanissimi detti la rinfrancò a ragionare.
Si trattenne quivi ella per una mezz'ora, ma con le portiere alzate, cautela usata dal pontefice ogni volta che furon insieme. Appresso acciò fe' ritorno alle sue stanze con lo stesso accompagnamento; ivi stette col nome d'incognita (già fatto arbitrario a principi quantunque notissimi) il dì seguente veggendo in quel giorno, e negli altri di sua dimora i giardini, le dipinture, le statue e i libri pertinenti a quel lato del vaticano, cose tutte singolari in lor condizione; e di ciascuna, e degli autori dando sì esquisito giudizio, che facea restar attonito ogn'intendente.
Ma non meno fu oggetto in lei di stupore la scienza dissimulata che la dimostrata, mentre ne' famigliari discorsi eziando con uomini letterati che tra per curiosità e per ossequio furono a riverirla, non le uscì giammai una parola latina, nè un concetto d'erudizione — ammirabile continenza in un personaggio di tal sapere, di tal grandezza, di tal sesso; e tanto più ammirabile perché si sperimentò non artificiosa ed a tempo, ma abituale e perpetua.
La mattina de' 23 di dicembre i legati con la precedente lor comitiva vennero a pigliarla per la stessa porta segreta in arnese di campagna, ed ella con una veste bigia tutta seminata di canutiglie, andò con loro al ponte Milvio, vicino di Roma un miglio. Quivi trovò il governatore della città insieme col magistrato del Campidoglio, e con un copioso ed onorato drappello di loro uffiziali. Il governatore parlò brevemente per tutti, ed indi l'accompagnarono alla celebre villa fabricata da Giulio terzo, che serve all'uso di tali entrate solenni.
Quì sopravvenne il maggiorduomo del papa con la famiglia pontificia sì di corteggio equestre, come pedestre, e con tutti gli ordini di prelati; il quale, passati gli uffizi di parole con la re[g]ina in nome del principe, e disceso con lei nel cortile, presentolle una chinea, una carrozza a sei cavalli, una lettiga, e una sedia, tutte vestite di preziosi ed ingegnosi guernimenti.
La re[g]ina montata su la chinea, e posta in mezzo de' legati che avevano presi gli abiti lunghi e le cappe, e precedendole in cavalcata tutti i prenominati uffiziali e signori, ed altri innumerabili baroni e cavalieri che spiegarono in quel giorno pompose livree; si condusse alla porta Flaminia, ove l'attendeva il Collegio de' Cardinali a cavallo, e pontificalmente vestiti per farle onorevol compagnia; e 'l cardinal Barberino, come il più antico, parlò a nome comune.
Quì terminata la funzione de' legati, andarono essi al dovuto luogo secondo lor promozione; e la re[g]ina, dopo tutti, fu posta in mezzo de' cardinali Orsino e Costaguti, come de' più antichi diaconi. La moltitudine e la dignità de' personaggi, e la sontuosità degli arnesi fecero che questa seconda cavalcata paresse un mare, in cui fosse entrata quasi gran fiume quella che i legati menarono due giorni avanti.
La porta Flaminia erasi nuovamente adornata di scolpiti lavori, fra quali vedevansi anche sparse, quasi per altro fine, le insegne della re[g]ina. E, rimanendovi spazio in mezzo per alcune parole, il Bernino, che ne fu l'architetto, prescrisse il numero delle lettere da porvisi acconciamente, secondo il quale fu composta dal papa stesso questa iscrizione:
«Felici faustoque ornata ingressui, anno MDCLV»,
volendo con esse accennare, ma non professare alla memoria de' posteri, che un tale ornamento si fosse fatto per l'entrata della re[g]ina. Perocchè in ciò, ed in ogn'altra di quelle azioni fu il papa circospettissimo di contenersi nel mezzo della virtù, e della prudenza, facendo assai, ma non troppo.
Erasi ordinato per pubblico editto in quel giorno che si osservasse festa solenne ed universale, e che per le vie, onde la re[g]ina doveva passare, ciascuno secondo sua possa il meglio parasse la mura e le finestre della sua casa a tal che parea di camminare in un immenso palazzo nobilmente addobbato. Nè altri, che o monache, o infermi restarono di venire spetattori insieme, e accrescimento di spettacolo a tanta celebrità. Risonava Roma di tamburi e di trombe; e come la re[g]ina fu presso al Castel Sant'Angelo, cominciò a rimbombar il cielo d'artiglierie; siccome anche la notte di quello, e del dì seguente si fecero splendide allegrezze di fuochi artificiosi e di luminarie.
Arrivati al Vaticano, i cardinali, salvo due, lasciarono la re[g]ina, andando a prestar l'ubbidienza, come si dice, al pontefice nella sala chiamata Regia, ov'egli dovea riceverla in Concistoro pubblico. I due che restarono in sua compagnia furono Gian Carlo e Sforza, siccome tali che, dopo i due prenominati, erano i più anziani fra diaconi. In mezzo a questi ella s'incamminò verso il tempio, e salita al piano della facciata fu ricevuta in processione dal capitolo e dal clero, e condotta all'altar maggiore, ove il Sagramento era esposto; cantandosi con eccellente armonia orazioni adattate a si fatta occorrenza. E quella gran basilica vedevasi maravigliosamente guernita d'arazzi, e di drappi d'oro, e fregiata d'imprese, e d'emblemi proporzionati alla re[g]ina.
Indi fu menata a una scala, per cui comunicava il palazzo col tempio; e quivi accolta nuovamente dal maggiordomo, da otto de' vescovi assistenti alla cappella, dal duca di Guadagnuolo dinominato il mastro del sacro ospizio, e da que' due cardinali, fra quali avea cavalcato, e che sbrigati dalla funzione dell'ubbidienza verso il pontefice diero agio di prevenire per lo stesso effetto agli due rimasi con la re[g]ina.
Ascesa in Concistoro nell'andar avanti il papa secondo il rito inginocchiossi tre volte, ed allo stesso tempo i due cardinali che le stavano a lato s'inchinarono a lor costume. L'ultima delle tre volte essendo pervenuta al soglio, sopra cui egli sedeva, gli baciò il piede e la mano; e con brevissime parole scambievoli finissi la cerimonia, scaricandosi fra tanto nella vicina piazza innumerabili tuoni di maggiori e di minori bombarde.
Due giorni poi, cioè la mattina di Natale, i menzionati cardinali Gian Carlo e Sforza, insieme con quattro de' vescovi assistenti, la condussero dalle sue stanze in San Pietro, dove il papa celebra solennemente il sacrificio in quella festa; ed in prima da lui ricevette il sagramento della confermazione, assistendovi il cardinal Gian Carlo in officio di padrino. Avea ella significato fin quando stava in Innsbruck in quell'atto, siccome è lecito aggiugnersi un secondo nome, chiamandosi Cristina Alessandra, per espressione di un tal divoto affetto verso il nuovo suo padre, ch'era il pontefice; ed in Roma la sera innanzi ne fe' chieder da lui licenza.
Egli, che in tutto quel trattamento con la re[g]ina usò grandissima cura, perché tra loro non si scorgesse troppa tenerezza d'animi, avendo in memoria le calunnie alemanne contro a Gregorio settimo santo pontefice ed insieme contro a Matilde, religiosissima principessa, rispose che gli piaceva il pensiero; poiché non riguardava il nome di lui come d'uomo privato, ma quello che avea assunto in assumere la persona di San Pietro; onde ogni ossequio verso quel nome era un ossequio verso la dignità di quel santo.
Ma com'ella, prima d'adorare San Pietro in Roma, avea fatte sì segnalate dimostrazioni verso la Vergine in Loreto, le proponeva che anche in quella moltiplicazione di nomi facesse preceder la madre di Cristo al vicario di Cristo, appellandosi Cristina Maria Alessandra. E così fu posto in effetto, benché solo il primo e'l terzo di questi nomi fosse poi usato di lei nelle soscrizioni.
Seguita la cerimonia della cresima, la re[g]ina s'assise entro un ricco talamo apparecchiato per lei, rimanendo presente alla solenne messa del papa, e ricevette di sua mano il corpo di Cristo, con provar in tutta quella funzione di sopraumana maestà gagliardissimi sensi d'un devoto terrore non isperimentato mai più dal suo animo.
La mattina che succedette a questo convito spirituale, fu invitata dal pontefice, ad un altro corporale. Quivi ebbe il solito seggio; e la sua tavola era inferiore d'un palmo a quella del papa, con partecipare ivi altresì del baldacchino. Mentre si mangiò fece un breve ragionamento sacro Gian Paolo Oliva predicator pontificio, e il resto del tempo si cantarono da isquisitissime voci parole spirituali. Levate le mense fermossi ella per alcun tempo a discorrer col papa, dal quale era stata un'altra volta in lungo ragionamento; ed egli poi, secondo l'essempio di Clemente con la re[g]ina di Spagna in Ferrara, l'avea visitata nelle sue stanze.
La medesima sera poi uscì dal Palazzo Vaticano e andò con infinito corteggio a dimorare nel farnesiano. Di poi, oltre all'assiduità del corteggio prestato a lei da primi baroni, vollero alcuni di loro, e specialmente i Barberini onorarla, e ricrearla nel prossimo carnevale, dandole, sontuosi trattenimenti di tornei e di poetiche azioni rappresentate su la scena con la melodia d'eccellenti cantori e con la vaghezza di maravigliose apparenze. Le quali feste dal pontefice liberale del suo, ma parco dell'altrui, furono solamente permesse, non comandate, nè consigliate.
Ma valsero a due buoni effetti oltre al guadagno degli artieri. L'uno fu che il popolo, il quale non sa viver contento senza la giocondità de' teatri, gli ebbe quell'anno più dilettevoli, che niun vecchio si ricordasse d'aver mai veduto in Roma; e pure non sol modesti, ma virtuosi. L'altro fu che dimostrossi come in questa città non solo dal pontefice, ma da' particolari, non meno si pregia un diadema deposto per la religione, che posseduto; sì che non si risparmiano le fatiche e le spese in grazia di chi essendosene dispogliata non può allettare veruna speranza di guiderdone.
French translation (my own):
Je ne pense pas qu'un récit simple des cérémonies et des célébrations qui eurent lieu à Rome pour accueillir cette mémorable pèlerine soit impropre à l'ouvrage ou déshonorant pour les lecteurs, car en écrivant non pas l'histoire, mais la vie, je dois encore moins m'abstenir des particularités, parce que chacun est avide de connaître les moindres circonstances concernant des événements singuliers et merveilleux; comme dans les nouvelles apparitions du ciel, chaque petite différence d'apparence et chaque léger mouvement est curieusement observé, et dans l'anatomie du corps humain, aucun nerf ou fibre n'est négligé.
Le duc de Parme avait prêté son beau palais à la reine comme logement, refusant les tapisseries que la Chambre lui offrait à cet usage, et le décorant avec la pompe qui convenait au seigneur de l'auberge et à l'hôte embellissant encore la façade d'emblèmes ingénieux et d'ornements somptueux. Le pontife doutait depuis longtemps s'il devait recevoir la reine pendant quelques jours au Vatican. D'une part, il ne considérait pas que cette salle convenait aux femmes, à l'égard desquelles il s'était montré si prudent que, comme nous l'avons dit, seule l'infante de Savoie en avait obtenu l'accès après le pontificat. D'un autre côté, il semblait discourtois que, comme la reine arrivait tard dans la nuit et que le temps était très doux, après la conversation du pape, elle doive s'aventurer dehors, sous une averse sombre, pour parcourir encore une lieue jusqu'au palais Farnèse.
Il arriva que le Vatican, étant constitué de nombreux édifices immenses, n'a pas de véritable unité, mais est composé de nombreuses pièces construites par de nombreux papes, et en particulier il y a une très grande résidence, construite déjà par Innocent VIII, loin du quartier où réside le pontife, et n'est rejoint que par une très longue galerie en haut, et par un couloir égal en bas. Il est situé dans l'endroit le plus reculé de la ville, bénéficiant des jardins appelés «de Belvédère» et correspondant à la célèbre bibliothèque du Vatican.
On jugeait désormais que la reine pouvait y rester, séparée du Pontife, comme s'ils se trouvaient dans deux palais non seulement différents, mais éloignés. Le pape fit donc meubler ces magnifiques appartements à la royale, non seulement avec les meubles de sa garde-robe, mais avec les plus précieux qui fussent à Rome; si bien qu'il se garda de les recevoir promptement que de ces seigneurs qui s'étaient modernesment accrus par la consanguinité des pontifes, disant que si par malheur leurs draps avaient souffert dans cet usage, la Chambre ne pouvait s'en apercevoir. Il visitait et considérait tout lui-même de ses propres yeux, et était si attentif aux petites choses d'où naissent souvent de grandes choses parmi les grandes, qu'il y avait là une tour surnommée «des Vents», parce que tous les vents y soufflaient, et tout y est éruditement représenté, il a observé que sous la tramontane était gravé le dicton de l'écriture: «Omne malum ab aquilone»; et il avait couvert ces paroles de gypse, craignant que la reine, ou l'un de ses gens, ne soupçonne qu'il s'agissait d'un reproche et d'une profession de la haine contre leur peuple.
Elle arriva à la troisième heure de la nuit, entrant dans Rome par la porte du jardin public du Vatican; et, passant à celui du jardin secret, où, comme à la première frontière du palais, elle fut accueillie par le majordome, ainsi que toute la cour domestique et honoraire du pape, et conduite aux chambres préparées, où, son les envoyés s'étant retirés et changeant leurs vêtements de voyage en vêtements solennels, la conduisirent au tunnel susmentionné, qui unit les deux grands membres de cette machine. Sur son seuil, elle trouva le maître pontifical de la chambre, par qui elle fut guidée et présentée au pape, les chambres étant remplies de toute la fleur de Rome.
Lorsqu'elle se trouvait en présence du pontife, elle s'agenouillait trois fois et lui baisait le pied et la main. Il la releva aussitôt et la fit asseoir non pas devant lui, comme les autres princes mineurs, mais plus honorablement à droite de l'estrade, partageant le baldaquin. Le siège était de forme royale en velours cramoisi, mais sans bracelets, autrement tout riche, et orné d'or et de sculptures.
La douceur du visage du pontife ne suffisait pas à tempérer si efficacement sa majesté que la reine, lorsqu'elle dut commencer le discours, avec un effet qui n'était plus ressenti et inattendu, ne se troubla pas et ne s'intrigua pas en prononçant les paroles préméditées, sur quoi le pape, sans paraître s'en apercevoir, avec une familiarité courtoise, interrompit ses règles et, avec des paroles très humaines, l'encouragea à raisonner.
Elle y resta une demi-heure, mais avec les portes levées, précaution utilisée par le pontife chaque fois qu'ils étaient ensemble. Puis elle rentra dans sa chambre avec le même accompagnement; elle y resta sous le nom d'inconnue (déjà arbitraire pour les princes pourtant connus) le lendemain, voyant ce jour-là et dans les autres de sa résidence, les jardins, les peintures, les statues et les livres pertinents à ce côté du Vatican, toutes choses singulières dans leur état; et de chacun et des auteurs, elle a donné un jugement si exquis que tous les experts en ont été étonnés.
Mais le savoir dissimulé ne l'étonnait pas moins que le savoir démontré, tandis que dans les discours familiers, même chez les hommes de lettres qui venaient la vénérer par curiosité et par respect pour elle, jamais un seul mot latin ne sortait. d'elle, ni un concept d'érudition — admirable continence dans un caractère d'un tel savoir, d'une telle grandeur, d'un tel sexe; et d'autant plus admirable qu'elle se sentait non pas artificielle et temporaire, mais habituelle et perpétuelle.
Le 23 décembre au matin, les légats et leur suite précédente vinrent la chercher par la même porte secrète, en habit de campagne, et elle, vêtue d'une robe grise toute couverte de galons d'or, se rendit avec eux au pont Milvius, à un mille de Rome. Elle y trouva le gouverneur de la ville avec les magistrats du Capitole et une troupe nombreuse et honorable de leurs fonctionnaires. Le gouverneur parla brièvement pour tous, puis ils l'accompagnèrent jusqu'à la fameuse villa construite par Jules III, qui sert à l'usage de ces entrées solennelles.
Le majordome du pape arriva là avec la famille pontificale, en suite équestre et piétonne, et avec tous les ordres de prélats, qui, après avoir terminé les offices de paroles avec la reine au nom du prince, et étant descendus avec elle dans la cour, lui offrirent un cheval, une voiture tirée par six chevaux, une litière et une chaise, le tout habillé d'ornements précieux et ingénieux.
La reine monta à cheval et plaça au milieu des légats qui avaient revêtu les longues robes et les capes, et la précédèrent à cheval tous lesdits officiers et seigneurs, et d'autres barons et cavaliers innombrables qui arboraient ce jour-là des livrées pompeuses. Elle se rendit à la Porta Flaminia, où le Collège des cardinaux l'attendait à cheval et était pontificalement habillé pour lui tenir honorablement compagnie; et le cardinal Barberini, en sa qualité d'aîné, parla au nom de tous.
A cet endroit, la fonction des légats étant terminée, ils se rendirent à leur place selon leur promotion; et la reine, après tout cela, fut placée au milieu des cardinaux Orsino et Costaguti, ainsi que des diacres les plus âgés. La multitude et la dignité des personnages, et la somptuosité de l'attirail faisaient que cette seconde cavalcade semblait une mer dans laquelle celle que les légats avaient conduite deux jours auparavant s'était écoulée comme un grand fleuve.
La Porta Flaminia avait été récemment décorée de sculptures, parmi lesquelles on pouvait voir aussi, presque dans un autre but, les insignes de la reine. Et comme il y avait de la place au milieu pour quelques mots, Le Bernin, qui en était l'architecte, avait prescrit le nombre de lettres à y placer en conséquence, d'après lesquelles le pape lui-même composa cette inscription:
«Felici faustoque ornata ingressui, anno MDCLV»,
voulant par là indiquer, mais non professer à la mémoire de la postérité, qu'un tel ornement avait été fait pour l'entrée de la reine. Car dans cette action et dans toutes les autres de ces actions, le pape veillait à rester dans les limites de la vertu et de la prudence, en faisant beaucoup, mais pas trop.
Il avait été ordonné par édit public ce jour-là qu'une fête solennelle et universelle serait célébrée, et que, dans les rues par lesquelles la reine devait passer, chacun, selon son habileté, décorerait les murs et les fenêtres de sa maison de manière à ce qu'il semble qu'on se promène dans un immense palais noblement orné. Il ne restait plus ni religieuses ni malades pour venir en spectateurs, et le spectacle était augmenté par cette célébrité. Rome retentissait de tambours et de trompettes; et lorsque la reine fut près du Château Saint-Ange, le ciel commença à retentir de l'artillerie; comme aussi cette nuit-là et le jour suivant, il y eut de splendides réjouissances par des feux d'artifice et des illuminations.
Arrivés au Vatican, les cardinaux, sauf deux, quittèrent la reine, pour aller rendre leurs hommages, comme on dit, au pontife dans la salle dite Royale, où il devait la recevoir en consistoire public. Les deux qui restèrent avec elle étaient Jean-Charles et Sforza, qui, après les deux mentionnés, étaient les plus âgés parmi les diacres. Au milieu d'eux, elle se dirigea vers le temple, et, étant montée au niveau de la façade, elle fut reçue en procession par le chapitre et le clergé et conduite au maître-autel, où le sacrement fut exposé; des prières adaptées à une telle occasion furent chantées avec une excellente harmonie. Et l'on vit cette grande basilique merveilleusement ornée de tapisseries et de draps d'or, et ornée de devises et d'emblèmes proportionnés à la reine.
On la conduisit ensuite à un escalier par lequel le palais communiquait avec le temple; et là elle fut accueillie de nouveau par l'intendant, par huit des évêques qui assistaient dans la chapelle, par le duc de Guadagnuolo, qui était appelé le maître du sacré hospice, et par ces deux cardinaux entre lesquels elle avait chevauché et qui, ayant été libérés de la fonction d'obéissance envers le pontife, donnèrent l'occasion de précéder dans le même but les deux qui restaient avec la reine.
En entrant dans le Consistoire, elle s'agenouilla trois fois devant le pape, selon le rite, et en même temps les deux cardinaux qui étaient à ses côtés s'inclinèrent, comme c'était leur habitude. La dernière fois, étant arrivée au trône sur lequel il était assis, elle lui baisa le pied et la main; et après quelques mots, la cérémonie fut terminée. Pendant ce temps, d'innombrables coups de feu, plus ou moins grands, retentissaient sur la place voisine.
Deux jours plus tard, c'est-à-dire le matin de Noël, les cardinaux Jean-Charles et Sforza, mentionnés ci-dessus, ainsi que quatre des évêques qui l'assistaient, la conduisirent de sa chambre à Saint-Pierre, où le pape célébra solennellement le sacrifice de cette fête; et elle reçut tout d'abord de lui le sacrement de confirmation, le cardinal Jean-Charles l'assistant dans l'office de parrain. Elle avait signifié, pendant qu'elle était à Innsbruck, dans cet acte, comme il est permis d'ajouter un second nom, s'appelant Christine Alexandra, en signe de dévotion pour son nouveau père, qui était le Pontife; et à Rome, la veille au soir, elle lui avait demandé la permission.
Lui, qui dans tout ce traitement avec la reine avait pris grand soin de ne pas voir entre eux trop de tendresse d'âme, ayant à l'esprit les calomnies allemandes contre Grégoire VII, le saint Pontife, et en même temps contre Mathilde, une princesse très religieuse, répondit qu'il aimait cette idée; car il ne s'agissait pas de son nom comme homme privé, mais de celui qu'il avait pris en assumant la personne de saint Pierre; donc tout respect envers ce nom était un respect envers la dignité de ce saint.
Mais comme elle avait fait de si remarquables démonstrations envers la Vierge à Lorette avant d'adorer saint Pierre à Rome, il proposa que, dans cette multiplication des noms, elle fasse précéder le Vicaire du Christ de la Mère du Christ, en s'appelant elle-même Christine Marie Alexandra. Et c'est ce qui fut fait, bien qu'elle n'ait alors utilisé que le premier et le troisième de ces noms dans les souscriptions.
Après la cérémonie de confirmation, la reine s'assit dans un riche thalame préparé pour elle, demeurant présente à la messe solennelle du pape, et elle reçut de ses propres mains le corps du Christ, éprouvant dans toute cette fonction de majesté surhumaine les sentiments les plus forts d'une terreur dévote que son âme n'avait jamais éprouvée depuis.
Le matin qui suivit ce banquet spirituel, elle fut invitée par le pontife à un autre banquet, corporel. Là, elle avait la place habituelle; et sa table était une paume plus basse que celle du pape, partageant également le dais avec elle. Pendant qu'ils mangeaient, Jean-Paul Oliva, prédicateur pontifical, prononça un bref discours sacré, et le reste du temps, des paroles spirituelles furent chantées par des voix exquises. Lorsque les tables furent enlevées, elle s'arrêta quelque temps pour converser avec le pape, avec lequel elle avait déjà eu un long entretien; puis, suivant l'exemple de Clément avec la reine d'Espagne à Ferrare, il lui rendit visite dans ses appartements.
Le soir même, elle quitta le palais du Vatican et alla avec une suite infinie séjourner au palais Farnèse. Alors, outre l'assiduité de la suite que lui avaient prêtée les premiers barons, quelques-uns d'entre eux, et surtout les Barberini, voulurent l'honorer et la divertir au carnaval suivant, en lui donnant de somptueux divertissements de tournois et d'actions poétiques représentées sur la scène avec la mélodie d'excellents chanteurs et la beauté de représentations merveilleuses. Ces festivités du pontife, libérales pour les siennes, mais avares pour les autres, n'étaient que permises, non ordonnées, ni recommandées.
Mais elles servaient à deux bons effets, outre le gain des artistes. Le premier était que le peuple, qui ne peut vivre heureux sans les joies du théâtre, les trouva cette année-là plus agréables que tout vieillard ne se souvenait d'en avoir jamais vues à Rome; et elles étaient non seulement modestes, mais vertueuses. L'autre était qu'il a été démontré que dans cette ville, non seulement par le pontife, mais par des particuliers, un diadème mis de côté pour la religion n'est pas moins prisé qu'un diadème possédé, de sorte qu'aucun effort ni aucune dépense ne sont épargnés pour le bien de celui qui, s'en étant dépouillé, ne peut susciter aucune espérance de récompense.
Swedish translation (my own):
Jag tror inte att någon enkel redogörelse för de ceremonier och högtider som hölls i Rom för att välkomna den minnesvärda pilgrimen kommer att vara antingen olämplig för arbetet eller skamlig för läsarna, för när jag skriver inte historia, utan livet måste jag mycket mindre avstå från särdrag, ty alla är angelägna om att känna till även de minsta omständigheter angående sällsynta och förunderliga händelser; som i himlens nya framträdanden observeras märkligt varje liten skillnad i utseende och varje liten rörelse, och i människokroppens anatomi förbises inte en enda liten nerv eller fiber.
Hertigen av Parma hade lånat ut sitt vackra palats till drottningen som logement, vägrat de gobelänger som kammaren erbjöd henne för detta bruk och dekorerade den med den pompa och ståt som var lämplig för herren på härbärget och för den som var värd, ytterligare försköna fasaden av geniala emblem och överdådiga prydnader. Påven hade länge tvivlat på om han skulle underhålla drottningen några dagar i Vatikanen. Å ena sidan ansåg han inte att detta rum var lämpligt för kvinnor, mot vilka han varit så försiktig att, som vi sagt, endast infantan av Savojen hade fått tillträde av honom efter pontifikatet. Å andra sidan föreföll det som ett ovärdigt att, eftersom drottningen anlände sent på natten och vädret var mycket milt, efter påvens samtal skulle hon behöva ge sig ut under ett mörkt skyfall för att resa ytterligare en mil till Palazzo Farnese.
Det hände sig att Vatikanen, eftersom den består av många enorma byggnader, inte har någon verklig enhet, utan är sammansatt av många delar byggda av många påvar, och i synnerhet finns det ett mycket stort residens, byggt redan av Innocentius VIII, långt från grannskapet, där påven är bosatt, och förenas endast av ett mycket långt galleri på översidan och av en lika stor gång på den nedre. Det är beläget på den mest avlägsna platsen i staden, och njuter av trädgårdarna som kallas »de Belvedere«, och motsvarande i det berömda Vatikanens bibliotek.
Nu bedömdes det att drottningen kunde stanna där, åtskild från påven, som om de befann sig i två palats som inte bara var olika, utan avlägsna. Påven lät därför inreda dessa magnifika lägenheter à la royale, inte bara med inredningen i hennes garderob, utan med det mest värdefulla som fanns i Rom; så sannerligen, att han var noga med att inte ta emot dem snabbt utom från de herrar, som modernt hade ökat sig genom påvarnas släktskap, och sade, att om deras kläder av olycka hade lidit i den användningen, kunde kammaren inte vara medveten om det. Han besökte och betraktade allt själv med sina egna ögon, och var så uppmärksam på de små saker som stora saker ofta uppstår bland de stora, att det fanns ett torn där med smeknamnet »Vindarnas« eftersom alla vindar blåser in i det, och allt där är lärorikt skildrat, han observerade att under tramontana fanns ingraverat talesättet i skriften: »Omne malum ab aquilone«, och han hade sådana ord täckta med gips, fruktande att drottningen, eller något av hennes folk, skulle misstänka att det var en klandervärd förseelse och ett bekännelse av hat mot deras folk.
Hon anlände vid nattens tredje timme och gick in i Rom genom porten till Vatikanens offentliga trädgård; och fortsatte till den hemliga trädgården, där hon, liksom vid palatsets första gräns, välkomnades av hovmästaren, tillsammans med hela påvens domestik- och hedershov och leddes till de förberedda rummen, där sändebudet som hade dragit sig tillbaka och bytte sina resekläder till högtidliga kläder tog henne till den tidigare nämnda tunneln som förenar de två stora medlemmarna i den maskinen. På tröskeln fann hon påvliga kammarherren, av vilken hon vägleddes och introducerades för påven, varvid kamrarna var fyllda med all Roms blomma.
När hon var i påvens närvaro, knäböjde hon tre gånger och kysste hans fot och hand. Han lyfte upp henne omedelbart och fick henne att sitta inte framför sig, som de andra mindre furstarna, utan mer hedervärt till höger om podiumet och delade baldakin. Sätet var i kunglig form av röd sammet, men utan armband, i övrigt allt rikt, och prydt med guld och sniderier.
Det behagliga i påvens ansikte var inte tillräckligt för att dämpa hans majestät så effektivt att drottningen, när hon var förpliktad att inleda diskursen, med en effekt som inte längre var upplevd och oväntad, inte blev förvirrad och inte intrigerade sig själv med att säga de överlagda orden, varpå påven, utan att verka vara medveten därom, på ett artigt sätt avbröt hennes period och med mycket mänskliga ord uppmuntrade henne att resonera.
Hon stannade där i en halvtimme, men med upphöjda dörrar, en försiktighetsåtgärd som påven använde varje gång de var tillsammans. Sedan återvände hon till sina rum med samma ackompanjemang; hon stannade där med namnet incognita (redan godtyckligt för furstar hur välkända de än är) följande dag, och såg den dagen, och i de andra i hennes bostad, trädgårdarna, målningarna, statyerna och böckerna som hörde till den sidan av Vatikanen, allt singulart i sitt tillstånd; och av var och en och av författarna gav hon en sådan utsökt bedömning att varje expert blev förvånad.
Men den dissimulerade kunskapen var inte mindre ett föremål för häpnad för henne än den demonstrerade, medan det i välbekanta samtal, även med män av lettres som kom för att vörda henne av nyfikenhet och av respekt för henne, kom aldrig ett enda latinskt ord av henne, inte heller ett begrepp om lärdom — beundransvärd kontinens i en karaktär av sådan kunskap, av sådan storhet, av ett sådant kön; och desto mer beundransvärd eftersom hon upplevde sig själv som inte konstlad och tillfällig, utan vanemässig och evig.
På morgonen den 23 december kom legaterna med deras tidigare följe för att ta henne genom samma hemliga dörr i landsbygdsdräkt, och hon, iklädd en grå klänning helt täckt med guldkanter, följde med dem till Ponte Milvio, en mil från Rom. Där fann hon stadens guvernör tillsammans med magistraten på Campidoglio och med en stor och hedervärd skara av deras ämbetsmän. Guvernören talade kort för alla, och sedan följde de med henne till den berömda villa som byggdes av Julius III, som tjänar till att använda sådana högtidliga ingångar.
Hit anlände påvens hovmästare med den påvliga familjen, både i ryttar- och fotgängarfölje, och med alla beställningar av prelater, som, efter att ha fullgjort ämbetet med ord med drottningen i prinsens namn, och med henne stigit ned i gården, förlänade henne en häst, en vagn dragen av sex hästar, en bärstol och en stol, alla klädda i dyrbara och ingeniösa prydnader.
Drottningen steg på hästen och placerade mitt bland legaterna som hade tagit de långa klänningarna och kapporna, och före henne på hästryggen alla förutnämnda officerare och herrar, och andra otaliga baroner och kavaljerer som uppvisade pompösa liverier den dagen. Hon gick till Porta Flaminia, där kardinalkollegiet väntade henne på hästryggen och var påvligt klädda för att hålla hennes hedervärda sällskap; och kardinal Barberini, som den äldste, talade i helhetens namn.
Här, då legaternas funktion hade avslutats, gick de till sin plats i enlighet med deras befordran; och drottningen placerades efter allt detta mitt bland kardinalerna Orsino och Costaguti, samt bland de äldsta diakonerna. Personagernas mångfald och värdighet och tillbehörens överdådighet fick denna andra kavalkad att verka som ett hav, i vilket det som legaterna hade fört två dagar innan hade flutit som en stor flod.
Porta Flaminia hade nyligen utsmyckats med skulpterade verk, bland vilka också sågs utspridda, nästan för ett annat ändamål, drottningens insignier. Och eftersom det fanns utrymme kvar i mitten för några ord, föreskrev Bernini, som var arkitekten, hur många bokstäver som skulle placeras där på lämpligt sätt, enligt vilket påven själv komponerade denna inskription:
»Felici faustoque ornata ingressui, anno MDCLV«;
han ville därmed antyda, men inte bekänna för eftervärldens minne, att en sådan prydnad hade gjorts för drottningens inträde. Ty i denna och i alla andra av dessa handlingar var påven mycket noga med att hålla sig inom dygd och klokhet och gjorde mycket, men inte för mycket.
Det hade beordrats genom offentligt påbud den dagen att en solenn och allmän högtid skulle hållas, och att på gatorna, genom vilka drottningen skulle passera, var och en efter sin egen förmåga skulle dekorera väggarna och fönstren i sitt hus på ett sådant sätt som det verkade som om man gick i ett enormt palats som var ädelt utsmyckat. Varken nunnor eller invalider återstod för att komma som åskådare tillsammans, och spektaklet ökades av en sådan celebritet. Rom ljöd av trummor och trumpeter; och när drottningen var nära Castel Sant'Angelo, började himlen att genljuda av artilleri; den natten och också följande dag var det storartade glädjeämnen av fyrverkerier och upplysningar.
När de anlände till Vatikanen, lämnade kardinalerna, utom två, drottningen och gick, som de säger, till påven i hallen som kallas den Kungliga, där han skulle ta emot henne i ett offentligt konsistorium. De två som blev kvar i hennes sällskap var Gian Carlo och Sforza, som de som efter de två nämnda var de äldsta bland diakonerna. Mitt bland dessa gick hon mot templet, och efter att ha stigit upp till fasadens nivå, mottogs hon i procession av kapitlet och prästerskapet och fördes till högaltaret, där sakramentet exponerades; böner anpassade till ett sådant tillfälle sjöngs med utmärkt harmoni. Och den stora basilikan sågs förunderligt smyckad med gobelänger och med gulddukar och prydd med anordningar och emblem i proportion till drottningen.
Sedan leddes hon till en trappa, genom vilken palatset kommunicerade med templet; och där välkomnades hon åter av förvaltaren, av åtta av biskoparna som hjälpte till i kapellet, av hertigen av Guadagnuolo, som kallades mästaren på det heliga hospitium, och av de två kardinaler mellan vilka hon hade ridit och som, efter att ha blivit befriad från funktionen att lyda mot påven, gav han möjlighet att i samma syfte föregå de två som blev kvar hos drottningen.
När hon gick in i Consistorium, knäböjde hon framför påven tre gånger, enligt riten, och samtidigt böjde sig de två kardinalerna som var vid hennes sida, som deras sed var. Den sista av de tre gångerna, efter att ha nått tronen på vilken han satt, kysste hon hans fot och hand; och med mycket korta ord till varandra avslutades ceremonin. Under tiden sköts otaliga åska av större och mindre bombarder på den närliggande piazzan.
Två dagar senare, alltså på juldagsmorgonen, ledde de förutnämnda kardinalerna Gian Carlo och Sforza tillsammans med fyra av de assisterande biskoparna henne från hennes rum till Peterskyrkan, där påven högtidligt firade offret på den högtiden; och först av allt fick hon av honom konfirmationssakramentet, kardinal Gian Carlo bistod i gudfaderämbetet. Hon hade, medan hon var i Innsbruck, i den handlingen betecknat, eftersom det är tillåtet att lägga till ett andra namn, kallande sig Kristina Alexandra, som ett uttryck för sådan hängiven tillgivenhet mot sin nya far, som var påven; och i Rom hade hon kvällen innan bett hans tillstånd.
Han, som under all den behandlingen med drottningen var noga med att se till att för mycket ömhet hos själar inte skulle synas dem emellan, med tanke på de tyska förtalarna mot Gregorius VII, den helige påven, och samtidigt mot Matilda, en högst religiös prinsessa, svarade att han tyckte om tanken; eftersom det inte gällde hans namn som en privat man, utan det som han hade antagit när han antog Sankte Petri person; därför var varje respekt för det namnet en respekt för det helgonets värdighet.
Men eftersom hon, innan hon tillbad Peter i Rom, hade gjort sådana anmärkningsvärda demonstrationer mot Jungfrun i Loreto, föreslog han att hon också i denna mångfald av namn skulle få Kristi moder att gå före Kristi ställföreträdare och kalla sig Kristina Maria Alexandra. Och så sattes det i kraft, även om endast det första och tredje av dessa namn användes av henne i underteckningarna.
Efter konfirmationsceremonin satt drottningen i en rik kammare förberedd för henne, kvarvarande närvarande vid påvens högtidliga mässa, och hon mottog med sina egna händer Kristi kropp, och upplevde i all den funktion av övermänsklig majestät de starkaste känslorna av en andäktig skräck som hennes själ aldrig mer upplevde.
Morgonen som följde på denna andliga bankett bjöds hon av påven till en annan, kroppslig. Där hade hon den vanliga sittplatsen; och hennes bord var en handbredd lägre än påvens, och delade där också baldakinen med henne. Medan de åt höll Gian Paolo Oliva, påvlig predikant, ett kort heligt tal, och resten av tiden sjöngs andliga ord av utsökta röster. När borden avlägsnats, stannade hon en tid för att samtala med påven, med vilken hon tidigare varit i långa samtal; och sedan, efter Clements exempel med drottningen av Spanien i Ferrara, besökte han henne i hennes rum.
Samma kväll då lämnade hon Vatikanpalatset och gick med ett oändligt följe för att stanna i palazzo Farnese. Sedan, förutom den ihärdighet som följet lånat henne av de första baronerna, ville några av dem, och särskilt Barberinis, hedra henne och ge henne rekreation i nästa karneval, ge henne överdådig underhållning av turneringar och poetiska handlingar representerad på scenen med melodin av utmärkta sångare och med skönheten i fantastiska framträdanden. Dessa festligheter av påven, som var sin egen frisinnade, men skonade andra, var endast tillåtna, inte befallda eller rekommenderade.
Men de tjänade till två bra effekter, utöver konstnärernas vinst. Den första var att folket, som inte kan leva belåtet utan teaterns glädje, fann dem det året mer förtjusande än någon gammal man kunde minnas att han någonsin sett i Rom; och de var inte bara blygsamma, utan också dygdiga. Den andra var att det visades att i denna stad, inte bara av påven utan av privatpersoner, ett diadem som lagts åt sidan för religion inte är mindre uppskattat än vad man besitter, så att ingen möda och kostnader sparas för ens skull som, efter att ha berövat sig det, inte kan locka något hopp om belöning.
English translation (my own):
I do not think that some unsophisticated account of the ceremonies and celebrations which were held in Rome to welcome that memorable pilgrim will be either unsuitable for the work or disgraceful to the readers, because in writing not history, but life, I must much less abstain from particularities, because everyone is eager to know even the smallest circumstances regarding singular and marvellous events; as in the new appearances of Heaven every small difference in appearance and every slight movement is curiously observed, and in the anatomy of the human body not a single little nerve or fiber is overlooked.
The Duke of Parma had lent his beautiful palazzo to the Queen as a lodging, refusing the tapestries offered to her by the Chamber for that use, and decorating it with the pomp that was appropriate for the lord of the hostel and for the person hosted, further embellishing the facade of ingenious emblems and sumptuous ornaments. The Pontiff had long doubted whether he should entertain the Queen for a few days in the Vatican. On the one hand, he did not consider that this room was suitable for women, towards whom he had been so cautious that, as we have said, only the Infanta of Savoy had obtained access from him after the pontificate. On the other hand, it seemed a discourtesy that, since the Queen arrived late at night and the weather was very mild, after the Pope's conversation she would have to venture out during a dark downpour to travel another mile to the Palazzo Farnese.
It came to pass that the Vatican, since it is made up of many huge buildings, has no true unity, but is composed of many pieces built by many popes, and in particular there is a very large residence, built already by Innocent VIII, far from the neighbourhood where the Pontiff resides, and is only joined by a very long gallery on the upper side, and by an equal corridor on the lower one. It is located in the most remote place of the city, enjoying the gardens called "de Belvedere", and corresponding in the famous Vatican library.
Now it was judged that the Queen could stay there, separated from the Pontiff, as if they were in two palaces that were not just different, but distant. The Pope therefore had those magnificent apartments furnished à la royale, not only with the furnishings of her wardrobe, but with the most precious that were in Rome; so truly, that he was careful not to receive them quickly except from those lords who had modernly increased themselves through the consanguinity of the pontiffs, saying that if by misfortune their cloths had suffered in that use, the Chamber could not be aware of it. He visited and considered everything himself with his own eyes, and was so attentive to the small things from which great things often arise among the great, that there being a tower there nicknamed "of the Winds" because all the winds blow into it, and everything there is eruditely portrayed, he observed that under the tramontana there was engraved the saying of the writing was engraved: "Omne malum ab aquilone"; and he had such words covered in gypsum, fearing that the Queen, or any of her people, would suspect that it was a reproachful offense and a profession of odium against their people.
She arrived at the third hour of the night, entering Rome through the gate of the public garden of the Vatican; and, proceeding to that of the secret garden, where, as at the first border of the palace, she was welcomed by the majordomo, together with all the domestic and honorary court of the Pope, and led to the prepared rooms, where, her envoys having withdrawn, and changing their travelling clothes into solemn ones, took her to the aforementioned tunnel, which unites the two great members of that machine. On its threshold she found the pontifical Master of the Chamber, by whom she was guided and introduced to the Pope, the rooms being filled with all the flower of Rome.
When she was in the presence of the Pontiff, she knelt down three times and kissed his foot and hand. He immediately lifted her up and made her sit not in front of him, like the other minor princes, but more honourably to the right of the platform, sharing the baldaquin. The seat was in royal form of crimson velvet, but without bracelets, otherwise all rich, and adorned with gold and carvings.
The pleasantness of the Pontiff's face was not enough to temper his majesty so effectively that the Queen, when she had to begin the discourse, with an effect no longer experienced and unexpected, did not become confused and did not intrigue herself in saying the premeditated words, whereupon the Pope, without appearing to be aware, in a manner of courteous familiarity, interrupted her period, and with very human sayings encouraged her to reason.
She remained there for half an hour, but with the doors raised, a precaution used by the Pontiff every time they were together. Then she returned to her rooms with the same accompaniment; she stayed there with the name of incognita (already arbitrary to princes however well-known) the following day, seeing on that day, and in the others of her residence, the gardens, the paintings, the statues, and the books pertinent to that side of the Vatican, all things singular in their condition; and of each one and of the authors she gave such an exquisite judgment that every expert was astonished.
But the dissimulated knowledge was no less an object of amazement to her than the demonstrated one, whilst in familiar discourses, even with men of letters who came to revere her out of curiosity and out of respect for her, never a single Latin word came out of her, nor a concept of erudition — admirable continence in a character of such knowledge, of such greatness, of such a sex; and all the more admirable because she experienced herself as not artificial and temporary, but habitual and perpetual.
On the morning of December 23, the legates with their previous entourage came to take her through the same secret door in countryside attire, and she, wearing a grey dress all covered with gold trim, went with them to the Milvian Bridge, a mile from Rome. There she found the governor of the city together with the magistrates of the Capitolium, and with a large and honourable band of their officials. The governor spoke briefly for all, and then they accompanied her to the famous villa built by Julius III, which serves for the use of such solemn entrances.
Here the Pope's majordomo arrived with the pontifical family, both in equestrian and pedestrian retinue, and with all the orders of prelates, who, having completed the offices of words with the Queen in the name of the Prince, and having descended with her into the courtyard, presented her with a horse, a carriage drawn by six horses, a litter, and a chair, all dressed in precious and ingenious ornaments.
The Queen mounted on the horse and placed in the midst of the legates who had taken the long dresses and capes, and preceding her on horseback all the aforementioned officers and lords, and other innumerable barons and cavaliers who displayed pompous liveries that day. She went to the Porta Flaminia, where the College of Cardinals awaited her on horseback and were pontifically dressed to keep her honourable company; and Cardinal Barberini, as the eldest, spoke in the name of the whole.
Here, the function of the legates having ended, they went to their due place according to their promotion; and the Queen, after all this, was placed in the midst of the cardinals Orsino and Costaguti, as well as of the eldest deacons. The multitude and dignity of the personages, and the sumptuousness of the paraphernalia made this second cavalcade seem like a sea, into which the one the legates had led two days before had flowed like a great river.
The Porta Flaminia had been newly adorned with sculptured works, among which were also seen scattered, almost for another purpose, the insignia of the Queen. And, there being space left in the middle for a few words, Bernini, who was the architect, prescribed the number of letters to be placed there appropriately, according to which the Pope himself composed this inscription:
"Felici faustoque ornata ingressui, anno MDCLV",
wishing with them to indicate, but not to profess to the memory of posterity, that such an ornament had been made for the entrance of the Queen. For in this and in every other of those actions the Pope was very careful to keep himself within the mean of virtue and prudence, doing a lot, but not too much.
It had been ordered by public edict that day that a solemn and universal festival should be observed, and that, in the streets through which the Queen was to pass, each according to his own ability should decorate the walls and windows of his house in such a way that it seemed as if one were walking in an immense palace nobly adorned. Neither nuns nor invalids remained to come as spectators together, and the spectacle was increased by such celebrity. Rome resounded with drums and trumpets; and when the Queen was near the Castel Sant'Angelo, the sky began to resound with artillery; as also on that night, and the following day, there were splendid rejoicings of fireworks and illuminations.
Arriving at the Vatican, the cardinals, except two, left the Queen, going to pay their respects, as they say, to the Pontiff in the hall called the Royal, where he was to receive her in a public consistory. The two who remained in her company were Gian Carlo and Sforza, as those who, after the two mentioned, were the eldest among the deacons. In the midst of these she walked toward the temple, and having ascended to the level of the facade, she was received in procession by the chapter and the clergy and conducted to the high altar, where the Sacrament was exposed; prayers adapted to such an occasion were sung with excellent harmony. And that great basilica was seen marvelously adorned with tapestries, and with cloths of gold, and adorned with devices, and emblems proportionate to the Queen.
Then she was led to a staircase, by which the palace communicated with the temple; and there she was welcomed again by the steward, by eight of the bishops who assisted in the chapel, by the Duke of Guadagnuolo, who was called the master of the sacred hospice, and by those two cardinals between whom she had ridden and who, having been released from the function of obedience towards the Pontiff, gave the opportunity to precede for the same purpose the two who remained with the Queen.
As she entered the Consistorium, she knelt before the Pope three times, as per the rite, and at the same time the two cardinals who were at her sides bowed, as was their custom. The last of the three times, having reached the throne on which he was sitting, she kissed his foot and hand; and with very brief words to each other the ceremony was concluded. In the meantime, innumerable thunders of greater and lesser bombards were being discharged in the nearby piazza.
Two days later, that is, on Christmas morning, the aforementioned cardinals Gian Carlo and Sforza, together with four of the assisting bishops, led her from her rooms to St. Peter's, where the Pope solemnly celebrated the sacrifice on that feast; and first of all she received from him the sacrament of confirmation, Cardinal Gian Carlo assisting in the office of godfather. She had signified, while she was in Innsbruck, in that act, as it is permissible to add a second name, calling herself Kristina Alexandra, as an expression of such devout affection towards her new father, who was the Pontiff; and in Rome, the evening before, she had asked his permission.
He, who in all that treatment with the Queen took great care to ensure that too much tenderness of souls would not be seen between them, having in mind the German calumnies against Gregory VII, the holy Pontiff, and at the same time against Matilda, a most religious princess, replied that he liked the thought; as it did not concern his name as a private man, but the one he had assumed in assuming the person of St. Peter; therefore every respect towards that name was a respect towards the dignity of that saint.
But as she, before adoring St. Peter in Rome, had made such notable demonstrations towards the Virgin in Loreto, he proposed that also in that multiplication of names she should make the Mother of Christ precede the Vicar of Christ, calling herself Kristina Maria Alexandra. And so it was put into effect, although only the first and third of these names were then used by her in subscriptions.
After the confirmation ceremony, the Queen sat in a rich thalamus prepared for her, remaining present at the solemn mass of the Pope, and she received with her own hands the Body of Christ, experiencing in all that function of superhuman majesty the strongest feelings of a devout terror never experienced by her soul again.
The morning that followed this spiritual banquet, she was invited by the Pontiff to another, corporal one. There she had the usual seat; and her table was a handbreadth lower than that of the Pope, also sharing there the canopy with her. While they ate, Gian Paolo Oliva, pontifical preacher, gave a short sacred discourse, and the rest of the time spiritual words were sung by exquisite voices. When the tables were removed, she stopped for some time to converse with the Pope, with whom she had previously been in long discourse; and he then, following the example of Clement with the Queen of Spain in Ferrara, visited her in her rooms.
The same evening then, she left the Vatican Palace and went with an infinite retinue to stay in the Palazzo Farnese. Then, in addition to the assiduity of the retinue lent to her by the first barons, some of them, and especially the Barberinis, wanted to honour her and give recreation to her in the next carnival, giving her sumptuous entertainments of tournaments and poetic actions represented on the stage with the melody of excellent singers and with the beauty of marvelous appearances. These festivities by the Pontiff, liberal of his own, but sparing of others, were only permitted, not commanded, nor recommended.
But they served for two good effects, in addition to the gain of the artists. The first was that the people, who cannot live contentedly without the joys of the theater, found them that year more delightful than any old man could remember ever having seen in Rome; and they were not only modest, but virtuous. The other was that it was shown that in this city, not only by the Pontiff, but by private individuals, a diadem laid aside for religion is no less prized than one possessed, so that no effort and expense are spared for the sake of one who, having despoiled himself of it, cannot entice any hope of reward.
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