Sources:
Descrizione del primo viaggio fatto a Roma dalla regina di Svezia, Cristina Maria, convertita alla religione cattolica e delle accoglienze quivi avute sino alla sua partenza, pages 40 to 59, by Cardinal Sforza Pallavicino, published in 1838
Vita di Alessandro VII, volume 1, pages 361 to 371, by Cardinal Sforza Pallavicino, published in 1839
Kristina's famous letter of October 26/November 5 (New Style) to Pope Alexander VII is here:
Above: Kristina.
The account:
La reina per dimostrazione di riverenza spedì al pontefice su i cavalli delle poste Antonio della Queva suo maggiordomo, e luogotenente generale della cavalleria in Fiandra (benchè, essendosi questo infermato, volle poi supplire a quell'ufficio il Montecuccoli) con una lettera di sua mano, la quale mi piace di registrare, sì per esser composta di sensi generosissimi, e religiosissimi insieme, sì perchè fu la prima ch'ella scrivesse nell'idioma italiano, poco a lei famigliare sin a quell'ora. ...
Ricevuta questa lettera il papa chiamò a posta il concistoro, e diede parte ai cardinali succintamente di tutto il negozio trattato seco molti anni avanti, quando era in minor condizione, ridotto a compimento in que' pochi mesi del suo pontificato. Considerò che Iddio siccome erasi valuto co' magi d'una stella, e co' pastori d'umana voce, per condurre gli uni e gli altri all'adorazione di Cristo; così con la reina dotata d'acutissimo ingegno avea preso per istromente il discorso prima in dimostrarle la vanità delle professate eresie, indi la sodezza della cattolica religione. Soggiunse il proponimento, ch'egli avea di trattarla secondo l'altezza del grado deposto da lei per la fede, e che in questa medesima conformità, com'ella s'avvicinasse, volea dichiarar due legati per incontrarla; fra tanto ammonì con parole gravissime i cardinali a far opera, che venendo una tal principessa in quella santa città, niente vi ricevesse di scandalo, o di perturbazione alla sua coscienza, ma ogni cosa trovasse piena di santità: onde se di là da monti ne avesse udito alcun male, scorgesse il tutto esser falso; e all'incontro il bene sparsone dalla fama, inferiore al vero. Intorno alle persone de' cardinali questo promettersi egli con gran certezza, come di tali che professavano perfezione, qual si conviene a chi tien la vece degli apostoli in terra; ma desiderarsi da lui che sopra ciò fossero ancora solleciti delle loro famiglie, massimamente rispetto al culto, e alla venerazion delle chiese; essendo cosa di maraviglia quanto si scandalezzino gli oltramontani di qualsisia breve ed ufficioso colloquio davanti gli altri. Usar quella gente una esquisita attenzione a tutti i costumi, detti, gesti, sguardi degl'italiani, ed in somma ad ogni minuzia onde possa conghieturare il loro interno; affin di notare il tutto nè suoi memoriali, e di tramandarne ai posteri la contezza: ricordarsi egli, che undici anni avanti, mentre era nunzio in Colonia, avea veduti certi libretti di memoria d'un gentiluomo secolare, ove quegli prima di coricarsi solea registrar ciò che il giorno gli era avvenuto; e quivi riferivasi per figura: «a' dodici di questo mese la mattina visitai due cardinali, e dopo desinare due altri: il primo ragionò sopra i vini, e quali fosser migliori, o quei delle colline di Roma, o i condotti altronde per terra, o più tosto i navigati; il secondo sopra la freschezza de' venti, l'amenità de' giardini, la vaghezza delle fontane; il terzo sopra le caccie, e i diporti villeschi; il quarto parlò delle comedie, delle machine sceniche, e d'altri teatri. Nulla da loro si toccò de' costumi, nulla de' santi padri, della chiesa, del vangelo, della conversion de' gentili, o degli eretici, nulla in somma di Dio.» Aggiunse il papa essersi egli ingegnato di sostener la causa di Roma, rispondendo, che con quell'uomo secolare e soldato i cardinali s'erano contenuti da sì fatti discorsi ecclesiastici, affine di condescendere alla inclinazione di lui, dicendo sol ciò che fosse adattato al suo intendimento: con tutto questo non aver egli potuto non concepirne un tale interno rossore con trarre quindi argomento, qual gravità e qual cautela si dovesse usar con quelle nazioni, massimamente in Roma o da' prelati, o da' cardinali. Detto ciò fe' leggere da Natal Rondinini segretario de' brevi le menzionate lettere del re Filippo, e della reina.
Le estreme parole del pontefice punsero alcuno de' cardinali, cioè chi nel suo cuore sentiva convenire a se quell'ammonizione tanto più agra, quanto più giusta, e com'è solito, fe' la causa e la querela comune agli altri, dicendo a varii, quasi per foggia di racconto, ch'erasi recato ciò ad ingiuria tutto il collegio, sentendosi offeso nella riputazione da chi specialmente la doveva sostenere. Ma i cardinali più zelanti ne commendarono il papa, conoscendo quanto male faccia l'ufficio suo quel medico, il quale si ritiene di dar la medicina per non dichiararne, che 'l corpo è infermo. Se vien salariato dalla sedia apostolica un privato religioso perchè riprenda i difetti di quel senato, alla presenza di gran gente; quanto più non esser ciò disdetto al pontefice in un concistoro secreto, e con maniera che risguardava i tempi andati, onde nè pur in generale condannava alcun de' presenti? Assai più lunga materia di contrarii discorsi diede quel che nella prima parte espose il pontefice, e che già prima era noto: cioè la conversione della reina, la sua imminente venuta, e la preparazione delle accoglienze. I cardinali andarono al concistoro con apparecchio di parole molto acconcie per esprimer la gloria, che ne seguiva alla chiesa, ed al papa: ma ne' privati ragionamenti non mancarono tra essi, e più ancora tra gli altri, molti che detraessero a questo fatto. Le accennate voci sparse in Fiandra contro alla reina, e di là seminate per varie lettere in Roma, faceano che certi grossolanamente sottili sognassero in questo fatto di lei artificio di politica, senza che bastassero per testimonii a purgarla d'una tal imputazione i tre reami lasciati.
Alcuni della fazion francese argomentavansi di scemar pregio all'opera per iscemarlo agli Spagnuoli, a' quali pareva appoggiata, e da' quali falsamente credevano che la reina volesse viver dipendente. Cercavano questi di persuadere, ch'ella avesse operato o per bizzarria, o per leggierezza, o per tedio delle cure, o per una tale umana filosofia, ma non per rispetto di coscienza, nè per sincerità di credenza.
E pur tutto ciò restava manifestamente convinto dalla gran riputazione in senno, la qual ella s'avea guadagnata per tanti anni di felice e venerato governo, dal modo stesso di machinare, di celare, e di condurre a fine questo negozio in sì lungo tempo, e con tante difficoltà; dalla sua natura non fredda, non trista, non pigra, non ritirita, ma fervida, allegra, attiva, e conversevole; e dalla somma ripugnanza, che sentono tutti gli uomini di alto affare a perdere la grandezza più che la medesima vita. Dal che raccoglievasi gran maturità di consiglio, gran profondità di prudenza, gran forza di pietà vincitrice della più gagliarda passione.
I Veneziani, di cui arrivarono in Roma gli ambasciadori straordinarii d'obbedienza appunto in que' giorni, tutti intenti a cavar ajuti dal pontefice per la guerra di Candia, miravano con tristo sguardo le spese di questo accoglimento, quasi uscissero loro di mano: ed amplificavano con quanta maggior gloria di Dio, e pro della chiesa arebbele impiegate il papa in difender la cristianità dalle zanne del Turco; non considerando, che tutto quel danaro sarebbe appena bastato a' bisogni militari per quindici giorni. Oltre a che il pontefice allo stesso tempo offerse loro grossissimi sovvenimenti, e stimolò anche in maniera efficace a concorrervi gli altri principi cristiani; sì però, che non dovesse impiegarsi a nudrire una lenta e disutil guerra, la quale, dopo molto arricchimento de' capitani, si terminasse con una pace a voglia dell'inimico; ma in far qualche nobile impresa, e in procurar la vittoria.
Finalmente il minuto volgo, e per concetto suo proprio, e per suggestione d'uomini poco propizii o al papa, o alla cosa, lagnavasi, ch'essendo sì grave il peso delle gabelle, e sì leggiero quello del pane, non si convertisse piuttosto tanta moneta o in diminuir l'une, o in accrescer l'altro. Ma costoro non faceano bene i conti. Imperocchè ciò che al papa costava quel ricevimento non era pari a levar la quarta parte d'una sola delle più tenui imposte. E quanto al pane, benchè si fosse potuto con ciò in Roma aumentarlo d'un'oncia, questo medesimo aumento arebbe cagionato danno del popolo e carestia, come altrove s'è dimostrato; ed all'incontro assai maggior sovvenimento ricevevano i poveri da quella magnificenza, avvenga che tutto il fiume ne colava in lor beneficio, come pagamento o delle merci, o delle opere. Anzi quantunque il danaro speso dalla camera, e figurato per immenso dalle solite amplificazioni di chi non è avvezzo a maneggiarlo, non ascendesse in verità a cento mila scudi per le diligenze, che si fecero di risparmio e di vantaggio nell'uso; con tutto ciò di molti doppj maggiore fu quel che passò in questa occorrenza dalle borse grandi nelle minute. Solo dalla legazione del cardinal Gian Carlo, computativi i gentiluomini di sua corte, e i prelati, e i baroni di sua compagnia, si fa conto che uscissero ottanta mila scudi; oltre alle spese fatte e da tanti signori di Roma in vestiti, livree, e teatri; e da tanti forestieri, che vi concorsero per curiosità di spettacolo sì memorando, e da tanti facoltosi in tutte le città dello stato ecclesiastico, donde la reina passò, e che onorarono lei, e se stessi con sontuose maniere. Sicchè riuscì a dismisura maggiore questo soccorso de' poveri in tutto lo stato di quello che arebbe recato in Roma un picciolo aumento del pane fin alla nuova ricolta. Ma gli uomini di maggior intelletto innalzando più su il pensiero udivano con vergogna, che nella città, la quale è la sedia della religione e del pontificato, si quistionasse intorno alla convenevolezza di questo fatto; e che non intendesse ciascuno di quanta infamia sarebbe riuscito al principato apostolico, se una tal reina, la quale s'era scoronata la testa affin di poterla sottoporre a' piedi del vicario di Cristo, avesse trovate qui avare e discortesi accoglienze, inferiori a quelle che sarebbonsi usate ad ogni sua pari, che ritenendo lo stato, e però senza un merito così grande, fosse venuta a Roma per divoto pellegrinaggio. Non sarebbe ciò stato, dicean essi, un'arme potentissima del demonio per opporsi a qualunque simile ispirazione mai nascesse in mente umana? Anzi non arebbe ciò comprovato quel che gli eretici vanno dicendo: in Roma non esser il danaro istromento per la salute delle anime, ma l'anime in tanto apprezzarsi in quanto fruttan danaro? Maggiormente sapendosi, che questo viaggio si faceva dalla reina per suo talento, e non per invito del papa.
Taluno anche discorreva più scientificamente così: tutte le dottrine de' teologi e de' canonisti intorno all'onesta, o inonesta distribuzione dell'entrate ecclesiastiche, sono fondate in questo: ch'elle si deono impiegare secondo la volontà presunta de' donatori. Stante ciò fingiamo che si fossero addimandati Carlo Magno, Matilde, e tutti que' principi, i quali hanno arricchita di tante gran possessioni e giurisdizioni la chiesa romana, se intendevano che le rendite di queste si applicassero in trattare onorevolmente una tal reina, la quale avesse anteposto all'esser reina l'esser suddita di questa chiesa: chi è sì stupido, che stia dubbioso della risposta, e che non vegga che arebbon detto, che ove tutt'altro fosse mancato, doveano il pontefice, e i cardinali diminuir le spese della lor corte per convertirle in quest'uso santamente magnifico?
In tal modo andavano discorrendo gli uomini d'alta sfera. Ma la moltitudine più che da tutte le ragioni fu mossa pian piano ad approvare il fatto dalla utilità, che provenne, ed anche dall'amabilità di quella principessa, che sgombrò in gran parte le calunnie con la presenza, ed acquistossi gli animi con le maniere. Trattenutasi dunque per otto giorni in Inspruck tra una immensità di sempre nuove, magnifiche, e dilettose onoranze, mosse verso Italia, e così dal principe vescovo di Trento, come dal duca di Mantova non fu tralasciata verun'arte di riverente e splendida cortesia nel suo transito pe' loro stati. I signori Veneziani o fosse rispetto di politica, o differenza di cerimonie, le diero il passo come ad incognita, mostrando sol di conoscerla nella qualità de' presenti, che il Contarino capitano, come il chiamano, di Verona, mandò in rinfrescamento di quella comitiva all'ambasciador Pimentelli, i quali e per l'abbondanza, e per l'eccellenza aveano più del reale, che del cavallerescho. Quindi pervenuta il giorno ventunesimo di novembre nello stato ecclesiastico di Ferrara fu accolta da due nunzii verso Melara, luogo di là dal Pò, vent'otto miglia distante dalla città. Essi le presentarono un breve dal papa, ed insieme una carrozza, una lettiga, ed una sedia del medesimo per uso del suo viaggio. All'apparire, ed allo smontar de' nunzii ella non curando la pioggia volle parimente smontare. Indi salì nella pontificia carrozza. A' due cardinali legato, e vescovo della mentovata città, che poi le furono incontro, ed agli altri successivamente diede il titolo d'eminenza, non debito, nè dato mai da principi di sublimità reale. Ed in tutto il resto usò una gran cortesia, la qual era più apprezzata, perch'ella niente però calava dal posto regio; e così quegli onori vedevansi fatti non da privata, ma da reina.
Gareggiarono le città e i presidenti (per lo più cardinali) in darle nel suo passare artificiosi e pomposi trattenimenti, alcun de' quali tuttavia ebbe meno del grave, che 'l pontefice non arebbe voluto, e ch'ei non permise in Roma. E perch'egli negò alle comunità di far in ciò veruna spesa, i gentiluomini per lo più s'accordaron fra loro a volontarie contribuzioni eziandio nelle città meno doviziose. In ogni luogo venìa condotta primieramente al duomo, ed ivi con sacra solennità ricevuta. Visitò per tutto le più segnalate reliquie divotamente; e volle deviare ad Ascesi per venerarvi il corpo di S. Francesco. Ma i più insigni atti di religione esercitò in riverire la santa casa di Loreto. Venendo colà d'Ancona, tosto che si scoprì con la vista la cupola della chiesa, smontò di carrozza, e con la ginocchia in terra adorò quel divino albergo; indi volle fare a piedi, e con la testa scoperta non ostante il rigore della stagione, e la delicatezza del suo corpo intollerante del freddo, tutta quella lunga pendice, per cui si sale alla città. Nell'entrare in chiesa ricusò l'onore del baldacchino; orò nella santa cappella con tal divozione, che ad una immensa turba di circostanti trasse le lagrime. Comunicossi quivi la mattina seguente, ma in occulto, perciocchè riserbavasi a prender in pubblico la prima volta il corpo di Cristo dalla mano del suo vicario; fece oblazione alla Vergine del proprio scetro, e della propria corona, ch'eran d'oro massiccio, arricchito di molti e grossi diamanti. E non è degno di tacersi come avendovi l'Olstenio accompagnato a perpetua memoria un distico, ove dicevasi ch'ella donava alla madre di Dio spretam coronam, la reina in leggendolo fe' mutare quell'aggiunto spretam in positam a cagione ch'ella non sarebbe stata mai per donare alla reina del cielo quel che sprezzava, ma quel che più nel mondo apprezzava.
Proseguendo il cammino alloggiò magnificamente, per tutto ricevuta o in palazzi della camera, o de' vescovi, e d'altri signori, come in Ascesi, in Caprarola, e in Bracciano, ma sempre a costo del pontefice, il quale ebbe cura che di luogo in luogo immediate dopo la sua partenza sopravvenisse un esperto e fedel ministro camerale, e ciò per due buoni effetti; l'uno fu che la camera di presente pagasse l'intiero a ciascuno: là dove altre volte i governatori, da cui erasi fatto il ricevimento, e somministrato il danaro, ne aveano patito, e dapprima nella molta aspettazione, e di poi nella piccola riscossione. L'altro fu che agli ufficiali inferiori si togliea la comodità d'alterare ne' conti il vero, come s'usa la lontananza val d'istromento per ingrandire gli oggetti. Ed appresso a ciò gli avanzi non si convertivano in ladroneccio, ma da grossi e durevoli si ritraeva danaro a pro della camera: e i tenuti, e non conservabili si dispensavano in limosine a sollevamento de' poveri.
Ultimamente la mattina ventesima di decembre giunse ad una villa già degli Olgiati, da quali prese, e ritiene il nome, diece miglia vicino a Roma: e avendo il pontefice dichiarata nel prossimo concistoro la legazione de' prenominati due cardinali, essi quella stessa mattina mossero dalla città per incontrarla; non alzaron croce, perchè nel distretto di Roma non è ciò lecito ad altri che al papa, ma uscirono con una cavalcata delle più vistose in abiti, in livree, in fregi de' cavalli, e in ogni altra pompa che fosse in memoria agli spettatori. Il cardinal Gian Carlo, oltre alla sua numerosa corte, menava, come dicesi, per camerata, quattro gran prelati, tre duchi, molti marchesi, ed altri cavalieri di pregio, ciascun de' quali riccamente comparve. Nè dal canto pur dell'altro legato mancò la nobiltà e lo splendore della comitiva. All'uscir di Roma entrarono nelle carrozze, e venne loro incontro alla Storta, luogo tre miglia lungi dal termine, il maggiorduomo della reina che gl'invitò, e gli prese in una carrozza della sua signora. Giunti al palazzo ove egli albergava, trovarono, che per un eccesso di cortesia era discesa in piè dalle scale, e s'inoltrò a riceverli fin presso alla porta. Fatti quivi, e poi nelle stanze i convenevoli ufficii, calarono insieme tenendo la reina in mezzo, ed entrarono tutti i tre in una carrozza del pontefice, inviandosi verso Roma: e la notte, che sopravvenne, accrebbe, non diminui lo splendore per una infinità di torchi, che d'ogni intorno s'accesero.
With modernised spelling:
La re[g]ina, per dimostrazione di riverenza, spedì al pontefice su i cavalli delle poste Antonio della Cueva, suo maggiordomo e luogotenente generale della cavalleria in Fiandra (benché, essendosi questo infermato, volle poi supplire a quell'uffizio il Montecuccoli) con una lettera di sua mano, la quale mi piace di registrare, sì per esser composta di sensi generosissimi e religiosissimi insieme, sì perché fu la prima ch'ella scrivesse nell'idioma italiano, poco a lei famigliare sin a quell'ora. ...
Ricevuta questa lettera il papa chiamò a posta il Concistoro e diede parte ai cardinali succintamente di tutto il negozio trattato seco molti anni avanti, quando era in minor condizione, ridotto a compimento in que' pochi mesi del suo pontificato. Considerò che Iddio siccome erasi valuto co' magi d'una stella e co' pastori d'umana voce, per condurre gli uni e gli altri all'adorazione di Cristo; così con la re[g]ina dotata d'acutissimo ingegno, avea preso per istromente il discorso prima in dimostrarle la vanità delle professate eresie indi la sodezza della cattolica religione.
Soggiunse il proponimento, ch'egli avea di trattarla secondo l'altezza del grado deposto da lei per la fede, e che in questa medesima conformità, com'ella s'avvicinasse, volea dichiarar due legati per incontrarla; fra tanto ammonì con parole gravissime i cardinali a far opera che, venendo una tal principessa in quella santa città, niente vi ricevesse di scandalo, o di perturbazione alla sua coscienza, ma ogni cosa trovasse piena di santità, onde se di là da monti ne avesse udito alcun male, scorgesse il tutto esser falso e all'incontro il bene sparsone dalla fama, inferiore al vero.
Intorno alle persone de' cardinali questo promettersi egli con gran certezza, come di tali che professavano perfezione, qual si conviene a chi tien la vece degli apostoli in terra; ma desiderarsi da lui che sopra ciò fossero ancora solleciti delle loro famiglie, massimamente rispetto al culto e alla venerazion delle chiese, essendo cosa di maraviglia quanto si scandalezzino gli oltramontani di qualsisia breve ed uffizioso colloquio davanti gli altri.
Usar quella gente una esquisita attenzione a tutti i costumi, detti, gesti, sguardi degl'italiani, ed in somma ad ogni minuzia onde possa conghieturare il loro interno, affin di notare il tutto nè suoi memoriali, e di tramandarne ai posteri la contezza, ricordarsi egli, che undici anni avanti, mentre era nunzio in Colonia, avea veduti certi libretti di memoria d'un gentiluomo secolare, ove quegli prima di coricarsi solea registrar ciò che il giorno gli era avvenuto, e quivi riferivasi per figura: «A' dodici di questo mese la mattina visitai due cardinali, e dopo desinare due altri. Il primo ragionò sopra i vini, e quali fosser migliori, o quei delle colline di Roma, o i condotti altronde per terra, o più tosto i navigati; il secondo sopra la freschezza de' venti, l'amenità de' giardini, la vaghezza delle fontane; il terzo sopra le caccie, e i diporti villeschi; il quarto parlò delle comedie, delle machine sceniche, e d'altri teatri. Nulla da loro si toccò de' costumi, nulla de' Santi Padri, della Chiesa, del Vangelo, della conversion de' gentili, o degli eretici, nulla in somma di Dio.»
Aggiunse il papa essersi egli ingegnato di sostener la causa di Roma, rispondendo, che con quell'uomo secolare e soldato i cardinali s'erano contenuti da sì fatti discorsi ecclesiastici, affine di condescendere alla inclinazione di lui, dicendo sol ciò che fosse adattato al suo intendimento. Con tutto questo non aver egli potuto non concepirne un tale interno rossore con trarre quindi argomento, qual gravità e qual cautela si dovesse usar con quelle nazioni, massimamente in Roma o da' prelati, o da' cardinali. Detto ciò fe' leggere da Natal Rondinini, segretario de' brevi, le menzionate lettere del re Filippo e della re[g]ina.
Le estreme parole del pontefice punsero alcuno de' cardinali, cioè chi nel suo cuore sentiva convenire a se quell'ammonizione tanto più agra, quanto più giusta, e com'è solito, fe' la causa e la querela comune agli altri, dicendo a vari, quasi per foggia di racconto ch'erasi recato ciò ad ingiuria tutto il Collegio, sentendosi offeso nella riputazione da chi specialmente la doveva sostenere. Ma i cardinali più zelanti ne commendarono il papa, conoscendo quanto male faccia l'uffizio suo quel medico, il quale si ritiene di dar la medicina per non dichiararne che 'l corpo è infermo. Se vien salariato dalla Sedia Apostolica un privato religioso perché riprenda i difetti di quel Senato, alla presenza di gran gente, quanto più non esser ciò disdetto al pontefice in un Concistoro segreto, e con maniera che risguardava i tempi andati, onde nè pur in generale condannava alcun de' presenti? Assai più lunga materia di contrari discorsi diede quel che nella prima parte espose il pontefice, e che già prima era noto, cioè la conversione della re[g]ina, la sua imminente venuta e la preparazione delle accoglienze.
I cardinali andarono al Concistoro con apparecchio di parole molto acconcie per esprimer la gloria che ne seguiva alla Chiesa ed al papa, ma ne' privati ragionamenti non mancarono tra essi, e più ancora tra gli altri, molti che detraessero a questo fatto. Le accennate voci sparse in Fiandra contro alla re[g]ina, e di là seminate per varie lettere in Roma, faceano che certi grossolanamente sottili sognassero in questo fatto di lei artificio di politica, senza che bastassero per testimoni a purgarla d'una tal imputazione i tre reami lasciati.
Alcuni della fazion francese argomentavansi di scemar pregio all'opera per iscemarlo agli Spagnuoli, a' quali pareva appoggiata e da' quali falsamente credevano che la re[g]ina volesse viver dipendente. Cercavano questi di persuadere ch'ella avesse operato o per bizzarria, o per leggierezza, o per tedio delle cure, o per una tale umana filosofia, ma non per rispetto di coscienza, nè per sincerità di credenza.
E pur tutto ciò restava manifestamente convinto dalla gran riputazione in senno, la qual ella s'avea guadagnata per tanti anni di felice e venerato governo, dal modo stesso di machinare, di celare, e di condurre a fine questo negozio in sì lungo tempo, e con tante difficoltà, dalla sua natura non fredda, non trista, non pigra, non ritirita, ma fervida, allegra, attiva, e conversevole, e dalla somma ripugnanza che sentono tutti gli uomini di alto affare a perdere la grandezza più che la medesima vita. Dal che raccoglievasi gran maturità di consiglio, gran profondità di prudenza, gran forza di pietà vincitrice della più gagliarda passione.
I Veneziani, di cui arrivarono in Roma gli ambasciadori straordinari d'ubbedienza appunto in que' giorni, tutti intenti a cavar aiuti dal pontefice per la guerra di Candia, miravano con tristo sguardo le spese di questo accoglimento, quasi uscissero loro di mano; ed amplificavano con quanta maggior gloria di Dio e pro della Chiesa arebbele impiegate il papa in difender la cristianità dalle zanne del Turco, non considerando che tutto quel danaro sarebbe appena bastato a' bisogni militari per quindici giorni. Oltre a che il pontefice allo stesso tempo offerse loro grossissimi sovvenimenti e stimolò anche in maniera efficace a concorrervi gli altri principi cristiani; sì però, che non dovesse impiegarsi a nudrire una lenta e disutil guerra, la quale, dopo molto arricchimento de' capitani, si terminasse con una pace a voglia dell'inimico, ma in far qualche nobile impresa e in procurar la vittoria.
Finalmente il minuto volgo, e per concetto suo proprio, e per suggestione d'uomini poco propizi o al papa, o alla cosa, lagnavasi, ch'essendo si grave il peso delle gabelle, e si leggiero quello del pane, non si convertisse piuttosto tanta moneta o in diminuir l'une, o in accrescer l'altro, ma costoro non faceano bene i conti, imperocché ciò che al papa costava quel ricevimento non era pari a levar la quarta parte d'una sola delle più tenui imposte. E quanto al pane, benché si fosse potuto con ciò in Roma aumentarlo d'un'oncia, questo medesimo aumento arebbe cagionato danno del popolo e carestia, come altrove s'è dimostrato; ed all'incontro assai maggior sovvenimento ricevevano i poveri da quella magnificenza, avvenga che tutto il fiume ne colava in lor beneficio, come pagamento o delle merci, o delle opere. Anzi quantunque il danaro speso dalla Camera e figurato per immenso dalle solite amplificazioni di chi non è avvezzo a maneggiarlo, non ascendesse in verità a cento mila scudi per le diligenze, che si fecero di risparmio e di vantaggio nell'uso, con tutto ciò di molti doppi maggiore fu quel che passò in questa occorrenza dalle borse grandi nelle minute.
Solo dalla legazione del cardinal Gian Carlo, computativi i gentiluomini di sua corte, e i prelati e i baroni di sua compagnia, si fa conto che uscissero ottanta mila scudi, oltre alle spese fatte e da tanti signori di Roma in vestiti, livree e teatri, e da tanti forestieri, che vi concorsero per curiosità di spettacolo si memorando e da tanti facoltosi in tutte le città dello Stato Ecclesiastico donde la re[g]ina passò, e che onorarono lei e se stessi con sontuose maniere. Sicché riuscì a dismisura maggiore questo soccorso de' poveri in tutto lo Stato di quello che arebbe recato in Roma un picciolo aumento del pane fin alla nuova ricolta. Ma gli uomini di maggior intelletto innalzando più su il pensiero udivano con vergogna che nella città, la quale è la sedia della religione e del pontificato, si quistionasse intorno alla convenevolezza di questo fatto, e che non intendesse ciascuno di quanta infamia sarebbe riuscito al principato apostolico se una tal re[g]ina, la quale s'era scoronata la testa affin di poterla sottoporre a' piedi del vicario di Cristo, avesse trovate qui avare e discortesi accoglienze, inferiori a quelle che sarebbonsi usate ad ogni sua pari che ritenendo lo Stato, e però senza un merito così grande, fosse venuta a Roma per divoto pellegrinaggio.
Non sarebbe ciò stato, dicean essi, un'arme potentissima del Demonio per opporsi a qualunque simile ispirazione mai nascesse in mente umana? Anzi non arebbe ciò comprovato quel che gli eretici vanno dicendo; in Roma non esser il danaro istromento per la salute delle anime, ma l'anime in tanto apprezzarsi in quanto fruttan danaro? Maggiormente sapendosi, che questo viaggio si faceva dalla re[g]ina per suo talento, e non per invito del papa.
Taluno anche discorreva più scientificamente così: tutte le dottrine de' teologi e de' canonisti intorno all'onesta, o inonesta distribuzione dell'entrate ecclesiastiche, sono fondate in questo: ch'elle si deono impiegare secondo la volontà presunta de' donatori. Stante ciò fingiamo che si fossero addimandati Carlo Magno, Matilde e tutti que' principi, i quali hanno arricchita di tante gran possessioni e giurisdizioni la Chiesa romana, se intendevano che le rendite di queste si applicassero in trattare onorevolmente una tal re[g]ina, la quale avesse anteposto all'esser re[g]ina l'esser suddita di questa Chiesa. Chi è sì stupido, che stia dubbioso della risposta, e che non vegga che arebbon detto, che ove tutt'altro fosse mancato, doveano il Pontefice e i cardinali diminuir le spese della lor corte per convertirle in quest'uso santamente magnifico?
In tal modo andavano discorrendo gli uomini d'alta sfera. Ma la moltitudine più che da tutte le ragioni fu mossa pian piano ad approvare il fatto dalla utilità, che provenne, ed anche dall'amabilità di quella principessa che sgombrò in gran parte le calunnie con la presenza ed acquistossi gli animi con le maniere. Trattenutasi dunque per otto giorni in Innsbruck, tra una immensità di sempre nuove, magnifiche e dilettose onoranze, mosse verso Italia, e così dal principe vescovo di Trento, come dal duca di Mantova non fu tralasciata verun'arte di riverente e splendida cortesia nel suo transito pe' loro stati.
I signori veneziani, o fosse rispetto di politica, o differenza di cerimonie, le diero il passo come ad incognita, mostrando sol di conoscerla nella qualità de' presenti, che il Contarino capitano, come il chiamano, di Verona, mandò in rinfrescamento di quella comitiva all'ambasciador Pimentelli, i quali e per l'abbondanza, e per l'eccellenza aveano più del reale, che del cavalleresco. Quindi pervenuta il giorno ventunesimo di novembre nello Stato Ecclesiastico di Ferrara fu accolta da due nunzi verso Melara, luogo di là dal Po, vent'otto miglia distante dalla città. Essi le presentarono un breve dal papa, ed insieme una carrozza, una lettiga, ed una sedia del medesimo per uso del suo viaggio. All'apparire, ed allo smontar de' nunzi ella non curando la pioggia volle parimente smontare. Indi salì nella pontificia carrozza.
A' due cardinali legato e vescovo della mentovata città che poi le furono incontro, ed agli altri successivamente, diede il titolo d'Eminenza, non debito, nè dato mai da principi di sublimità reale. Ed in tutto il resto usò una gran cortesia, la qual era più apprezzata, perch'ella niente però calava dal posto regio; e così quegli onori vedevansi fatti non da privata, ma da re[g]ina.
Gareggiarono le città e i presidenti (per lo più cardinali) in darle nel suo passare artificiosi e pomposi trattenimenti, alcun de' quali tuttavia ebbe meno del grave, che 'l pontefice non arebbe voluto, e ch'ei non permise in Roma. E perch'egli negò alle comunità di far in ciò veruna spesa, i gentiluomini per lo più s'accordaron fra loro a volontarie contribuzioni eziandio nelle città meno doviziose. In ogni luogo venìa condotta primieramente al duomo, ed ivi con sacra solennità ricevuta. Visitò per tutto le più segnalate reliquie divotamente; e volle deviare ad Ascesi per venerarvi il corpo di San Francesco.
Ma i più insigni atti di religione esercitò in riverire la santa casa di Loreto. Venendo colà d'Ancona, tosto che si scoprì con la vista la cupola della chiesa, smontò di carrozza, e con la ginocchia in terra adorò quel divino albergo; indi volle fare a piedi, e con la testa scoperta non ostante il rigore della stagione, e la delicatezza del suo corpo intollerante del freddo, tutta quella lunga pendice, per cui si sale alla città. Nell'entrare in chiesa ricusò l'onore del baldacchino; orò nella santa cappella con tal divozione, che ad una immensa turba di circostanti trasse le lagrime. Comunicossi quivi la mattina seguente, ma in occulto, perciocché riserbavasi a prender in pubblico la prima volta il corpo di Cristo dalla mano del suo vicario; fece oblazione alla Vergine del proprio scetro, e della propria corona, ch'eran d'oro massiccio, arricchito di molti e grossi diamanti. E non è degno di tacersi come avendovi l'Olstenio accompagnato a perpetua memoria un distico, ove dicevasi ch'ella donava alla Madre di Dio spretam coronam, la re[g]ina in leggendolo fe' mutare quell'aggiunto spretam in positam a cagione ch'ella non sarebbe stata mai per donare alla Re[g]ina del cielo quel che sprezzava, ma quel che più nel mondo apprezzava.
Proseguendo il cammino alloggiò magnificamente, per tutto ricevuta o in palazzi della camera, o de' vescovi, e d'altri signori, come in Ascesi, in Caprarola e in Bracciano, ma sempre a costo del pontefice, il quale ebbe cura che di luogo in luogo immediate dopo la sua partenza sopravvenisse un esperto e fedel ministro camerale, e ciò per due buoni effetti; l'uno fu che la camera di presente pagasse l'intiero a ciascuno; là dove altre volte i governatori, da cui erasi fatto il ricevimento, e somministrato il danaro, ne aveano patito, e dapprima nella molta aspettazione, e di poi nella piccola riscossione. L'altro fu che agli uffiziali inferiori si togliea la comodità d'alterare ne' conti il vero, come s'usa la lontananza val d'istromento per ingrandire gli oggetti. Ed appresso a ciò gli avanzi non si convertivano in ladroneccio, ma da grossi e durevoli si ritraeva danaro a pro della camera: e i tenuti, e non conservabili si dispensavano in limosine a sollevamento de' poveri.
Ultimamente la mattina ventesima di dicembre giunse ad una villa già degli Olgiati, da quali prese, e ritiene il nome, diece miglia vicino a Roma; e avendo il pontefice dichiarata nel prossimo concistoro la legazione de' prenominati due cardinali, essi quella stessa mattina mossero dalla città per incontrarla; non alzaron croce, perché nel distretto di Roma non è ciò lecito ad altri che al papa, ma uscirono con una cavalcata delle più vistose in abiti, in livree, in fregi de' cavalli, e in ogni altra pompa che fosse in memoria agli spettatori. Il cardinal Gian Carlo, oltre alla sua numerosa corte, menava, come dicesi, per camerata, quattro gran prelati, tre duchi, molti marchesi, ed altri cavalieri di pregio, ciascun de' quali riccamente comparve. Nè dal canto pur dell'altro legato mancò la nobiltà e lo splendore della comitiva.
All'uscir di Roma entrarono nelle carrozze, e venne loro incontro alla Storta, luogo tre miglia lungi dal termine, il maggiordomo della re[g]ina che gl'invitò, e gli prese in una carrozza della sua signora. Giunti al palazzo ove egli albergava, trovarono, che per un eccesso di cortesia era discesa in piè dalle scale, e s'inoltrò a riceverli fin presso alla porta. Fatti quivi, e poi nelle stanze i convenevoli uffizi, calarono insieme tenendo la re[g]ina in mezzo, ed entrarono tutti i tre in una carrozza del pontefice, inviandosi verso Roma; e la notte, che sopravvenne, accrebbe, non diminui lo splendore per una infinità di torchi, che d'ogni intorno s'accesero.
French translation (my own):
La reine, en signe de révérence, envoya au pontife Antoine de la Cueva, son majordome et lieutenant général de la cavalerie de Flandre, sur des chevaux de poste (bien que, étant tombé malade, il voulut plus tard remplacer Montecuccoli dans cette fonction) avec une lettre de sa main, que je veux enregistrer, à la fois parce qu'elle était composée de sentiments à la fois très généreux et très religieux, et parce que c'était la première qu'elle écrivait dans la langue italienne, qui lui était peu familière jusqu'à ce moment là. ...
Après avoir reçu cette lettre, le pape appela par courrier le Consistoire et rendit brièvement compte aux cardinaux de toutes les affaires dont il avait discuté avec lui de nombreuses années auparavant, alors qu'il était dans un état moindre, et achevées au cours de ces quelques mois de son pontificat. Il considérait que Dieu, puisqu'il s'était considéré comme les mages d'une étoile et comme les bergers d'une voix humaine, pour conduire tous deux à l'adoration du Christ, donc avec la reine, douée d'une intelligence très aiguë, il avait pris pour son instrument la conversation d'abord pour lui démontrer la vanité des hérésies professées, puis la solidité de la religion catholique.
Il ajouta l'intention qu'il avait de la traiter selon la hauteur du degré qu'elle avait déposé pour la foi, et que dans cette même conformité, à mesure qu'elle approchait, il voulait déclarer deux légats pour la rencontrer; cependant, il avertit les cardinaux avec des paroles très sérieuses pour que, lorsqu'une telle princesse viendrait dans cette ville sainte, elle ne recevrait rien de scandaleux ni de trouble pour sa conscience, mais qu'elle trouverait tout plein de sainteté, de sorte que si au-delà des montagnes il avait entendu n'importe quel mal, il verrait que tout était faux et, d'autre part, que le bien répandu par la renommée était inférieur à la vérité.
Autour des cardinaux, cela était promis avec une grande certitude, comme de ceux qui professaient la perfection, comme il sied à celui qui tient la place des apôtres sur terre; mais il voulait qu'ils soient encore attentifs à leurs familles à cet égard, surtout en ce qui concerne le culte et la vénération des églises, car il est étonnant de voir combien les ultramontains sont scandalisés par toute conversation brève et officielle devant autrui.
Ces gens portaient une attention exquise à toutes les coutumes, paroles, gestes et regards des Italiens, et en un mot à chaque détail dans lequel ils pouvaient conjecturer leur intérieur, afin de noter l'ensemble et ses mémoriaux, et de transmettre le connaissance à la postérité, il se souvient que onze ans plus tôt, alors qu'il était nonce à Cologne, il avait vu certains livrets de mémoire d'un homme laïc, où, avant de se coucher, il écrivait ce qui lui était arrivé ce jour-là, et là il mentionna en figure: «Le 12 de ce mois, au matin, j'ai rendu visite à deux cardinaux, et après le déjeuner à deux autres. Le premier discutait des vins, et lesquels étaient meilleurs, soit ceux des collines de Rome, soit ceux apportés ailleurs par terre, ou plutôt par les marins; le second traitait de la fraîcheur des vents, de la douceur des jardins, de la beauté des fontaines; le troisième de la chasse et des plaisirs champêtres; le quatrième parlait de comédies, de machines de théâtre et autres théâtres. Ils n'ont rien touché aux coutumes, rien aux saints Pères, rien à l'Église, rien à l'Évangile, rien à la conversion des gentils ou des hérétiques, in summa rien à Dieu.»
Le pape ajouta qu'il s'était efforcé de soutenir la cause de Rome, répondant qu'avec cet homme laïc et ce soldat, les cardinaux s'étaient retenus de tels discours ecclésiastiques pour condescendre à son inclination, ne disant que ce qui convenait à son entendement. Avec tout cela, il ne pouvait s'empêcher de concevoir une telle rougeur intérieure et donc de débattre de la gravité et de la prudence qui devaient être utilisées avec ces nations, en particulier à Rome, soit par les prélats, soit par les cardinaux. Cela dit, il a fait lire à Natal Rondinini, secrétaire des brefs, lesdites lettres du roi Philippe et de la reine.
Les dernières paroles du pontife ont piqué certains cardinaux, c'est-à-dire ceux qui ressentaient dans leur cœur cet avertissement d'autant plus amer et juste, et comme d'habitude, rendaient la cause et la plainte communes aux autres, disant à divers, presque comme pour raconter que cela avait provoqué une insulte au Collège tout entier, sentant sa réputation offensée par ceux qui devaient surtout le soutenir. Mais les cardinaux les plus zélés en ont félicité le pape, sachant combien sa fonction est mauvaise pour ce médecin qui est déterminé à donner le médicament pour ne pas déclarer que le corps est malade. Si un religieux privé est engagé par le Siège Apostolique pour corriger les défauts de ce Sénat, en présence de grands personnages, combien plus cela ne devrait-il pas être annulé au pontife dans un Consistoire secret, et d'une manière qui tienne compte passés pour qu'il ne condamne aucun des présents en général? Ce que le pontife expliquait dans la première partie et qui était déjà connu auparavant, à savoir la conversion de la reine, son arrivée imminente et la préparation des accueils, a fourni une matière beaucoup plus longue à des discours contraires.
Les cardinaux se rendirent au Consistoire avec des paroles très appropriées pour exprimer la gloire qui suivrait l'Église et le pape, mais dans leurs raisonnements privés, ils ne manquèrent pas, et plus encore parmi les autres, nombreux qui nuisèrent à ce fait. Lesdits bruits qui se répandirent en Flandre contre la reine, et de là se répandirent par diverses lettres à Rome, firent rêver à certaines personnes grossièrement subtiles que c'était un artifice politique, sans qu'il y ait assez de témoins pour la purger d'une telle accusation des trois royaumes qu'elle avait quittés.
Certains membres de la faction française affirmaient qu'ils diminuaient le mérite de l'œuvre afin de la diminuer auprès des Espagnols, par qui elle semblait soutenue et dont ils croyaient à tort que la reine voulait vivre dans la dépendance. Ils essayèrent de la persuader qu'elle avait agi soit par bizarrerie, soit par frivolité, soit par ennui, soit par philosophie humaine, mais non par respect pour la conscience, ni par sincérité de croyance.
Et pourtant on était clairement convaincu de tout cela par la grande réputation de son esprit qu'elle avait gagnée pendant tant d'années de gouvernement heureux et vénéré par la manière même de machiner, de cacher et d'achever cette affaire pendant si longtemps, et avec beaucoup de difficultés, à cause de sa nature qui n'était ni froide, ni triste, ni paresseuse, ni retirée, mais fervente, joyeuse, active et bavarde, et de la répugnance suprême qu'éprouvent tous les hommes de hautes affaires à perdre la grandeur plus que la même vie, d'où sont sorties une grande maturité de conseil, une grande profondeur de prudence et une grande force de piété, victorieuse des passions les plus fortes.
Les Vénitiens, dont les ambassadeurs extraordinaires d'obéissance arrivaient à Rome précisément à cette époque, tous résolus à obtenir du pape l'aide pour la guerre de Candie, regardaient avec des yeux tristes les prix de cette réception, comme s'ils étaient hors de leur contrôle; et ils expliquaient combien plus grande gloire de Dieu et de l'Église le pape les aurait utilisés pour défendre le christianisme contre les défenses du Turc, sans considérer que tout cet argent suffirait à peine pour les besoins militaires de quinze jours. Outre le fait que le pontife leur offrait en même temps des subventions très importantes et stimulait aussi efficacement les autres princes chrétiens à contribuer; oui, cependant, qu'il ne s'emploie pas à entretenir une guerre lente et inutile, qui, après beaucoup d'enrichissement des capitaines, se terminerait par une paix au gré de l'ennemi, mais à mener à bien quelque noble entreprise et à obtenir la victoire.
Finalement, le peuple, soit par ses propres idées, soit par la suggestion d'hommes peu favorables ni au pape ni à l'affaire, se plaignait de ce que, le fardeau des impôts étant si lourd et celui du pain si léger, ils ne devraient pas plutôt convertir autant d'argent en diminuant l'un ou en augmentant l'autre, mais ils n'ont pas bien fait les calculs, pour ce que coûtait cette réception, le pape n'était pas égal à lever un quart même d'un des plus petits impôts. Et quant au pain, quoique l'impôt eût pu être augmenté d'une once à Rome, cette même augmentation aurait causé des dégâts au peuple et la famine, comme cela a été démontré ailleurs; et d'autre part les pauvres recevaient une bien plus grande aide de cette magnificence, puisque tout le fleuve en coulait à leur profit, en paiement soit de biens, soit de travaux. En effet, quoique l'argent dépensé par la Chambre et représenté comme immense par les amplifications habituelles de ceux qui ne sont pas habitués à le manier, ne s'élève pas en réalité à cent mille écus pour la diligence, faite d'économies et d'avantages d'usage, avec tout cela, ce qui passait dans ce cas des grands sacs aux plus petits était de nombreux doubles.
De la seule légation du cardinal Jean-Charles, y compris ses gentilshommes de cour, ses prélats et barons, on estime que quatre-vingt mille écus sont sortis, en plus des dépenses faites et par de nombreux seigneurs de Rome en vêtements, livrées et théâtres, et par beaucoup d'étrangers, qui participaient par curiosité au spectacle, et par beaucoup de gens riches dans toutes les villes de l'État ecclésiastique où passait la reine, et qui l'honoraient ainsi qu'eux-mêmes de manières somptueuses. Ainsi, ce soulagement des pauvres dans tout l'État fut bien plus réussi que ce qu'une petite augmentation de pain aurait apporté à Rome jusqu'à la nouvelle récolte. Mais des hommes plus intelligents, élevant plus haut leurs pensées, apprirent avec honte que dans la ville, qui est le siège de la religion et du pontificat, on se posait des questions sur l'opportunité de ce fait, et que chacun ne comprenait pas à quel point l'infamie de la principauté apostolique aurait achevé si une telle reine, qui avait découronné sa tête pour la soumettre aux pieds du vicaire du Christ, avait trouvé ici un accueil avare et discourtois, inférieur à celui qui aurait été habituel pour quelqu'un, comme elle, qui est venu à Rome pour un pèlerinage dévot, compte tenu de l'État, et donc sans grand mérite.
Cela n'aurait-il pas été, disaient-ils, une arme très puissante du Démon pour s'opposer à toute inspiration similaire jamais née dans l'esprit humain? En effet, cela ne prouverait pas ce que disent les hérétiques. A Rome, l'argent n'est pas un instrument de santé des âmes, mais les âmes sont-elles appréciées autant qu'elles gagnent de l’argent? D'autant plus que ce voyage a été fait par la reine grâce à son talent, et non à l'invitation du pape.
Certains argumentaient même de manière plus scientifique ainsi: toutes les doctrines des théologiens et des canonistes concernant la répartition honnête ou malhonnête des revenus ecclésiastiques sont fondées sur ceci: qu'ils doivent être utilisés selon la volonté présumée des donateurs. Ceci posé, supposons que Charlemagne, Mathilde et tous ces princes qui ont enrichi l'Église romaine de tant de grandes possessions et de tant de juridictions se soient demandés s'ils entendaient que leurs revenus fussent employés à traiter honorablement une telle reine, qui vient en tant que reine avant d'être sujette de cette Église. Qui est assez stupide pour douter de la réponse, et qui ne voit pas qu'ils auraient dit que si tout le reste avait manqué, le Pontife et les cardinaux devaient réduire les dépenses de leur cour pour en faire ce saint et magnifique usage?
C'est ainsi que parlaient les hommes haut placés. Mais la multitude, plus que toute autre raison, fut peu à peu amenée à approuver le fait par l'utilité qu'il représentait, et aussi par l'amabilité de cette princesse qui éliminait en grande partie la calomnie par sa présence et gagnait les âmes par ses manières. Étant donc restée huit jours à Innsbruck, au milieu d'une immensité d'honneurs toujours nouveaux, magnifiques et délicieux, elle se dirigea vers l'Italie, et ainsi par le prince-évêque de Trente, comme par le duc de Mantoue, aucun art de courtoisie respectueuse et splendide n'a été omise lors de son transit à travers leurs États.
Les seigneurs vénitiens, soit par respect pour la politique, soit par différence de cérémonies, lui donnèrent le laissez-passer incognita, montrant seulement qu'ils la connaissaient en qualité de ceux présents que Contarino, capitaine, comme on l'appelle, de Vérone, il envoya pour rafraîchir cette fête à l'ambassadeur Pimentel, qui, tant en termes d'abondance que d'excellence, avait plus du royal que du chevaleresque. Puis, arrivée le vingt et unième jour de novembre dans l'État ecclésiastique de Ferrare, elle fut accueillie par deux messagers vers Melara, lieu de l'autre côté du Pô, à vingt-huit milles de la ville. Ils lui présentèrent un bref du pape, ainsi qu'un carrosse, une litière et une chaise pour son usage dans son voyage. Lorsque les messagers apparurent et descendirent de cheval, sans se soucier de la pluie, elle voulut aussi descendre de cheval. Elle monta ensuite dans le carrosse pontificale.
Elle donna le titre d'Éminence aux deux cardinaux-légats et évêques de ladite ville, qui la rencontrèrent alors, et aux autres elle donna ensuite le titre d'Éminence, non dû, ni jamais donné par des princes de la sublimité royale. Et dans tout le reste, elle faisait preuve d'une grande courtoisie, qu'elle appréciait davantage, car, cependant, elle ne nuisait pas à sa position royale; et ainsi ces honneurs n'étaient pas rendus par une femme privée, mais par une reine.
Les villes et les présidents (pour la plupart des cardinaux) rivalisaient pour lui offrir à son passage des divertissements artificiels et pompeux, dont certains étaient cependant peu sérieux, que le pontife n'aurait pas voulu et qu'il n'a pas permis à Rome. Et parce qu'il refusait aux communautés de faire des dépenses pour cela, la plupart des messieurs se mirent d'accord entre eux pour faire des contributions volontaires, même dans les villes les moins riches. Dans chaque lieu, elle fut d'abord conduite à la cathédrale, et là elle fut reçue avec une solennité sacrée. Elle visita avec dévotion les reliques les plus remarquables; et elle voulut se détourner vers Assise pour y vénérer le corps de saint François.
Mais elle accomplit les actes de religion les plus illustres en révérence pour la sainte maison de Lorette. Venant d'Ancône, dès que le coupole de l'église lui fut visible, elle descendit de voiture et, s'agenouillant à terre, adora cette divine auberge; puis elle voulut aller à pied, et la tête découverte malgré la rigueur de la saison et la délicatesse de son corps, intolérant au froid, elle parcourut toute cette longue pente qui monte à la ville. En entrant dans l'église, elle refusa l'honneur du baldaquin; elle priait dans la sainte chapelle avec une telle dévotion qu'elle faisait pleurer une foule immense autour d'elle. Elle y communiqua le lendemain matin, mais en secret, parce qu'elle se réservait le droit de prendre pour la première fois publiquement le corps du Christ des mains de son vicaire; elle fit offrande à la Vierge de son sceptre et de sa couronne, qui étaient en or massif, enrichis de nombreux gros diamants. Et il n'est pas digne de se taire car Holstenius, ayant accompagné en mémoire perpétuelle un distique, où il était dit qu'elle avait donné spretam coronam à la Mère de Dieu, la reine, en le lisant, si cet ajout avait changé spretam en positam à cause de qu'elle ne pourrait jamais donner à la Reine du ciel ce qu'elle méprisait, mais ce qu'elle appréciait le plus au monde.
Continuant son voyage, elle logea magnifiquement, reçue partout soit dans les palais de la chambre, soit des évêques et d'autres seigneurs, comme à Assise, à Caprarola et à Bracciano, mais toujours aux frais du pontife, qui veilla à ce que le lieu, aussitôt après son départ, arriverait un ministre de la Chambre expert et fidèle, et cela pour deux bons effets; la première était que la Chambre actuelle devrait payer tout le monde au complet; où d'autres fois les gouverneurs, qui avaient donné la réception et administré l'argent, avaient souffert, d'abord dans la longue attente, puis dans la petite collecte. L'autre était que les officiers inférieurs étaient privés de la possibilité de modifier la vérité dans les récits, tout comme la distance est utilisée comme instrument pour grossir les objets. Et ensuite, les restes n'étaient pas convertis en larcins, mais de l'argent était retiré des plus gros et durables au profit de la chambre; et les objets conservés et non conservables étaient distribués en aumône pour soulager les pauvres.
Ultimement, le matin du 20 décembre, elle arriva dans une villa appartenant autrefois aux Olgiati, dont elle prit et conserve son nom, à dix milles près de Rome; et le pontife ayant déclaré la légation des deux cardinaux susnommés au consistoire suivant, ils partirent de la ville le matin même pour la rencontrer; ils n'ont pas élevé de croix, parce que dans le district de Rome cela n'est permis à personne d'autre que le pape, mais ils sont sortis avec une cavalcade des plus voyantes en vêtements, en livrées, en décorations sur les chevaux et en chaque autre pompe qui était dans la mémoire des spectateurs. Le cardinal Jean-Charles, outre sa cour nombreuse, conduisait, comme on dit, dans son camarade, quatre grands prélats, trois ducs, plusieurs marquis et autres cavaliers de valeur, dont chacun parut richement. L'autre légat ne manquait pas non plus de la noblesse et de la splendeur du groupe.
En quittant Rome, ils montèrent dans les voitures, et le majordome de la reine les rencontra à Storta, à trois milles de la fin, qui les invita et les emmena dans l'une des voitures de sa dame. Lorsqu'ils arrivèrent à l'immeuble où elle logeait, ils constatèrent que, par excès de courtoisie, elle avait descendu l'escalier à pied, et elle s'avança pour les recevoir jusqu'à la porte. Après avoir accompli sur place les agréables devoirs dans les chambres, ils descendirent ensemble, tenant la reine au milieu, et tous trois montèrent dans la voiture du pontife, se dirigeant vers Rome; et la nuit qui vint augmenta, au lieu de diminuer, la splendeur due à une infinité de torches allumées tout autour.
Swedish translation (my own):
Påvens sista ord sved en del av kardinalerna, det vill säga de som i sina hjärtan kände den förmaningen som var desto mer bitter och rättvis, och som vanligt gjorde sak och klagomål gemensamt för de andra, och sade till olika, nästan som för att berätta historien att detta hade medfört en förolämpning mot hela Kollegiet, och kände att dess rykte kränkts av dem som särskilt var tvungna att stödja det. Men de mest nitiska kardinalerna berömde påven för det, eftersom de visste hur dåligt hans ämbete är för den läkare som är fast besluten att ge medicinen för att inte förklara att kroppen är sjuk. Om en privat religiös person anlitas av Apostoliska Stolen för att rätta till bristerna i den Senaten, i närvaro av stora människor, hur mycket mer skall inte detta ogiltigförklaras för påven i ett hemligt Konsistorium och på ett sätt som tog hänsyn till tidigare tider så att det inte fördömde någon av de närvarande i allmänhet? Det som påven förklarade i den första delen och som redan var känt tidigare, det vill säga drottningens omvändelse, hennes förestående ankomst och förberedelserna av välkomnandet, gav mycket längre material för motsatta diskurser.
Kardinalerna gick till Konsistorium med mycket lämpliga ord för att uttrycka den härlighet som skulle följa Kyrkan och påven, men i deras privata resonemang saknades det inte bland dem, och ännu mer bland de andra, många som förringade detta faktum. De tidigare nämnda ryktena som spreds i Flandern mot drottningen och därifrån spreds genom olika brev i Rom fick vissa grovt subtila människor att drömma att detta var en konstgjord politik, utan att det fanns tillräckligt med vittnen för att rensa henne från en sådan anklagelse från de tre riken hon hade lämnat.
Några av den franska fraktionen hävdade att de minskade verkets förtjänst för att minska det bland spanjorerna, av vilka det verkade stödjas och av vilka de felaktigt trodde att drottningen ville leva osjälvständig. De försökte övertyga henne om att hon hade handlat antingen av bisarreri eller lättsinne, eller av omsorgsfullhet eller av en sådan mänsklig filosofi, men inte av respekt för samvetet eller av uppriktighet i tro.
Och ändå var man klart övertygad om allt detta genom det stora rykte hennes sinne hade förtjänat under så många år av lycklig och vördad regering genom själva sättet att bearbeta, dölja och fullborda denna affär under en så lång tidsperiod, och med många svårigheter, från hennes natur som inte var kall, inte ledsen, inte lat, inte tillbakadragen, utan ivrig, gladlynt, aktiv och pratlysten, och från den högsta avsky som alla män i höga angelägenheter känner när de förlorar storhet mer än själva livet, varav kom stor mognad av råd, stort djup av klokhet och stor fromhetsstyrka, segrande över den starkaste passion.
Venetianerna, vilkas utomordentliga lydnadsambassadörer anlände till Rom just på den tiden, alla inställda på att få hjälp av påven för Candiakriget, såg med sorgsna ögon på kostnaderna för detta mottagande, som om de var ur deras händer; och de förstärkte med hur mycket större ära av Gud och för Kyrkan påven skulle ha använt dem för att försvara kristendomen från turkens betar, utan att tänka på att alla dessa pengar knappt skulle räcka till militära behov i femton dagar. Förutom att påven samtidigt erbjöd dem mycket stora subventioner och dessutom effektivt stimulerade de andra kristna prinsarna att bidra; ja dock att han inte skulle sysselsätta sig med att fostra ett långsamt och värdelöst krig, som efter mycken berikning av kaptenerna skulle sluta med en fred efter fiendens vilja, utan att utföra något ädelt företag och att skaffa seger.
Slutligen klagade allmogen, både på grund av sina egna idéer och på förslag från män som inte var särskilt gynnsamma vare sig för påven eller för saken, att eftersom skattebördan var så tung och brödets så lätt, de borde inte hellre konvertera så mycket pengar antingen genom att minska den ena eller genom att öka den andra, men de gjorde inte beräkningarna bra, för vad den mottagandet kostade påven var inte lika med att höja en fjärde del av ens en av de minsta skatterna. Och när det gäller bröd, även om skatten kunde ha höjts med ett uns i Rom, skulle denna samma ökning ha orsakat skada på folket och svält, vilket har visats på annat håll; och däremot erhöll de fattiga mycket större bistånd av den storheten, emedan hela floden rann därifrån till deras fördel, såsom betalning antingen för varor eller för arbeten. Ja, även om de pengar som Kammaren spenderade och representerade som ofantliga genom de vanliga förstärkningarna av dem som inte är vana att hantera dem inte i sanning uppgick till hundra tusen scudi för den flit, som gjordes av besparingar och fördelar i bruk, med allt detta, vad som gick i det här fallet från de stora väskorna till de mindre var många dubblar.
Bara från legationen av kardinal Gian Carlo, inklusive hans hovherrar, och hans prelater och baroner, uppskattas det att åttio tusen scudi kom ut, förutom de utgifter som gjorts och av många Roms herrar för kläder, liverier och teatrar, och av många utlänningar, som deltog av nyfikenhet för spektaklet, och av många förmögna människor i alla städer i den Kyrkliga Staten, där drottningen passerade, och som hedrade henne och sig själva med överdådiga seder. Så denna hjälp för de fattiga i hela staten var mycket mer framgångsrik än vad en liten ökning av bröd skulle ha åstadkommit i Rom fram till den nya skörden. Men män med större intellekt, som höjde sina tankar högre, hörde med skam att det i staden, som är säte för religionen och pontifikatet, det fanns frågor om hur pass anständigt detta faktum var, och att alla inte förstod hur mycket vanära den apostoliska furstendömet skulle ha uppnåtts om en sådan drottning, som hade okrönt sitt huvud så att hon kunde underkasta det Kristi ställföreträdares fötter, här hade funnit ett snålt och otrevligt välkomnande, sämre än de som skulle ha varit brukligt för någon som, likasom hon, har kommit till Rom för en andäktig pilgrimsfärd, med hänsyn till Staten, och därför utan så stora förtjänster.
Skulle inte detta ha varit, sade de, ett mycket kraftfullt vapen för demonen för att motverka någon liknande inspiration som någonsin fötts i det mänskliga sinnet? Detta skulle verkligen inte bevisa vad kättarna säger. I Rom är pengar inte ett instrument för själars hälsa, men uppskattas själar lika mycket som de tjänar pengar? Speciellt att veta att denna resa gjordes av drottningen på grund av hennes talang, och inte på påvens inbjudan.
Vissa argumenterade till och med mer vetenskapligt så här: alla teologers och kanonisters doktriner angående den ärliga eller oärliga fördelningen av kyrkliga inkomster bygger på detta: att de måste användas enligt givarnas förmodade vilja. Med tanke på detta, låt oss låtsas att Karl den Store, Matilda och alla de furstar som har berikat den romerska Kyrkan med så många stora ägodelar och jurisdiktioner hade frågat sig om de hade för avsikt att dessas inkomster skulle användas för att hederligt behandla en sådan drottning, som kommer som en drottning innan hon blir en undersåtarinna i denna Kyrka. Vem är så dum att vara tveksam till svaret, och vem ser inte att de skulle ha sagt att om allt annat hade saknats, var påven och kardinalerna tvungna att minska utgifterna för sitt hov för att förvandla dem till denna heliga, magnifika användning?
Så talade männen från höga platser. Men folkmassan, mer än av någon annan anledning, fick gradvis att godkänna detta faktum av användbarheten som det härledde, och också av älskvärdheten hos den prinsessan som till stor del eliminerade förtal med sin närvaro och vann själar med sitt uppförande. Efter att därför ha stannat i åtta dagar i Innsbruck, bland en mängd ständigt nya, storartade och förtjusande utmärkelser, flyttade hon mot Italien, och således av prinsbiskopen av Trento, liksom av hertigen av Mantua, ingen konst av vördnadsfull och praktfull hövlighet utelämnades i hennes transit genom deras stater.
De venetianska herrarna, vare sig det var av respekt för politik eller olikheter i ceremonier, gav henne passet som en incognita, och visade bara att de kände henne i egenskap av de närvarande som Contarino, kapten, som de kallar honom, i Verona, sändes för att fräscha upp det sällskapet till ambassadör Pimentel, som både i fråga om överflöd och förträfflighet hade mer av det kungliga än det ridderliga. Sedan, när hon anlände den tjugoförsta dagen i november till den kyrkliga Staten Ferrara, välkomnades hon av två budbärare mot Melara, en plats på andra sidan Po, tjugoåtta mil bort från staden. De gav henne ett kort från påven, och även en kaross, en bärstol och en stol av densamma för hennes användning under hennes resa. När budbärarna dök upp och steg av, utan att bry sig om regnet, ville hon också stiga av. Hon steg sedan in i påvliga karossen.
Hon gav titeln Eminens till de två kardinallegaterna och biskoparna i den förutnämnda staden, som sedan mötte henne, och till de andra gav hon därefter titeln Eminens, inte skyldig eller någonsin given av prinsar av kunglig sublimitet. Och i allt annat brukade hon stor artighet, som hon uppskattades mera, eftersom hon dock inte förringade sin kungliga ställning; och så dessa utmärkelser gjordes inte av en privat kvinna, utan av en drottning.
Städerna och presidenterna (mest kardinaler) tävlade om att ge henne konstgjorda och pompösa underhållningar när hon passerade, av vilka några dock var mindre seriösa, vilket påven inte skulle ha velat och som han inte tillät i Rom. Och eftersom han nekade samhällena att göra någon kostnad för detta, kom herrarna för det mesta sinsemellan överens om att ge frivilliga bidrag, även i de mindre rika städerna. På varje plats fördes hon först till katedralen, och där mottogs hon med helig högtidlighet. Hon besökte de mest anmärkningsvärda relikerna genomgående andäktigt; och hon ville avleda till Assisi för att vörda den helige Franciskus kropp där.
Men hon utförde de mest berömda religionshandlingarna i vördnad för det heliga huset Loreto. När hon kom från Ancona, så snart kyrkans kupol var synlig för henne, steg hon av vagnen och föll på knä på marken och avgudade det gudomliga auberge; sedan ville hon gå till fots, och med huvudet obetäckt trots årstidens stränghet och hennes kropps känslighet, intolerant mot kyla, gick hon hela den långa sluttningen som leder upp till staden. När hon gick in i kyrkan vägrade hon baldakinens ära; hon bad i det heliga kapellet med sådan hängivenhet att hon väckte tårar till en ofantlig skara av omgivningen. Hon kommunicerade där följande morgon, men i hemlighet, eftersom hon förbehöll sig rätten att för första gången offentligt ta Kristi kropp ur handen på hans kyrkoherde; hon offrade till jungfrun sin spira och sin krona, som var av massivt guld, berikad med många stora diamanter. Och det är inte värt att tiga som Holstenius, efter att i evigt minne åtföljt ett distikon, där det sades att hon gav spretam coronam till Guds moder, drottningen, vid läsningen, hade det tillägget ändrat spretam till positam eftersom hon aldrig skulle kunna ge till himmelsdrottningen det hon föraktade, utan det hon uppskattade mest i världen.
Fortsättande sin resa logerade hon magnifikt, mottogs genomgående antingen i kammarens palats, eller hos biskoparna och hos andra herrar, som i Assisi, i Caprarola och i Bracciano, men alltid på bekostnad av påven, som tog hand om att platsen omedelbart efter hans avgång skulle en sakkunnig och trogen kammarminister anlända, och detta för två goda effekter; en var att den nuvarande kammaren skulle betala alla fullt ut; där andra gånger landshövdingarna, som gett mottagandet och administrerat pengarna, hade lidit, först i den långa väntan och sedan i den lilla samlingen. Den andra var att underlägsna officerare berövades bekvämligheten att ändra sanningen i redogörelser, precis som avstånd används som ett instrument för att förstora föremål. Och efter detta omvandlades inte resterna till snatteri, utan pengar drogs in från de stora och hållbara till förmån för rummet; och de bevarade och icke-konserverbara föremålen utdelades i allmosor för att hjälpa de fattiga.
Slutligen, på morgonen den 20 december, anlände hon till en villa som tidigare tillhörde Olgiati, från vilka hon tog och behåller sitt namn, tio mil nära Rom; och efter att påven förklarat de två förutnämnda kardinalernas legation i nästa konsistorium, begav de sig från staden samma morgon för att möta den; de reste inte ett kors, ty i Roms distrikt är detta inte tillåtet för någon annan än påven, men de gick ut med en kavalkad av de mest pråliga i kläder, i färger, i dekorationer på hästarna och i varje annan pompa som var till minne av åskådarna. Kardinal Gian Carlo ledde förutom sitt talrika hov, som man säger, i sin kamrat fyra stora prelater, tre hertigar, många markiser och andra värdefulla kavaljerer, som var och en framträdde rikt. Inte heller den andre legaten saknade gruppens adel och prakt.
När de lämnade Rom gick de in i vagnarna, och drottningens hovmästare mötte dem vid Storta, en plats tre mil bort från slutet, som bjöd in dem och tog dem i en av sin frus karosser. När de kom fram till byggnaden där hon bodde, fann de att hon av överdriven artighet hade gått ner till fots ner för trappan, och hon gick fram för att ta emot dem ända fram till dörren. Efter att ha fullgjort de trevliga plikterna där och då i rummen, steg de ner tillsammans, höll drottningen i mitten, och alla tre steg in i påvens kaross, på väg mot Rom; och natten som kom ökade, inte minskade, prakten på grund av en oändlighet av facklor som tändes runt om.
English translation (my own):
The Queen, as a demonstration of reverence, sent Antonio de la Cueva, her majordomo and lieutenant general of the cavalry in Flanders, on post horses to the pontiff (although, since he had fallen ill, he later wanted to replace Montecuccoli in that office) with a letter from her hand, which I want to record, both because it was composed of very generous and very religious sentiments at the same time, and because it was the first she wrote in the Italian language, which was little familiar to her until that time. ...
Having received this letter, the Pope called the Consistorium by post and gave the cardinals a brief account of all the affairs he had discussed with it many years before, when he was in a lesser condition, brought to completion in those few months of his pontificate. He considered that God, since He had considered Himself with the magi of a star and with the shepherds of a human voice, to lead both to the adoration of Christ, thus with the Queen, endowed with very acute intellect, he had taken as his instrument the conversation first to demonstrate to her the vanity of the professed heresies and then the solidity of the Catholic religion.
He added the intention that he had of treating her according to the height of the degree she had deposed for the faith, and that in this same conformity, as she approached, he wanted to declare two legates to meet her; meanwhile, he warned the cardinals with very serious words to ensure that, when such a princess came to that holy city, she would receive nothing of scandal or disturbance to her conscience, but would find everything full of sanctity, so that if beyond the mountains he had heard any evil, he would see that everything was false and, on the other hand, that the good spread by fame was inferior to the truth.
Around the persons of the cardinals this was promised with great certainty, as of those who professed perfection, as befits one who holds the place of the apostles on Earth; but it was desired by him that they were still attentive to their families in this regard, especially with respect to the cult and veneration of the churches, it being a marvel how scandalised the ultramontanes are by any brief and official conversation in front of others.
Those people used an exquisite attention to all the customs, sayings, gestures and looks of the Italians, and in short, to every minutia in which they could conjecture their interior, in order to note the whole and its memorials, and to pass on the knowledge to posterity, he remembered that eleven years earlier, while he was nuncio in Cologne, he had seen certain memory booklets of a secular gentleman, where, before going to bed he used to record what had happened to him that day, and there he referred in figure: "On the twelfth of this month in the morning I visited two cardinals, and after luncheon two others. The first one discussed the wines, and which were better, either those from the hills of Rome, or those brought elsewhere by land, or rather by the sailors; the second one discussed the the freshness of the winds, the pleasantness of the gardens, the beauty of the fountains; the third on hunting and rustic pleasures; the fourth spoke of comedies, stage machines, and other theatres. Nothing was touched by them about customs, nothing about the Holy Fathers, about the Church, about the Gospel, about the conversion of gentiles or heretics — in short, nothing about God."
The Pope added that he had endeavoured to support the cause of Rome, replying that with that secular man and soldier the cardinals had restrained themselves from such ecclesiastical discourses in order to condescend to his inclination, saying only what was suited to his understanding. With all this he could not help but conceive of such an internal blushing and therefore draw the argument as to what gravity and what caution should be used with those nations, especially in Rome either by the prelates or by the cardinals. Having said this, he had Natal Rondinini, secretary of the Briefs, read the aforementioned letters from King Philip and the Queen.
The Pontiff's final words stung some of the cardinals, that is, those who in their hearts felt that admonition that was all the more bitter and just, and as is usual, made the cause and complaint common to the others, saying to various, almost as if to tell the story that this had brought about an insult to the entire College, feeling its reputation offended by those who especially had to support it. But the most zealous cardinals commended the Pope for it, knowing how bad his office is for that doctor who is determined to give the medicine so as not to declare that the body is ill. If a private religious person is hired by the Apostolic See to correct the defects of that Senate, in the presence of great people, how much more should this not be annulled to the Pontiff in a secret Consistorium, and in a manner that took into account past times so that it did not condemn any of those present in general? What the Pontiff explained in the first part and which was already known before, that is, the conversion of the Queen, her imminent arrival and the preparation of the welcomes, provided much longer material for contrary discourses.
The cardinals went to the Consistorium with very suitable words to express the glory that would follow the Church and the Pope, but in their private reasonings there was no lack among them, and even more among the others, many who detracted from this fact. The aforementioned rumours which were spread in Flanders against the Queen, and from there spread through various letters in Rome, caused certain grossly subtle people to dream that this was an artifice of politics, without there being enough witnesses to purge her of such an accusation from the three kingdoms she had left.
Some of the French faction argued that they were diminishing the merit of the work in order to diminish it among the Spaniards, by whom it seemed supported and from whom they falsely believed that the Queen wanted to live dependent. They tried to persuade her that she had acted either out of bizarrerie or frivolity, or the tedium of care or out of such a human philosophy, but not out of respect for conscience, nor out of sincerity of belief.
And yet one was clearly convinced of all this by the great reputation of her mind which she had earned for so many years of happy and venerated government by the very way of machinating, concealing and completing this affair over such a long period of time, and with many difficulties, from her nature which was not cold, not sad, not lazy, not withdrawn, but fervent, cheerful, active, and conversational, and from the supreme repugnance that all men of high affairs feel in losing greatness more than life itself, from which came great maturity of counsel, great depth of prudence, and great strength of piety, victorious over the strongest passion.
The Venetians, whose extraordinary ambassadors of obedience arrived in Rome precisely in those days, all intent on obtaining aid from the Pope for the war of Candia, looked with sad eyes at the costs of this reception, as if they were out of their hands; and they amplified with how much greater glory of God and for the Church the Pope would have used them in defending Christianity from the tusks of the Turk, not considering that all that money would barely be enough for military needs for fifteen days. In addition to the fact that the Pontiff at the same time offered them very large subsidies and also effectively stimulated the other Christian princes to contribute; yes, however, that he should not employ himself in nurturing a slow and useless war, which, after much enrichment of the captains, would end with a peace at the will of the enemy, but in carrying out some noble enterprise and in procuring victory.
Finally, the common people, both from their own ideas and from the suggestion of men who were not very favourable either to the Pope or to the matter, complained that since the burden of the taxes was so heavy and that of the bread was so light, they should not rather convert so much money either by decreasing one or by increasing the other, but they did not do the calculations well, for what that reception cost the Pope was not equal to raising a fourth part of even one of the smallest taxes. And as for bread, although the tax could have been increased by one ounce in Rome, this same increase would have caused damage to the people and famine, as has been demonstrated elsewhere; and on the other hand the poor received much greater assistance from that magnificence, since the whole river flowed from it for their benefit, as payment either for goods or for works. Indeed, although the money spent by the Chamber and represented as immense by the usual amplifications of those who are not accustomed to handling it did not in truth amount to one hundred thousand scudi for the diligence, which was made of savings and advantage in use, with all this, what passed in this instance from the large bags to the smaller ones was many doubles.
From the legation of Cardinal Gian Carlo alone, including his court gentlemen, and his prelates and barons, it is estimated that eighty thousand scudi came out, in addition to the expenses made and by many lords of Rome on clothes, liveries and theaters, and by many foreigners, who participated out of curiosity for the spectacle, and by many wealthy people in all the cities of the Ecclesiastical State where the Queen passed, and who honoured her and themselves with sumptuous manners. So this relief of the poor throughout the State was far more successful than what a small increase in bread would have brought about in Rome until the new harvest. But men of greater intellect, raising their thoughts higher, heard with shame that in the city, which is the seat of religion and the pontificate, there were questions about the propriety of this fact, and that everyone did not understand how much infamy the apostolic principality would have achieved if such a Queen, who had uncrowned her head so that she could submit it to the feet of the Vicar of Christ, had found here stingy and discourteous welcomes, inferior to those that would have been customary for anyone like her to have come to Rome for a devout pilgrimage, considering the State, and therefore without such great merit.
Would this not have been, they said, a very powerful weapon of the Demon to oppose any similar inspiration ever born in the human mind? Indeed, this would not prove what the heretics are saying. In Rome, money is not an instrument for the health of souls, but are souls appreciated as much as they earn money? Especially knowing that this journey was made by the Queen due to her talent, and not at the Pope's invitation.
Some even argued more scientifically like this: all the doctrines of theologians and canonists regarding the honest or dishonest distribution of ecclesiastical income are founded on this: that they must be used according to the presumed will of the donors. Given this, let us pretend that Charlemagne, Matilda and all those princes who have enriched the Roman Church with so many great possessions and jurisdictions had asked themselves whether they intended that the revenues of these should be applied to treating honourably such a queen, who comes as a queen before being a subject of this Church. Who is so stupid as to be doubtful of the answer, and who does not see that they would have said that if everything else had been lacking, the Pontiff and the cardinals had to reduce the expenses of their court to convert them into this saintly magnificent use?
This is how the men of high places were talking. But the multitude, more than by any other reason, was gradually moved to approve the fact by the usefulness that it derived, and also by the amiability of that princess who largely eliminated calumny with her presence and won over souls with her manners. Having therefore remained for eight days in Innsbruck, among an immensity of ever new, magnificent and delightful honours, she moved towards Italy, and thus by the Prince-Bishop of Trento, as by the Duke of Mantua, no art of reverent and splendid courtesy was omitted in her transit through their states.
The Venetian lords, whether it was out of respect for politics or difference of ceremonies, gave her the pass as an incognita, showing only that they knew her in the quality of those present whom Contarino, captain, as they call him, of Verona, sent to refresh that party to Ambassador Pimentel, who both in terms of abundance and excellence had more of the royal than the chivalrous. Then, arriving on the twenty-first day of November in the Ecclesiastical State of Ferrara, she was welcomed by two messengers towards Melara, a place on the other side of the Po, twenty-eight miles away from the city. They presented her with a brief from the Pope, and also a carriage, a litter, and a chair of the same for her use in her journey. When the messengers appeared and dismounted, not caring about the rain, she also wanted to dismount. She then got into the pontifical carriage.
She gave the title of Eminence to the two cardinal legates and bishops of the aforementioned city, who then met her, and to the others she subsequently gave the title of Eminence, not owed, nor ever given by princes of royal sublimity. And in everything else she used great courtesy, which she was more appreciated, because, however, she did not detract from her royal position; and so those honours were done not by a private woman, but by a queen.
The cities and the presidents (mostly cardinals) competed in giving her artificial and pompous entertainments as she passed, some of which, however, were less than serious, which the Pontiff would not have wanted and which he did not permit in Rome. And because he denied the communities to make any expense for this, the gentlemen for the most part agreed among themselves to make voluntary contributions, even in the less wealthy cities. In each place she was first taken to the cathedral, and there she was received with sacred solemnity. She visited the most notable relics devoutly throughout; and she wanted to divert to Assisi to venerate the body of Saint Francis there.
But she performed the most illustrious acts of religion in reverence for the holy house of Loreto. Coming from Ancona, as soon as the cupola of the church was visible to her, she dismounted from the carriage and, kneeling on the ground, adored that divine auberge; then she wanted to go on foot, and with her head uncovered despite the severity of the season, and the delicacy of her body, intolerant of the cold, she went all that long slope which leads up to the city. On entering the church, she refused the honour of the baldaquin; she prayed in the holy chapel with such devotion that she brought tears to an immense crowd of those around her. She communicated there the following morning, but in secret, because she reserved the right to take the body of Christ from the hand of His vicar in public for the first time; she made an offering to the Virgin of her scepter and her crown, which were of solid gold, enriched with many large diamonds. And it is not worthy to remain silent as Holstenius, having accompanied in perpetual memory a distich, where it was said that she gave spretam coronam to the Mother of God, the Queen, upon reading it, had that addition changed spretam into positam due to that she would never be able to give to the Queen of Heaven what she despised, but what she appreciated most in the world.
Continuing her journey, she lodged magnificently, was received throughout either in the palaces of the chamber, or of the bishops, and by other lords, as in Assisi, in Caprarola and in Bracciano, but always at the cost of the Pontiff, who took care that the place immediately after his departure an expert and faithful Minister of the Chamber would arrive, and this for two good effects; one was that the present chamber should pay everyone in full; where other times the governors, who had given the reception and administered the money, had suffered, first in the long wait, and then in the small collection. The other was that inferior officers were deprived of the convenience of altering the truth in accounts, just as distance is used as an instrument to magnify objects. And following this, the leftovers were not converted into larceny, but money was withdrawn from the large and durable ones for the benefit of the room; and the retained and non-conserveable items were dispensed into alms to relieve the poor.
Ultimately, on the morning of December 20, she arrived at a villa formerly belonging to the Olgiati, from whom she took, and retains her name, ten miles near Rome; and the Pontiff having declared the legation of the two aforementioned cardinals in the next consistory, they set out from the city that same morning to meet it; they did not raise a cross, because in the district of Rome this is not permitted for anyone other than the Pope, but they went out with a cavalcade of the most showy in clothes, in liveries, in decorations on the horses, and in every other pomp that was in memory of the spectators. Cardinal Gian Carlo, in addition to his numerous court, led, as they say, in his comrade, four great prelates, three dukes, many marquises, and other cavaliers of value, each of whom appeared richly. Nor did the other legate lack the nobility and splendour of the group.
On leaving Rome they entered the carriages, and the Queen's butler met them at Storta, a place three miles away from the end, who invited them and took them in one of his lady's carriages. When they reached the building where she was staying, they found that, out of an excess of courtesy, she had descended on foot down the stairs, and she went forward to receive them right up to the door. Having completed the pleasant duties there and then in the rooms, they descended together, holding the Queen in the middle, and all three entered the Pontiff's carriage, setting off towards Rome; and the night that came increased, not diminished, the splendour due to an infinity of torches that were lit all around.
Notes: Candia = the old name for the Greek island of Crete.
The Demon = the Devil.
Ascesi = the Central Italian dialectal name for Assisi.
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